Esteri

L'attentato a Tel Aviv? Anche quello di Israele però è terrorismo...

di M. Alessandra Filippi

Sono 75 anni che in Israele c'è pulizia etnica con periodici scontri in cui i bilanci dei morti palestinesi sono cento volte superiori alle perdite israeliane

Attentato a Tel Aviv, morto un giovane avvocato italiano: "L'Occidente chieda conto a Israele dei suoi attacchi ai fedeli"

Il presidente del progetto Usa/Medio Oriente, l'israeliano Daniel Levy, non più tardi di due giorni fa aveva dichiarato che “non solo la violenza s'intensificherà ma l’infinita negazione delle libertà e dei diritti per i palestinesi sotto occupazione – che vivono sotto il repressivo regime israeliano – porterà inevitabilmente le persone ad assumere qualsiasi forma di resistenza”. Dello stesso parere è Husam Zamlot, ambasciatore palestinese presso il Regno Unito, secondo il quale l'Occidente dovrebbe chiedere conto a Israele dei suoi attacchi ai fedeli nel complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme”, aggiungendo che  “Israele viola ogni singola disposizione del diritto internazionale e la santità delle moschee, specialmente in un mese sacro come il Ramadan. Se soldati armati assaltassero una sinagoga o una chiesa, quale sarebbe la reazione internazionale?”. Possiamo tutti immaginare la risposta.

È arrivato il tempo di trovare il coraggio di definire anche la violenza esercitata da Israele per quello che è: una forma di terrorismo. Non possiamo più usare due pesi e due misure. Non dobbiamo più chiamare “scontri” quelli che sono attacchi provocatori volti a scatenare l'inferno. È non vogliamo più nemmeno continuare a fingere di non vedere e non capire che sono 75 anni che in Israele è in corso una pulizia etnica attuata con l'occupazione dei territori, con periodici “scontri” nei quali i bilanci dei morti palestinesi sono cento volte superiori alle perdite israeliane, e con il sistematico e progressivo sradicamento da tutto il Paese delle tracce secolari lasciate dalla cultura arabo-palestinese.

Per costruire la pace è necessario prima di tutto uscire dalla logica dei “tempi instabili" e del perenne stato di emergenza. Evitare, oggi, per prima cosa, con tutti i mezzi possibili, anche facendo attenzione a come usiamo le parole, che gli attacchi di ieri, a West Bank e a Tel Aviv, possano essere strumentalizzati dagli intransigenti per aumentare la pressione e potenziare le richieste a Netanyahu per il perseguimento di una linea sempre più dura nei confronti dei palestinesi. La storia insegna che non è una strada che da buoni frutti.