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“La prima regina”: il romanzo su Margherita di Savoia
Alessandra Selmi torna in libreria con un romanzo storico che vede protagonista casa Savoia e gli anni dell’Ottocento in Italia

Nel panorama della narrativa storica contemporanea, La prima regina di Alessandra Selmi emerge come un’opera dal profondo respiro letterario, capace di coniugare rigore documentario, introspezione psicologica e una
visione femminile potente e raffinata. Pubblicato da Casa Editrice Nord lo scorso febbraio, il romanzo si propone di raccontare la figura di Margherita di Savoia, prima regina d’Italia, restituendole non solo
uno spazio nella Storia, ma anche una profondità umana di rara intensità.
Se, infatti, come spiega l’autrice stessa, sono tante le biografie pubblicate sia sulla sovrana che sul consorte Umberto I, mancava del tutto un libro che fosse in grado di raccontare la donna – nonché
l’uomo, e la coppia – al di là del loro ruolo pubblico, provando a immaginare quali potessero essere i sentimenti di una giovane di sangue reale nata, educata e indirizzata sin da bambina verso il proprio destino, al
quale non sarebbe mai potuta sfuggire.
Siamo negli anni cruciali della seconda metà dell’Ottocento, in un’Italia ancora in formazione, dove i confini geografici si ridefiniscono e quelli identitari si intrecciano con le dinamiche della monarchia. In
questo scenario, una Margherita nonostante tutto ancora ingenua e piena di sogni viene cresciuta secondo il rigido cerimoniale sabaudo, costretta ad abbandonare i propri desideri per piegarsi al dovere dinastico. Nipote di re,
figlia di una principessa prussiana e designata al trono come moglie del cugino Umberto, la protagonista di La prima regina si muove tra le maglie di un potere che la vorrebbe decorativa e silenziosa.
Eppure, attraverso pagine dense di emozioni e riflessioni, la futura sovrana costruisce il proprio ruolo con intelligenza, diplomazia e uno spirito moderno, consapevole dell’immagine pubblica ma profondamente legata alla
propria coscienza individuale. Il romanzo segue il suo percorso dall’arrivo della coppia presso la Villa Reale di Monza dopo il matrimonio nel giugno del 1868 fino alla morte di Umberto per
omicidio nella stessa amata città nel luglio del 1900, quindi dall’ingresso ufficiale di Margherita nel palcoscenico del Regno d’Italia attraverso l’affermazione come simbolo nazionale, madre
dell’erede e patrona della cultura, fino alla malinconica, rassegnata e nostalgica uscita di scena.
Alessandra Selmi, originaria proprio di Monza, è editor, agente letteraria e autrice di straordinaria sensibilità. Dopo il successo di Al di qua del fiume – romanzo ambientato a Crespi
d’Adda, premiato con il Campiello Junior nel 2023 – è tornata in libreria con una narrazione che unisce passione storica e sapienza letteraria, ma anche molta immaginazione ed empatia femminile. Grazie anche agli studi
umanistici, è nota per il suo impegno nella divulgazione attraverso la narrativa, così da rendere accessibili, ma senza semplificazioni, le complessità del passato.
Intervistata da varie testate, la Selmi ha raccontato il lungo lavoro di ricerca alle spalle del romanzo: “Mi sono immersa nei diari, nelle lettere, negli archivi reali e perfino nei ricettari di corte. Volevo restituire a
Margherita quella voce che la storia ufficiale ha soffocato sotto il peso delle cerimonie e delle crinoline”.
È però anche nella nota finale che l’autrice lascia emergere tutta l’originalità dell’opera, in quanto sottolinea la sua volontà di uscire dai binari già tracciati finora. «Questo libro non vuole essere una ricostruzione cronachistica, ma è il frutto di una rielaborazione narrativa realizzata in chiave artistica e creativa. Se infatti saggi, biografie, quotidiani e documenti ci mostrano la superficie visibile degli avvenimenti, i romanzi – o, almeno, questo romanzo, - provano a raccontarci anche il mondo sotterraneo e affascinante delle emozioni. Si tratta, com’è ovvio, di mere supposizioni. Nessuno può sapere di preciso cos’abbia provato Margherita nel giorno delle proprie nozze o Umberto pronunciando il suo giuramento da re. Ma è proprio questo che io, da appassionata di Storia, volevo sapere: come si sono sentite quelle persone. In altre parole, in cosa loro sono simili a me, e io a loro».

