Esteri
Trump: via i direttori di Cia e Fbi. Barr apre l'indagine per frode elettorale
Il direttore dell'Fbi, Christopher Wray e quello della Cia, Gina Haspel potrebbero essere i prossimi licenziati da Donald Trump, secondo quanto avrebbe detto l'ormai ex capo del Pentagono Mark Esper a un altro funzionario della Difesa. A riferirlo è la Cnn, poche ore dopo che Esper è stato licenziato con un tweet dal presidente e sostituito con Christopher Miller.
Intanto, Fox News ha 'oscurato' la portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, mentre teneva una conferenza stampa della campagna di Trump, durante la quale ha accusato i democratici di "aver sfruttato frodi e voti illegali" nelle elezioni.
Affermazioni senza il necessario fondamento, secondo il conduttore Neil Cavuto che ha interrotto la messa in onda. "A meno che lei non abbia maggiori dettagli a sostegno di quello che dice, non posso continuare a mostrare (la conferenza stampa) in buona fede", ha affermato, sottolineando che "accusare l'altra parte di truccare e barare" è "esplosivo". "Se porta le prove di quanto dice, riprenderemo il collegamento", ha aggiunto.
Fox News è sempre stata molto vicina a Trump durante i quattro anni della sua amministrazione, ma di fronte alla vittoria di Joe Biden, insieme agli altri media conservatori di proprietà di Rupert Murdoch, si è riposizionata, invitando il magnate a comportarsi con "compostezza".
Già venerdì scorso, mentre il presidente Trump parlava in diretta tv alla nazione, accusando i democratici di utilizzare "voti illegali" per "tentare di rubare le elezioni", diverse emittenti televisive statunitensi - come Msnbc, Nbc News e Abc News - avevano interrotto la diretta.
Il procuratore vicino a Trump dà il via all'indagine sui presunti brogli
Come promesso, il presidente Usa, Donald Trump, che ancora non ha riconosciuto la sconfitta elettorale, va alla battaglia legale per il riconteggio dei voti: contestando la vittoria di Joe Biden alla presidenza, il suo team legale ha avviato una denuncia in Pennsylvania, sostenendo che Filadelfia e Pittsburgh sono state inondate dai brogli: gli avvocati hanno chiesto un'ingiunzione di emergenza per impedire ai funzionari statali di certificare la vittoria di Biden nello Stato.
Nel frattempo il procuratore generale degli Stati Uniti, Bill Barr, ha autorizzato i pubblici ministeri federali ad avviare indagini sulle presunte irregolarità nel voto. Barr, a lungo uno strenuo difensore del presidente, ha spiegato che la sua mossa non significa che il ministero abbia in mano prove a sostegno della tesi della Casa Bianca, ma ha liberato i pubblici ministeri dalle restrizioni su indagini di questo tipo.
Una scelta che ha avuto un'immediata ripercussione al ministero della Giustizia: subito dopo il suo annuncio, in segno di protesta, ha annunciato le sue dimissioni Richard Pilger, alto funzionario del Dipartimento di giustizia responsabile proprio delle indagini sui brogli elettorali. Pilger contesta a Barr di esser venuto meno alla "linea politica di non interferenza" segnata da quarant'anni nelle indagini sulle frodi elettorali.
Le indagini sui brogli sono normalmente di competenza dei singoli Stati, che stabiliscono e controllano le proprie regole elettorali. La politica del Dipartimento di Giustizia è stata finora quella di evitare qualsiasi coinvolgimento federale fino a quando i conteggi dei voti non siano certificati e i riconteggi completati. Ma Barr ha detto ai procuratori che, "trattandosi di pratiche che non sono mai veloci", se trovano qualcosa che potrebbe invertire i risultati delle elezioni, devono aprire un'indagine. Di fatto in tal modo Barr ha messo i procuratori federali al servizio della strategia di Trump ed il timore adesso è che il Dipartimento di Giustizia finisca nella battaglia elettorale.
Trump avrebbe fatto pressioni su Barr già settimane prima delle elezioni; e il procuratore generale era scomparso per diverse settimane, fino a quando ieri è stato visto a un incontro con il leader della maggioranza repubblicana in Senato, Mitch McConnell. Il presidente si batte per invertire le vittorie del rivale democratico in diversi Stati chiave - Pennsylvania, Nevada, Georgia e Arizona - che danno a Biden abbastanza voti elettorali per vincere le elezioni presidenziali complessive.
La campagna di Trump e il partito repubblicano hanno intentato o minacciato azioni legali in diversi Stati (una decina di cause avviate, alcune già ritirate) sperando di cambiare il risultato con squalifiche e riconteggi. Ma finora le loro azioni non hanno prodotto risultati: deve portare le prove delle accuse, e comunque, anche qualora vincesse, non è detto che questo gli basterebbe per rivendicare la vittoria. Nella sua battaglia, il presidente trova il Gop ancora compatto nel sostenerlo. Finora solo tre senatori repubblicani si sono ufficialmente schierati con Biden: dopo Mitt Romney e Lisa Murkowski, lunedì è stata la volta di Susan Collins che ha rotto gli indugi e ha fatto le "congratulazioni al presidente eletto (tra l'altro, il suo nome è girato per un suo possibile ingresso nella squadra della futura amministrazione).
I repubblicani per ora non contestano la sua narrativa, che le elezioni gli siano state rubate: anzi, per la prima volta in pubblico dopo il voto, Mitch McConnell, il leader della maggioranza repubblicana, lunedì ha parlato in modo deciso proprio nell'aula al Congresso. Trump, ha detto, ha "il pieno diritto di accusare di irregolarità e valutare le sue opzioni legali".