Esteri
Nuova guerra fredda? Tecnologica e a colpi di chip. Coinvolta anche l'Italia
I semiconduttori sono un capitolo fondamentale per lo sviluppo hi-tech e militare. E intorno a questi microchip si combatte una battaglia globale
Il caso del golden power di Draghi sull'italiana Lpe
Entrambi gli attori cercano l'autarchia tecnologica, in particolare nel settore dei semiconduttori. A finire in mezzo al tiro di fuoco dei due colossi sono i governi e i produttori dei paesi terzi, Italia compresa. Qualche settimana fa, il governo Draghi ha utilizzato lo strumento del golden power per impedire l'acquisizione della Lpe, una piccola azienda di semiconduttori di Baranzate (provincia di Milano) da parte di un'azienda cinese. Il nuovo esecutivo italiano, evidentemente molto più atlantista dei due precedenti, deve ancora farsi perdonare del tutto l'adesione alla Belt and Road, siglata nel marzo 2019 dal governo gialloverde alla presenza di Xi Jinping a Roma e mai andata giù a Washington e dintorni. Ecco allora l'alt alle mosse delle aziende di Pechino intorno a settori che per gli Usa sono il cuore della competizione tecnologica con la potenza emergente.
Il ruolo di Taiwan nella sfida sui semiconduttori
E poi c'è Taiwan. La parola chiave è TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co.), leader mondiale nella produzione di semiconduttori, elemento essenziale per lo sviluppo del 5G (non a caso in questi ultimi mesi Pechino ha fatto una poderosa campagna acquisti di ingegneri e tecnici della Tsmc) e dell’intera economia digitale. Tanto per intenderci: il colosso di Hsinchu ha il 54,1% del mercato mondiale nel settore fabbricazione e assemblaggio. Il primo competitor, Samsung, ha il 15,9%, mentre la cinese Smic ha il 4,5%. L’industria dei semiconduttori rappresenta circa il 15% del pil taiwanese, in un’economia votata all’export di componenti elettronici, soprattutto verso Pechino e Hong Kong (60%).
Semiconduttori, questione di nanometri
L'importanza dei produttori taiwanesi non è solo quantitativa, ma anche qualitativa. La TSMC produce già semiconduttori da 3 nanometri e ha fatto trapelare nelle scorse settimane che nei prossimi anni riuscirà ad arrivare a costruirne da 1 nanometro. I competitor cinesi hanno abbattuto solo di recente il muro dei 10 nanometri. Questo fa capire il ritardo competitivo dei produttori del Dragone, che non a caso si sono sempre appoggiate all'import da Taiwan. Huawei, per esempio, pesava tra il 14 e il 15% del business di TSMC.
Trump e Biden cooptano le aziende taiwanesi
Questo però è stato cambiato da Trump, che nel 2020 ha imposto l’obbligo di licenze speciali per i fornitori di Huawei e altre aziende cinesi che utilizzano tecnologie o sistemi di produzione made in Usa. Da settembre 2020 è stato bloccato l'export di TSMC verso i colossi delle telecomunicazioni cinesi. Una mossa non revocata, anzi ampliata, da Biden, che sta cercando non solo di accaparrarsi la tecnologia taiwanese (il cui governo avrebbe preferito mantenersi in una posizione più sfumata su un business ritenuto strategico e anche deterrente nei confronti di possibili azioni militari cinesi nei confronti di Taiwan), ma anche di costruire catene di approvvigionamento che rafforzino l'esclusione della Cina e prefigurino possibili alternative ai colossi di Taipei.
Anche l'Europa investe sui semiconduttori
E l'Europa? A dicembre 2020 l'Unione europea ha approvato un piano di sviluppo digitale che prevede di incrementare nettamente gli investimenti in semiconduttori e arrivare a produrre in-house il 20% (dall'attuale 10%) della produzione totale mondiale, nonché abbassare a 2 nanometri la dimensione dei semiconduttori prodotti. Anche qui, l'obiettivo è cercare di diventare almeno in parte autosufficienti e mettersi al riparo dalle tempeste geopolitiche causate dalla sfida in atto a colpi di semiconduttori e nanometri.