Esteri
Tigray, dopo la tregua la sfilata dei "soldati" catturati. La fiction del Tplf
Certo, dopo anni spesi per imparare a verificare le fonti, fotografiche e non, è allarmante vedere che tale cassetta degli attrezzi non sia stata per tutti la compagna di viaggio verso il Tigray. L’informazione corretta, durante un conflitto, può salvare molte vite, ma lo scontro tra Tplf e governo di Addis Abeba sta dimostrando, al contrario, la fragilità dei media occidentali.
Clamoroso il caso della giovane “MonnaLiza”, per la stampa occidentale vittima e simbolo degli abusi dei soldati etiopici, che successivamente si è scoperto essere una combattente del Tplf ferita durante l’attacco del 4 novembre al Comando Nord. Per non dire del prete ortodosso, presunto testimone oculare dei massacri di Axum e dell’incendio della sua stessa chiesa, che in realtà non era un prete ma un signore di Boston ingaggiato nel ruolo.
Purtroppo a pagare il prezzo di questa pessima informazione, coordinata anche dalla diaspora estera filo Tigray, sono soprattutto le persone che vivono nella regione. Si vuole colpire il governo centrale, ma a pagare il prezzo più alto sono loro che, anche se non combattono, non hanno più la casa, le medicine, gli ospedali. Che devono dipendere dagli aiuti, che non hanno acqua né elettricità. Tutto per la cupidigia di un gruppo abituato al potere che non ha voluto perdere status e ricchezza con l’alternanza di governo. Un partito che ha deciso di abbandonare Addis Abeba, di non stare all’opposizione, ma di organizzare la guerra. Mettendo la propria regione e i compaesani nella condizione di fare i conti con la fuga, o peggio, la morte della generazione più giovane, cui hanno tolto la serenità dell’avvenire.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO Buon pomeriggio, mi presento: sono un cittadino etiope di padre tigrino (4 generazioni in Eritrea), madre eritrea, nato e vissuto in Eritrea sino all'età di 22 anni. Ho passato la parte iniziale della mia vita sotto il Derg di Menghistu Hailemariam, per poi passare alla "democrazia illuminata" di Isaias Afewerki sino alla partenza forzata (ufficialmente mai dichiarata da parte eritrea) a partire dal 1998. Avendo io genitori, fratelli, sorelle, cugini, nipoti e cognati in ogni dove fra Etiopia ed Eritrea, (3 zii guerriglieri per l'Eritrea durante il Derg, di cui uno martire) ed in qualche modo riesco ad ottenere notizie di prima mano, rimango esterrefatto dalla narrazione fantasiosa della Vs "giornalista" Marilena Dolce, che per lavoro giornalistico intende un copia ed incolla delle verità ufficiali di Abiy Ahmed ed Isaias Afewerki. La Signora Dolce potrebbe cortesemente spiegare quanto segue: -perchè fra i disperati che giungono sui barconi dopo aver affrontato morte in mare, nel deserto, trafficanti di organi, stupri ripetuti, ci sia una gran percentuale di Eritrei? -prego poi di commentare le parole del premio Nobel per la "pace" da suo un discorso presso il parlamento Etiope dai video del link di seguito: https://eritreahub.org/how-prime-minister-abiy-encourages-rape-in-his-public-statements Provi la Signora Dolce a dare un senso a tutto ciò, visto che i due capi di stato sono da Lei portati in palmo di mano e la colpa è di tutti gli altri che invece sono brutti sporchi e cattivi. Se non si parlasse di fatti tragici, la versione della "reporter" per cui gli stessi Tigrini abbiano distrutto il loro territorio uccisi i loro conterranei e stiano impedendo che questi ultimi siano soccorsi dagli aiuti umanitari potrebbe addirittura far ridere perché assume i contorni di uno stato di delirium tremens. Rimango in attesa di Vs riscontro curioso di conoscere cosa la Vs "imparziale" inviata di guerra si inventerà ora. Se non siete a conoscenza dei fatti realmente accaduti, Vi consiglio di non parlarne; tacendo si corre pure il rischio di apparire colti ed intelligenti. Mi congedo augurando a tutti Voi e Vs cari