Figura chiave del libro, Margherita di Savoia viene sottratta alla rigida iconografia da cartolina per diventare una donna tridimensionale. Colta, appassionata di letteratura e di alpinismo, attenta alla questione sociale,
è qui descritta con una delicatezza che sa valorizzarne tanto la fragilità quanto la determinazione: lungi dall’essere solo moglie del re e madre del futuro sovrano, Margherita è raccontata come una mediatrice tra
il vecchio e il nuovo, tra la corte e il popolo.
È però anche la donna rifiutata che soffre per i continui tradimenti del marito, per il suo negarsi fisicamente e per la pressione posta su di lei nel dover concepire un erede, quando l’uomo che dovrebbe essere al suo fianco
è quasi sempre accanto a qualche altra fanciulla. Il più delle volte alla duchessa Eugenia Litta, che in questo romanzo assume una dimensione realistica e interessante, dando voce anche all’amore di un
re costretto a sua volta a soffocare i propri sentimenti perché nato con la corona.
Oltre a Margherita, prendono forma in questo romanzo altre figure di donne fondamentali nel tessuto narrativo: la madre Elisabetta di Sassonia, aristocratica severa e “apparentemente” devota all’etichetta, che conosciamo soprattutto attraverso le quasi ironiche frecciatine che rimbombano nella testa della figlia (solo verso la metà del romanzo la sovrana apparirà di persona, esclusivamente per rimproverare la figlia a causa della mancanza di un erede, per poi tornare verso la fine in vesti inedite); Nina, la fedele domestica – poi prima cameriera della regina – che accompagna Margherita come ombra discreta e saggia; infine Ottilia, l’ingenua serva che si lascia sedurre e imbrogliare dalle moine del re, per poi essere cacciata dalla corte una volta rimasta incinta di suo figlio e quindi costretta a una vita di miseria. Un coro femminile che attraversa classi sociali, visioni del mondo e destini divergenti, ma che trova nella protagonista un punto di convergenza simbolico.
Nel confronto tra queste figure, l’autrice disegna una trama che riflette su cosa significhi essere donna in un mondo governato dagli uomini e su come ciascuna, a suo modo, riesca a ritagliarsi uno spazio di autonomia, anche
laddove la libertà sembra impossibile.
Sono emblematiche a tale proposito le parole di una dama della regina, la Lavaggi: “Prendete una donna, e non importa quale, se sia popolana o nobile (…). Qualsiasi cosa faccia di buono in tutta la sua vita, non sarà mai per
merito suo; ma, se dovesse sbagliare – e per sbaglio intendo anche solo posare lo sguardo un po’ troppo a lungo su un bel giovane – se dovesse sbagliare, allora è condannata, lei e la sua stirpe!”.
È un discorso pronunciato nel breve periodo in cui Margherita sente di essere felice accanto all’affascinante Orsini, forse uno dei due uomini che le fecero davvero battere il cuore.
Ciò che rende La prima regina un’opera peculiare nel panorama editoriale è l’intreccio sapiente tra verità storica e invenzione romanzesca. Alessandra Selmi riesce nell’arduo compito
di animare l’affresco ottocentesco con una prosa fluida, elegante, mai ridondante. Il ritmo narrativo alterna momenti di alta tensione – come le pagine finali prima dell’assassinio di Umberto, o l’attesa
ogni notte per un tempo eccessivamente lungo prima che il marito si decida a farle visita per generare il tanto atteso erede – a passaggi più intimi, scanditi da riflessioni personali e dialoghi con le sue dame, o con la fidata
cameriera di corte Nina.
La costruzione dell’intero romanzo poggia su una solida architettura, con un uso intelligente del punto di vista: il lettore segue Margherita da vicino, ma viene condotto anche nei pensieri di chi le ruota attorno, dando
così vita a un poliedro narrativo che restituisce la pluralità dei mondi rappresentati.
In particolare, molto spazio viene dedicato alle vicende di Nina e Ottilia, non soltanto nel loro ruolo di cameriere con beniamini e antagoniste, ma anche fuori dalle mura della corte, dove prima Nina è attesa dal fratello
Bruno, il guardiacaccia della regina a cui è molto affezionata, e poi dall’impavido giornalista Achille Riva, penna audace che rappresenta il panorama mediatico dell’epoca.
