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Esteri
Palestina, prove di pace tra Hamas e Fatah: verso un governo di consenso nazionale

Guerra a Gaza, la Cina media un accordo interno tra fazioni palestinesi per la gestione postbellica della Palestina

Ieri, in un incontro mediato dalla Cina che si è svolto a Pechino, i rappresentanti delle fazioni palestinesi rivali Hamas e Fatah, unitamente ad altri 12 gruppi palestinesi, dopo quasi una settimana di colloqui nel corso dei quali si sono impegnati a lavorare per l’unità, hanno firmato una dichiarazione in cui accettano di formare un "governo di riconciliazione nazionale" ad interim per la Cisgiordania occupata e Gaza dopo la guerra con Israele. La riconciliazione di martedì fra Hamas e Fatah è l’ultima di una lunga serie e, in verità, nessuna fino ad oggi ha mai portato alla fine dello scisma.

La profonda spaccatura fra i due risale al 2007, in seguito alle elezioni legislative palestinesi vinte l’anno prima da Hamas, grazie soprattutto ai voti raccolti a Gaza. Una vittoria formalizzata il 29 marzo 2006, giorno in cui Ismail Hanyeh, esponente di spicco di Hamas, viene nominato Primo Ministro dell’Autorità Palestinese e giura davanti al parlamento dando vita a un nuovo governo, con Fath all’opposizione.

I risultati delle urne, come prevedibile, scatenano reazioni negative in Israele, Stati Uniti e Unione Europea; mentre ricevono plauso e consenso da parte del governo iraniano e altri stati arabi. Al-Fath, che non digerisce la sconfitta e decide anche di non partecipare al governo con i rivali, cova la vendetta. Dopo mesi di tensioni e assassinii, il 15 dicembre il presidente palestinese Mahmoud Abbas, leader di Fatah, scioglie il parlamento e indice elezioni anticipate.

Per Hamas è un vero e proprio golpe sul quale, per altro, gravano mesi di violenze e di morte, che raddoppiano nei mesi seguenti. Secondo un gruppo palestinese per i diritti umani, il Palestinian Independent Commission for Citizens' Rights, più di 600 palestinesi vengono uccisi nei combattimenti fra gennaio 2006 e il maggio dell’anno successivo. Dopo mesi di lotte e di battaglie, in Cisgiordania come a Gaza, all’inizio di giugno 2007, nel bel mezzo degli attacchi israeliani nella striscia, scatenati in risposta ai continui bombardamenti effettuati da Gaza sulla città di Sderot, Hamas mette sotto assedio il quartier generale del Fath a Gaza, nel quale sono asserragliati 500 combattenti.

Dopo ore di intensi combattimenti ne prendono il controllo e, contestualmente, conquistano diverse altre postazioni di Fath lungo tutta la Striscia. A metà giugno i centri di Beit Lahiya e Jabàliyya sono sotto il totale controllo di Hamas, insieme al nord della Striscia, dichiarata "area militare chiusa". Nel corso di quattro sanguinosi giorni di combattimento Gaza passa sotto il controllo di Hamas. Il governo israeliano, in risposta alle violenze, chiude tutti i check-point sui confini con Gaza.

Preso il controllo, Hamas espelle violentemente Fatah dal territorio, scatenando un ulteriore bagno di sangue che semina morti nell’uno e nell’altro campo. Da allora, l’Autorità Palestinese, dominata da Fatah, ha il controllo di alcune parti, sempre più ridotte, della Cisgiordania. Mentre Hamas quello della Striscia di Gaza, dove la guerra non è iniziata il 7 ottobre ma va avanti da decenni, fra bombardamenti, massacri, devastazioni e migliaia di morti provocati da Israele, e altrettante gravi responsabilità e crimini commessi da Hamas.

Tornando al presente, e agli accordi siglati in Cina, in una dichiarazione pubblicata su Telegram, il portavoce di Hamas, Hossam Badran, ha affermato che la dichiarazione è un “ulteriore passo positivo nel percorso verso il raggiungimento dell’unità nazionale palestinese”, e ha aggiunto che i gruppi sono d'accordo sulle "richieste palestinesi relative alla fine della guerra che sono: un cessate il fuoco, il ritiro completo dalla Striscia di Gaza, aiuti e ricostruzione".

Ha poi aggiunto che la parte più importante di ciò che è stato concordato è quella di “formare un governo di consenso nazionale palestinese che gestisca gli affari del nostro popolo a Gaza e in Cisgiordania, supervisioni la ricostruzione e prepari le condizioni per le elezioni”. L’intera impalcatura si riduce tuttavia a una mera dichiarazione di intenti dal momento che, sulla via della sua realizzazione, si frappongono non pochi ostacoli, alcuni quasi insormontabili, a partire dallo Stato ebraico. Israele, che ha promesso di porre fine alla guerra solo quando avrà distrutto Hamas - affermazione ambigua, oltre che illusoria - ha prontamente bocciato la dichiarazione di Pechino.

"Invece di respingere il terrorismo, Mahmoud Abbas abbraccia gli assassini e gli stupratori di Hamas, rivelando il suo vero volto", ha scritto su X il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz, il quale ha poi aggiunto "In realtà, questo non accadrà perché il governo di Hamas verrà schiacciato e Abbas osserverà Gaza da lontano. La sicurezza di Israele rimarrà esclusivamente nelle mani di Israele".

Il sostegno della Cina alla causa palestinese risale ai tempi di Mao Zedong, che inviò armi ai palestinesi a sostegno dei cosiddetti movimenti di “liberazione nazionale” in tutto il mondo. Mao, all’epoca, arrivò a paragonare Israele a Taiwan – entrambi sostenuti dagli Stati Uniti – identificando entrambi come teste di ponte dell’imperialismo occidentale. Oggi, come allora, la posizione espressa da molti funzionari cinesi, e dallo stesso presidente Xi Jinping, guarda con favore alla nascita di uno Stato palestinese indipendente, senza il quale non vi può essere pace né da una parte né dall’altra della barricata.

Allo scopo di favorire i colloqui, il presidente cinese Xi ha anche inviato i suoi migliori diplomatici in Medio Oriente, e recentemente ha ospitato leader arabi per una conferenza a Pechino. Secondo il Ministro degli esteri cinese Wang Yi, raffinato regista delle strategie diplomatiche cinesi, la Dichiarazione di ieri rappresenta il “punto più importante per gestire Gaza post conflitto”. La grande incognita resta l’impatto che quest’intesa potrà avere sul campo.

Il conflitto in corso a Gaza, dove il numero totale dei morti oggi ha superato le 39.100 persone, mentre oltre 90.000 sono i palestinesi feriti, unito alle sempre più violente e sanguinose rappresaglie e campagne repressive di Israele in Cisgiordania, è esploso in un momento in cui la Cina aspira a occupare una posizione di rilievo nello scacchiere politico internazionale. Presentendosi al mondo come un pretendente migliore rispetto agli Stati Uniti, ormai sul viale del tramonto, si muove con flemmatica destrezza nell’arena politica mondiale. L’anno scorso, senza far troppo rumore, ha portato a casa un risultato affatto scontato: mediando un accordo tra i rivali storici del Medio Oriente, Iran e Arabia Saudita, ha contribuito a ristabilirne i legami, interrotti nel 2016.

Tutti gli aggiornamenti e gli articoli di M. Alessandra Filippi sul suo canale Telegram: https://t.me/boost/mafodysse






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