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Onu, stop al fuoco a Gaza: approvata la bozza. Ma è un buco nell'acqua
Gaza

Onu: approvata la bozza per il cessate il fuoco a Gaza ma è zeppa di condizionali 

Il massacro industriale del campo di Nuseirat dello scorso 8 giugno è “una macchia per l’umanità”. Una macelleria umana che ha superato in efferatezza, disumanità e numero il rogo di donne e bambini di Rafah. Ogni volta che si crede raggiunto il limite massimo dell’orrore, Israele alza l’asticella e la posta in gioco sale. Questa volta il Golem vendicatore per liberare 4 ostaggi ne ha uccisi 3, ha perso un soldato, e ha trucidato più di 270 palestinesi innocenti ferendone gravemente oltre 700. Una mattanza che in sole due ore d’inferno, che i sopravvissuti hanno paragonato “all’ora del giudizio”, ha spezzato e sconvolto le vite di mille persone. Mille in due ore. Vuol dire cinquecento in un’ora, otto al minuto. Questo il freddo resoconto dei numeri. Così abbiamo capito due cose: che le vite dei palestinesi non contano, mentre quella di ogni israeliano vale 250 nativi palestinesi. Conti alla mano, per 4 ostaggi riportati a casa, tutti in buona salute e ottima forma – il contrario di quel che accade ai palestinesi che tornano dalle segrete israeliane -, il prezzo pagato dai dannati in carne e ossa della Striscia è stato mille “danni collaterali”. Danni causati dalla più micidiale, subdola e criminale “operazione militare” messa a segno dall’esercito più etico del mondo dal 7 ottobre 2023.

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Di fronte all’inqualificabile crudeltà e abominio di quell’azione, attuata, non bisogna mai dimenticarlo, con il supporto e la collaborazione degli Stati Uniti e l’utilizzo del famigerato pontile galleggiante che qualche “gola profonda” sussurra venga usato non solo per portare aiuti umanitari, ieri sera il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato la bozza di risoluzione della tregua in tre fasi. La stessa che lo scorso 31 maggio Biden ha reso pubblica affermando fosse israeliana. Un piano di cessate il fuoco che fin dal principio ha suscitato non poche perplessità. Al punto che in alcuni membri del Consiglio di Sicurezza è sorto il dubbio che Israele lo avesse davvero accettato. E Blinken, le cui informazioni corrono evidentemente su binari in un altrove a noi inaccessibile, lo ha più volte descritto come proposta di Biden. Nella migliore delle ipotesi la destra non sa cosa fa la sinistra. Ma che la narrazione americana e occidentale soffra di scissioni e appaia affetta da schizofrenia è ormai da tempo fuori di dubbio.

Per arrivare alla votazione di ieri sera, richiesta dagli Stati Uniti - gli stessi che hanno sempre posto il veto a ogni risoluzione di tregua, continuando ad armare e supportare la guerra di sterminio di Gaza -, ci sono voluti 8 mesi, 37.000 morti, quasi metà dei quali sono bambini, 85.000 feriti, un numero imprecisato di dispersi, si parla di oltre 15.000, e l’intera distruzione di Gaza, dove è ormai impossibile vivere, da qui fino almeno ai prossimi 100 anni.

Il piano, che dovrebbe porre fine ai combattimenti a Gaza, stabilire una pace duratura e portare alla costituzione dello Stato palestinese - come però resta un enigma visto che la Cisgiordania in questi 8 mesi è stata divorata dagli insediamenti illegali e colpita da espropriazioni selvagge illegittime di vaste proporzioni - è stato accolto da Hamas con ottimismo. Subito dopo il voto ha fatto sapere di “essere disposta a impegnarsi in negoziati indiretti per attuare i principi della risoluzione che sono coerenti con le richieste del nostro popolo e della resistenza”. Esattamente come era stato quando, il mese scorso, ha accettato la proposta per il cessate il fuoco che Netanyahu ha respinto. Quindi non si capisce bene perché gli americani insistano nel ripetere all’infinito che Hamas “questa volta deve accettare”. E a riprova di questo, oggi Sami Abu Zuhri, alto funzionario di Hamas, ha fatto sapere alla Reuters che accettano e sono pronti a negoziare i dettagli, aggiungendo che spetta a Washington garantire che Israele rispetti i patti. Certo è che ad Hamas e ai palestinesi non basta una breve sospensione temporanea dei combattimenti, oltretutto priva di maggiori garanzie che Israele sia davvero pronto a negoziare la fine della guerra. Senza contare che la risoluzione passata ieri è piena zeppa di “would”, “could”, “should”, un sacco di condizionali a favore degli israeliani, mentre per Hamas vengono usati solo ed esclusivamente imperativi categorici.