Al contempo, Ottilia è prima tra le favorite di Umberto, poi viene allontanata in malo modo con suo figlio in grembo, costretta a crescerlo tra mille stenti prostituendosi; nonostante ciò, non perderà mai la fede e
l’amore nei confronti di quel re che tanto ha venerato (e che invece suo figlio Ambrogio arriverà a detestare).
Sempre nelle pagine finali l’autrice spiega bene la sua volontà di dare voce, volto e sostanza a tutti coloro che vanno sotto il nome di “gente comune” e che all’epoca costituivano i numerosi
elementi essenziali al funzionamento della grande macchina che era casa Savoia, con i cerimoniali, le ville, i pranzi, i ricevimenti, i balli e le singole giornate scandite da momenti solo all’apparenza banali, in realtà
sempre complessi e studiati (ne è un prodigioso esempio la preparazione di un semplice tè per la regina).
Nella raffigurazione di un’epoca patriarcale e fortemente codificata, Alessandra Selmi innesta una visione che rilegge la Storia alla luce di uno sguardo femminile, sensibile ma mai indulgente. Il confronto tra Margherita e
le altre protagoniste non si esaurisce nella dicotomia regina/popolo, madre/figlia, nobiltà/proletariato: è piuttosto un dialogo implicito tra modelli di resistenza, strumenti di sopravvivenza, modalità di affermazione
personale, a cominciare da quello di Nina, che alla fine si dimostra più libera di lei nel poter decidere di cambiare vita e di mantenersi attraverso la sua passione per la scrittura.
Tuttavia, anche gli uomini qui ne escono vittime del patriarcato, specialmente le tre generazioni dei Savoia – Vittorio Emanuele II, Umberto I, Vittorio Emanuele III –, in quanto si ritrovano costretti
ad accettare un ruolo per cui nessuno dei tre sembra minimamente portato; a differenza di Margherita, che invece sovrana sembra esserci nata.

La prima regina non è quindi solo il racconto di grandi personaggi della storia, ma un’operazione culturale di ampio respiro, nonché la descrizione avvincente e preziosa di un tempo tumultuoso, di grandi cambiamenti.
«L’Ottocento è stato anche definito “il secolo dei regicidi” per l’impressionante quantità di attentati a imperatori, sovrani e governanti, non solo in Italia» scrive per
l’appunto l’autrice a tal riguardo.
Nel dare corpo e anima a Margherita di Savoia, Alessandra Selmi restituisce giustizia a una figura fondamentale che è stata la prima regina effettiva d’Italia – appena divenuta un Paese “unito”
– e al contempo propone una riflessione attualissima sul potere, la femminilità e il ruolo pubblico delle donne. Un romanzo da leggere con lentezza e attenzione, dove ogni frase pesa come un frammento di memoria
restituita al presente.
“Ho lavorato tanto, sapete. (…) Da quando sono nata, attraverso tutte le disgrazie che si sono abbattute sulla mia famiglia, tenendo sempre la testa alta, con dignità e orgoglio, senza mai un lamento. Ho obbedito a quello
che mi è stato detto di fare, mettendo da parte me stessa, ho adempiuto ai miei doveri anche quando essi, hanno comportato sacrifici disgustosi. Ho dissimulato il disprezzo, la paura, il dolore. (…)
Ho lavorato per tutta la mia vita, da quando sono nata per questo momento? Per stare alla finestra a guardare scendere dalla carrozza la regina che prenderà il mio posto? (…)
Io sono stata fintanto che mio marito è stato in vita. Ah! (…) È stato proprio qui che Umberto me lo ha fatto notare per la prima volta, pochi mesi dopo le nozze. Lo ricordo ancora come se fosse ieri. ‘Quello che sei,
quello che hai, quello a cui puoi aspirare dipende unicamente da me. Tu da sola non vali niente’.
Credevo si sbagliasse; per tutti questi anni mi sono impegnata a dimostrargli che si sbagliava. E credevo di esserci riuscita. Margherita, la prima regina. Margherita a cui intitolano asili infantili e città, riviste per signore e perfino
le pizze. Margherita che ai balli adombra il coniuge, quella che fa impazzire le folle. Sono stata brava, non trovate? (…)
Poi, però, lo vedete: basta che un pazzo qualsiasi spari tre colpi al re e Margherita non c’è più. Come se uno di quei proiettili avesse colpito anche me. Mio marito muore, e io con lui vengo relegata nell’ombra.
