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Von der Leyen riconfermata, ma i cittadini Ue non la vogliono. FdI tiene il punto, e pensa al prossimo commissario

VON DER LEYEN RIELETTA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE

Von der Leyen riconfermata, ma i cittadini Ue non la vogliono: analisi

Dopo un discorso assai ecumenico durato poco più di un’ora, caricato forse di eccessive aspettative, visto che certamente non sarà ricordato tra i più memorabili ascoltati nella plenaria di Strasburgo, Ursula Von der Leyen, con 401 voti viene rieletta presidente della Commissione per i prossimi cinque anni. Singolare che la maggioranza “certa” su cui avrebbe dovuto contare la presidente designata che comprendeva appunto socialisti liberali e popolari fosse proprio di 401. Ma è evidente che si tratta di una semplice coincidenza numerica, perché la presidente è stata eletta proprio grazie ai voti dei Verdi, che cinque anni fa non la votarono, anche se proprio il tema del green deal fu la vera architrave della politica europea.

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Cinque anni fa erano stati i Cinque stelle ad essere decisivi (per poi pentirsene molto presto), ora i Verdi. Il primo commento che sorge naturale fare è che, come ha scritto, tre giorni fa, il quotidiano Politico, e come sottolineato anche da Nicola Procaccini, copresidente dell’Ecr in aula, è che la presidente ha vinto grazie al voto di chi inesorabilmente esce sconfitto dal voto del giugno scorso. Socialisti, verdi e liberali soprattutto che hanno visto scendere i propri consensi, restano i capisaldi della nuova maggioranza. Coloro che invece sono usciti vincitori, a parte i popolari, di cui la von der Leyen fa parte, hanno votato contro la sua riconferma. La riconferma della presidente a Strasburgo ha sostanzialmente tradito quello che è stato il voto espresso dalla maggior parte dei cittadini europei, che manifestava la richiesta di un deciso cambiamento rispetto al passato.

Le aperture della von der Leyen sulla politica migratoria, con la promessa della creazione di un nuovo commissario del sud (chiaro segnale alla meritoria politica degli accordi con i paesi di partenza dei flussi portata avanti da Giorgia Meloni) e sulla difesa comune sono sembrati forse troppo deboli e un po’ interessati per cercare di allargare il più possibile il consenso. Alla fine, il risultato è stato raggiunto, ma la domanda sorge spontanea, a quale prezzo? Ha ancora senso continuare ad insistere con una maggioranza che pare non avere più la fiducia della maggioranza dei cittadini europei? Non sarebbe il caso di smetterla con i giochetti di palazzo, creando maggioranze variopinte, che poco o nulla hanno da spartire tra di loro? Alla von der Leyen forse è mancato il coraggio di gettare il cuore oltre all’ostacolo, quella caratteristica che distingue sostanzialmente i grandi leader dai semplici gregari. Secoli fa Tucidide scriveva che  “Il segreto della felicità è la libertà, e il segreto della libertà è il coraggio”. Parole sacrosante che tornano attualissime ai giorni nostri e che dovrebbero far riflettere chi si riempie la bocca di democrazia e libertà, ma poi usa le stesse armi come strumento di propaganda politica. Il coraggio che avrebbe dovuto farle riconoscere che il green deal partorito dal suo ex commissario Frans Timmermans, era intriso di ideologia e di dogmatismo, e che ha prodotto danni alla competitività delle imprese europee e che andava cambiato radicalmente.

Il coraggio di parlare più chiaramente di difesa comune e di politica industriale e di bilancio. Il coraggio di affrontare l’aula senza il timore di essere bocciata, perché come diceva De Gasperi i leader pensano alle generazioni future, mentre i politici alle prossime elezioni. Ma come diceva Don Abbondio nei promessi sposi uno se “il coraggio non lo ha non se lo può dare”. La von der Leyen ha cercato fino all’ultimo di assicurarsi anche il sostegno di Fratelli d’Italia (perché quello di tutto l’Ecr era francamente un'impresa quasi impossibile). Tanti gli abboccamenti, anche durante il suo discorso in plenaria, la sua sintonia con Giorgia Meloni ha prodotto risultati apprezzabili sul tema dei migranti. Ma evidentemente i veti incrociati e le illiberali pretese da parte delle sinistre di decidere chi sia degno o meno di avere parola nelle istituzioni europee, ha avuto il sopravvento. Fratelli d’Italia dopo lunga e attenta riflessione, non ha potuto che decidere per un voto contrario alla riconferma. Giorgia Meloni evidentemente non ha apprezzato, come ha sostenuto il capo delegazione del partito Carlo Fidanza, l’appoggio chiesto ed ottenuto da parte dei verdi.

Questo evidentemente è stato il fattore che ha convinto a votare contro, perché la premier aveva chiesto una decisa discontinuità sul green deal, vero totem irrinunciabile della ideologia ambientalista di Verdi e sinistre. Si trattava di una questione di principio e di coerenza, come ha detto sempre Nicola Procaccini “noi restiamo quelli che siamo, ovvero moderati nei toni ma estremamente fermi nei principi e per noi votare a favore di von der Leyen avrebbe significato andare contro alcuni nostri principi”. I principi e la coerenza che hanno permesso ad un partitino del 4% di arrivare ad essere il primo partito italiano con il 29%, la stessa coerenza che ha impedito al partito di entrare nella maggioranza del governo Draghi, la stessa coerenza che ha permesso di tenere la posizione fermamente atlantista e pro-Ucraina, malgrado i contrasti all’interno della maggioranza.

Ma è impensabile che questo voto sia stato determinato da qualche chiusura da parte della presidente in merito alla nomina del commissario di peso destinato all'Italia. E’ assolutamente impensabile in qualsiasi condizione che il nostro paese, al pari di Germania e Francia non ottenga un commissario di peso, qualsiasi cosa possa accadere. Ma in questo caso, dove proprio il nostro Paese è, come forse mai prima d’ora, in una posizione di forza sia contro la Germania, di un sempre più mal sopportato Scholz, e della Francia, nel pieno caso post elezioni, dove qualcuno comincia addirittura a balenare scenari di dimissioni per lo stesso Macron.

L’Italia in questo caso anzi paradossalmente ha forse fatta la cosa più giusta, tornando protagonista sulla scena perché ha tenuto il punto fermo, anche rispetto all'atteggiamento tenuto nell'ultimo Consiglio europeo, e nello stesso tempo ha mostrato la coerenza di non partecipare a votazioni con socialisti e verdi, cosa da sempre negata con forza. Con questa mossa ha voluto ancora una volta sparigliare le carte e dare un segnale forte a chi, in Europa pensa di poter ancora dare le carte, dopo la sonora bocciatura del voto dello scorso giugno. Si vedrà nei prossimi giorni, ma resta il fatto che, chi conosce bene gli ambienti che contano nella capitale belga è certo che uno come Raffaele Fitto (se davvero sarà lui il prescelto) possa dormire tranquillamente tra due guanciali. Sia per la sua indiscutibile autorevolezza e sia per i suoi ottimi rapporti con tutto l’ambiente europeo.






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