Sul fronte interno Netanyahu è reduce dall’abbandono di Benny Gantz e del suo partito centrista di Unità Nazionale che ha lasciato il governo di emergenza in segno di protesta contro la gestione della guerra. Un terremoto annunciato che non compromette la sua maggioranza ma certamente lo priva dell’unica voce dissonante e critica presente fra le sue prime linee, aprendo una prateria all’ultradestra messianica che adesso, nella persona di Ben Gvir, reclama il suo posto nel Gabinetto. C’è poi da tener conto della piccola ma tenace marea che si oppone al Primo Ministro, composta dai familiari degli ostaggi e da una piccola percentuale della popolazione che non ci sta ad assistere alla deriva autoritaria e razzista imboccata da anni dallo Stato ebraico. Per non parlare poi della minaccia reiterata, e per ora tenuta nel primo cassetto della sua scrivania, di estendere il conflitto anche al Libano. Secondo le ultime valutazioni, Hezbollah dispone di oltre 150.000 razzi e missili a lungo raggio, se non 200.000, in grado di raggiungere in profondità Israele; a questo si aggiunge il fatto che ha sviluppato anche un vasto sistema di difesa aerea e una forza di commando molto ben organizzata. Se quel fronte s’infiamma, l’inferno che potrebbe derivarne è potenzialmente indomabile, altamente pericoloso per Israele. E in particolare per tutta la Galilea, la prima a venire travolta da questo tsunami di fuoco.

Malgrado tutto questo, Netanyahu ha ribadito che non si fermerà fino a quando “Hamas non sarà distrutta”. È un disco rotto ormai. Come le puntine sui vecchi vinili rigati, continua a saltare sempre e solo sullo stesso solco. Anche perché se dovesse mai, anche solo per sbaglio, scorrere su quelli successivi vari capi d’accusa lo attendono alla fine dei giri.

Puntuale, come una cambiale, nelle stesse ore in cui l’Onu votava il controverso e nebuloso piano per il cessate il fuoco, il Segretario di Stato Antony Blinken è atterrato all’aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv con l’incarico di concretizzare il Piano. È il suo ottavo viaggio in Israele dal 7 ottobre. Non si sa se questa volta, come la prima, sia in visita anche “come ebreo, come marito e come padre”. A giudicare dalle sue prime dichiarazioni, l’equidistanza che dovrebbe garantire non sembra così granitica. E a meno che durante il volo che dall’ Egitto lo ha portato in Israele sia venuto a conoscenza di dettagli a noi tutti sconosciuti, quel che ha detto non sembra in sintonia con la realtà dei fatti e delle dichiarazione sotto le orecchie e gli occhi di tutti. “Il mio messaggio ai governi e ai cittadini di tutta la regione è questo: Se volete alleviare le terribili sofferenze di Gaza, riportare a casa tutti gli ostaggi, mettere israeliani e palestinesi sulla strada verso una pace duratura, allora spingete Hamas a dire sì al cessate il fuoco”. È evidente la stranezza. Sembra un proclama spaziale lanciato dall’Impero Galattico. Una dichiarazione aliena e alienata dal contesto. Molti si augurano che nelle prossime ore eserciti le stesse pressioni anche sui funzionari israeliani. Personalmente dubito lo farà. Non lo ha mai fatto, perché dovrebbe farlo ora?