di non aver mai a che fare con personaggi del calibro di Abyi ed Isaias. Buona vita a tutti. Aron LA RISPOSTA DI MARILENA DOLCE Capisco dalla sua biografia lo stato di tensione provocata dall’attuale conflitto nella regione del Tigray in Etiopia. Perciò le rispondo, immaginando, in questo modo, di rispondere anche ad altri che si pongono le sue stesse domande. Come mai una giornalista italiana, senza virgolette perché appartengo all’ordine, si occupa di Tigray? Come mai segue questo conflitto ignorato dalla stampa italiana? Come fa? Che fonti utilizza? Lo scorso 25 febbraio, su pressione internazionale, il governo di Addis Abeba ha accreditato sette testate internazionali, AFP, Al Jazeera, New York Times, Reuters, BBC, Financial Times perché mandassero inviati e fotoreporter nel Tigray. Tra loro nessuna testata italiana. Questo non significa però che non se ne possa scrivere dall’Italia. Personalmente, oltre alle organizzazioni internazionali Unhcr, Msf, a quelle nazionali, Sant’Egidio, ho intervistato etiopici, diplomatici dell’Unione Europea, preti cattolici con missioni nel Tigray, volontari di diverse organizzazioni. Grazie alle loro parole, ai comunicati di agenzia e, soprattutto, ad un attento vaglio delle fonti, anche quelle fotografiche e video, dallo scorso 4 novembre sto scrivendo quanto accade nella zona di guerra. Il Tigray, come il resto del paese, è stato governato dal 1991 al 2018 dal Tplf (Tigray People’s Liberation Front). A quella data, ereditando uno stato d’emergenza, diventa premier Abiy Ahmed, che appartiene in parte all’etnia oromo, in parte amhara. Mentre Abiy riceve nel 2019 il premio Nobel per la Pace, il Tplf abbandona le cariche di governo e, a novembre 2020, attacca la riserva nazionale di armi che si trova nella regione che amministra. Una dichiarazione di guerra contro il governo centrale. Da fine giugno, come richiesto dalla comunità internazionale, è in vigore un cessate il fuoco unilaterale a cui il Tplf risponde, parlando alla Reuters via telefono satellitare, con frasi lapidarie e poco concilianti: “la capitale del Tigray è ora sotto il nostro controllo”. Nel frattempo le persone che vivono nel Tigray sono tra l’incudine e il martello. Riceveranno gli aiuti per cui è stata proclamata la tregua? Su sei milioni di abitanti, un terzo è sfollato e la gran parte ha bisogno di generi di prima necessità e alloggi. Il governo di Abiy, che nel frattempo ha vinto le elezioni, si è allineato alle richieste internazionali che hanno anche imposto un’indagine su crimini contro l’umanità, condotta da due agenzie, una internazionale l’altra interna. Però la pace non si sta avvicinando e il Tplf resta sul piede di guerra. Lei chiede, inoltre, di spiegare perché gli eritrei escano clandestinamente dal paese affrontando, aggiungo, viaggi costosi, pericolosi e il pericolo della morte in mare. In estrema sintesi: l’Eritrea è un paese giovanissimo, diventato indipendente nel 1991, dopo trent’anni di guerra. Dal 1998 al 2000 un nuovo scontro contro l’Etiopia scombina gli equilibri interni. Una condizione di instabilità che perdura diciotto anni, fino all’arrivo in Etiopia del premier Abiy. E nel frattempo i giovani? Per moltissimi vivere nel proprio paese, con il nome Eritrea, non più Etiopia, sul documento, vale il sacrificio, per altri no. Comunque, nel 2012, in un intervento alla Clinton Foundation, l’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, riferendosi all’Eritrea, disse di voler aiutare le organizzazioni che ne avessero fatto fuggire i giovani. E così è stato, come l’alto numero di migranti arrivati in quegli anni dalla Libia in Italia, paese di transito, ha dimostrato. In chiusura, oltre ai saluti, la invito, attraverso il giornale, a mettersi in contatto con me, se ritenesse di poter testimoniare direttamente, cioè non riportando quanto letto su blog o social, sull’attuale situazione nella regione del Tigray. @marilena dolce |