Esteri

Russia-Ucraina, non trattare con l'aggressore Putin? Grave errore. Ecco perché

Di Massimo Falcioni

Se al “nemico” si lascia solo la via della resa senza condizioni, quel nemico proseguirà a portare avanti la sua guerra, costi quel che costi

Guerra Russia-Ucraina, eppure bisogna trattare anche con l’aggressore Putin

In una guerra come quella in corso da oltre sedici mesi fra Russia e Ucraina che porta morti e devastazioni e mette a rischio la pace in Europa e nel mondo, non c’è niente di peggio che limitarsi a incolpare l’aggressore, cioè Putin, cui è data una sola possibilità: alzare bandiera bianca o, all’opposto, spaccare in due il capello: “Né con Mosca né con Usa e Ue”. Certo, la storia insegna che di fronte all’intransigenza ideologica devastante di un regime dittatoriale (ad esempio quello nazista di Hitler) che procede con le invasioni armate, altra via non c’è se non la resa dei conti finale, con milioni di morti e devastazioni immani. Oggi, con l’ombra lunga della bomba atomica, ciò porterebbe alla fine dell’umanità.

Se al “nemico” si lascia solo la via della resa senza condizioni, quel nemico proseguirà a portare avanti la sua guerra, costi quel che costi. L’aiuto militare ed economico che l’Occidente, Usa e Ue, sta dando all’Ucraina aggredita dalla Russia e le sanzioni contro Mosca, sono giuste ma non devono andare oltre il fatto “locale”, men che meno considerarle uno strumento per rovesciare il regime di Putin. Aver tifato, perché così è stato da parte di Usa, Ue e Italia, con gli ammutinati della divisione Wagner di Prigozhin passati in un amen dallo stato di criminali neonazisti a quello di patrioti, certi che con la loro occupazione di Mosca e la deposizione di Putin avrebbe costretto la Russia a porre fine alla guerra in Ucraina, è stato una ingenuità, peggio, un errore politico di cui si pagheranno le conseguenze.

Allo stato attuale, non è pensabile una destituzione di Putin dall’esterno, ancor meno dare per scontato che via Putin, la Russia diventi una democrazia liberale. Il rischio è quello di cadere dalla padella alla brace, con una Russia ancor meno democratica all’interno e ancor più imperialista fuori, o nel caos totale di una guerra civile con i bottoni delle bombe atomiche in mano non si sa a chi. La storia insegna che la democrazia non si esporta e che ogni Paese si porta con sé tutto quel che è stato prima, sul piano ideale, culturale, religioso, sociale, politico, istituzionale.

Che vuol dire? Che Ue, Usa, Occidente hanno fatto bene e fanno bene ad “aiutare” in tutti i modi l’Ucraina aggredita dalla Russia di Putin anche per salvaguardare il patrimonio di libertà e dei diritti democratici occidentali.

Tuttavia, non ci si può limitare ad aspettare la sconfitta di Putin, militare oltre che politica. Serve una più accentuata e più articolata capacità diplomatica internazionale, anche con governi non democratici, nel cercare alleanze. Serve anche muovere tutto quel che è possibile muovere per far arrivare segnali al Kremlino, rispettando ob torto collo l’inquilino che c’è. Se per porre fine alla guerra in Ucraina si pensa di attendere il cambio di regime a Mosca allora bisogna mettere nel conto il rischio che la guerra non finirà presto, non si limiterà a restare chiusa dov’è oggi. La missione del cardinale Matteo Zuppi a Mosca del 28 e 29 giugno, al di là dei risultati specifici, è un fatto positivo, non foss’altro perché costringe il Kremlino a non chiudere tutte le porte ai mediatori, accettando anche i più “scomodi” come possono essere i rappresentanti della Santa Sede. Putin, tutto preso a gestire le conseguenze della torbida vicenda del fallito tentativo della ribellione armata da parte delle truppe di Prigozhin, se ne è lavato le mani: ha ignorato il cardinale Zuppi, facendolo comunque incontrare con il suo consigliere presidenziale Yuri Ushakov e non ponendo il veto all’incontro dell’inviato del Papa con Marija L’vova-Belova, commissario per i diritti dei bambini, con un mandato d’arresto della Corte Penale internazionale con l’accusa per le deportazioni forzate in Russia di decine di migliaia di bambini ucraini. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha chiuso la questione: “Non ci sono decisioni specifiche o accordi. Non ci sono le condizioni per una pace negoziata”.

In questo quadro prosegue anche il dialogo tra la Santa Sede e il Patriarcato di Mosca con il poco raccomandabile e ancor meno credibile Kirill. Del capo della Chiesa ortodossa sono da tempo note le posizioni sulla “guerra giusta” con l’invito ai russi di combattere contro Zelensky, schierandosi in toto a fianco di Putin, definito un “miracolo di Dio”. “Vai coraggiosamente a compiere il tuo dovere militare – diceva Kirill tempo addietro ai giovani russi – e ricorda che se muori per il tuo Paese, sarai con Dio nel suo regno, gloria e vita eterna”. Come pensare di dialogare con Kirill, amante del lusso con un patrimonio personale sui 4 miliardi di dollari (dati Forbes 2020) sospettato di essere l’intestatario fittizio di beni di Putin, Lavrov e altri, con conti bancari in Italia, Austria, Spagna, che insiste sull’esistenza di un “Ovest demoniaco” da combattere e contro il quale è legittima ogni ambizione imperialista ed espansionistica? Qui siamo. Forse qualche frutto di questi incontri del cardinal Zuppi a Mosca si vedranno presto sul “piano umanitario”. Poco? Meglio di niente. Come in tutte le guerre, anche in questo devastante conflitto fra Russia e Ucraina va colto ogni pur minimo tentativo che induca a uno spiraglio di incontro fra le parti, un tentativo verso la pace. Ai pacifisti “de noantri”, antiamericani rimasti legati al mito del Vietnam che confondono aggressori e aggrediti che fanno sempre mille distinguo sui valori delle democrazie liberali e che anche stavolta sono certi che “in fondo Putin ha le sue ragioni”, che “è tutta colpa del mondo occidentale”, non si può che dire: adesso basta, tacete! Non ne avete mai azzeccata una.