La danza delle dichiarazioni aliene al contesto è proseguita questa mattina, quando Blinken ha dichiarato che Netanyahu ha "riaffermato il suo impegno" a favore di una proposta per cessare il fuoco a Gaza. "Ieri sera ho incontrato il primo ministro Netanyahu e lui ha riaffermato il suo impegno nei confronti della proposta", aggiungendo che l'accoglienza da parte di Hamas “è un segno di "speranza". Bene. Molto bene. SE non fosse che Netanyahu non ha mai pronunciato nulla di simile in pubblico, né tanto meno ha confermato le sue dichiarazioni.

Volendo tirar le somme sulla storica votazione di ieri alle Nazioni Unite, quattordici Stati su quindici hanno detto sì. Un piccolo miracolo figlio dell’ultima mattanza. L’unico ad astenersi è stato l’ambasciatore russo Vassily Nebenzia, il quale ha affermato di “non essere sicuro della posizione israeliana sull’accordo di cessate il fuoco”. Nebenzia ha chiesto delucidazioni su cosa ha specificamente concordato Israele e ha dichiarato che “il Consiglio non dovrebbe firmare accordi che riportano parametri vaghi”.

Come dargli torto? Tutti i diplomatici hanno d’altra parte affermato che durante i negoziati gli Stati Uniti hanno chiesto ai membri del Consiglio di Sicurezza di fidarsi della loro parola, del fatto che Israele è “on board”, ossia che fa parte della partita. E sempre gli Stati Uniti, padrini di Israele, si sono rifiutati di utilizzare un linguaggio inequivocabile nel testo dell'accordo apparentemente accettato da Israele. Il Piano di risoluzione afferma soltanto che “Israele ha accettato la proposta degli Stati Uniti”, e “chiede” ad Hamas di accettare l’accordo, assegnandoli come padrini e garanti Egitto, Quatar, Russia, Cina e Algeria, unico membro arabo del Consiglio di Sicurezza, nel corso dei negoziati segreti avevano ribadito che il testo appariva troppo sbilanciato a favore di Israele. E questo non depone a favore della sua bontà e imparzialità. Preoccupazioni simili le ha espresse anche la Cina, che a marzo scorso aveva posto il veto alla risoluzione di cessate il fuoco avanzata dagli Stati Uniti proprio perché “non la riteneva sufficientemente ampia”. Ieri l’ambasciatore Fu Cong ha votato a favore “perché vuole vedere la fine dei combattimenti e il rilascio degli ostaggi”. E questo malgrado la risoluzione resti “ambigua sotto molti aspetti”. E poi ha aggiunto: "Abbiamo ancora valide preoccupazioni sul fatto che le parti interessate accetteranno i termini del cessate il fuoco e se l'accordo potrà essere attuato senza intoppi".

Positiva, come sempre, la reazione dell’Autorità palestinese. L’ambasciatore alle Nazioni Unite Riyad Mansour ha affermato che “Questo sforzo è un passo nella giusta direzione. Siamo grati ai nostri fratelli in Algeria, con i quali abbiamo lavorato a stretto contatto per cercare di influenzare il progetto di risoluzione affinché fosse più vicino agli obiettivi dei diritti nazionali del popolo palestinese”.

È dall’inizio della guerra che il Consiglio di Sicurezza si trova in una situazione di stallo. Per otto lunghi mesi non ha mai trovato un modo per porre fine al bagno di sangue massiccio e a senso unico di questo conflitto, adempiendo così al suo mandato di sostenere la pace e la stabilità internazionale. Gli Stati Uniti hanno posto il veto su tre risoluzioni che chiedevano il cessate il fuoco. A marzo, dopo l’astensione degli Stati Uniti, il consiglio ha finalmente approvato la prima risoluzione per un cessate il fuoco umanitario e l’accesso a Gaza degli aiuti più disperatamente necessari durante il Ramadan. Sappiamo tutti che nessuna delle richieste contenute in quella risoluzione sono state rispettate. E ci sono ragionevoli dubbi che possa andare così anche questa volta.

Ma c’è una variabile della quale stiamo imparando a tener conto. Una lezione che i palestinesi stanno dando al mondo: se è vero, come è vero, che la Cina costruisce tutto, nessuno è in grado di costruire il coraggio e la resistenza di Gaza.






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