Aveva ragione Umberto, dopo tutto”
Nel panorama della narrativa storica contemporanea, La prima regina di Alessandra Selmi emerge come un’opera dal profondo respiro letterario, capace di coniugare rigore documentario, introspezione psicologica e una
visione femminile potente e raffinata. Pubblicato da Casa Editrice Nord lo scorso febbraio, il romanzo si propone di raccontare la figura di Margherita di Savoia, prima regina d’Italia, restituendole non solo
uno spazio nella Storia, ma anche una profondità umana di rara intensità.
Se, infatti, come spiega l’autrice stessa, sono tante le biografie pubblicate sia sulla sovrana che sul consorte Umberto I, mancava del tutto un libro che fosse in grado di raccontare la donna – nonché
l’uomo, e la coppia – al di là del loro ruolo pubblico, provando a immaginare quali potessero essere i sentimenti di una giovane di sangue reale nata, educata e indirizzata sin da bambina verso il proprio destino, al
quale non sarebbe mai potuta sfuggire.
Siamo negli anni cruciali della seconda metà dell’Ottocento, in un’Italia ancora in formazione, dove i confini geografici si ridefiniscono e quelli identitari si intrecciano con le dinamiche della monarchia. In
questo scenario, una Margherita nonostante tutto ancora ingenua e piena di sogni viene cresciuta secondo il rigido cerimoniale sabaudo, costretta ad abbandonare i propri desideri per piegarsi al dovere dinastico. Nipote di re,
figlia di una principessa prussiana e designata al trono come moglie del cugino Umberto, la protagonista di La prima regina si muove tra le maglie di un potere che la vorrebbe decorativa e silenziosa.
Eppure, attraverso pagine dense di emozioni e riflessioni, la futura sovrana costruisce il proprio ruolo con intelligenza, diplomazia e uno spirito moderno, consapevole dell’immagine pubblica ma profondamente legata alla
propria coscienza individuale. Il romanzo segue il suo percorso dall’arrivo della coppia presso la Villa Reale di Monza dopo il matrimonio nel giugno del 1868 fino alla morte di Umberto per
omicidio nella stessa amata città nel luglio del 1900, quindi dall’ingresso ufficiale di Margherita nel palcoscenico del Regno d’Italia attraverso l’affermazione come simbolo nazionale, madre
dell’erede e patrona della cultura, fino alla malinconica, rassegnata e nostalgica uscita di scena.
Alessandra Selmi, originaria proprio di Monza, è editor, agente letteraria e autrice di straordinaria sensibilità. Dopo il successo di Al di qua del fiume – romanzo ambientato a Crespi
d’Adda, premiato con il Campiello Junior nel 2023 – è tornata in libreria con una narrazione che unisce passione storica e sapienza letteraria, ma anche molta immaginazione ed empatia femminile. Grazie anche agli studi
umanistici, è nota per il suo impegno nella divulgazione attraverso la narrativa, così da rendere accessibili, ma senza semplificazioni, le complessità del passato.
Intervistata da varie testate, la Selmi ha raccontato il lungo lavoro di ricerca alle spalle del romanzo: “Mi sono immersa nei diari, nelle lettere, negli archivi reali e perfino nei ricettari di corte. Volevo restituire a
Margherita quella voce che la storia ufficiale ha soffocato sotto il peso delle cerimonie e delle crinoline”.
È però anche nella nota finale che l’autrice lascia emergere tutta l’originalità dell’opera, in quanto sottolinea la sua volontà di uscire dai binari già tracciati finora. «Questo libro non vuole essere una ricostruzione cronachistica, ma è il frutto di una rielaborazione narrativa realizzata in chiave artistica e creativa. Se infatti saggi, biografie, quotidiani e documenti ci mostrano la superficie visibile degli avvenimenti, i romanzi – o, almeno, questo romanzo, - provano a raccontarci anche il mondo sotterraneo e affascinante delle emozioni. Si tratta, com’è ovvio, di mere supposizioni. Nessuno può sapere di preciso cos’abbia provato Margherita nel giorno delle proprie nozze o Umberto pronunciando il suo giuramento da re. Ma è proprio questo che io, da appassionata di Storia, volevo sapere: come si sono sentite quelle persone. In altre parole, in cosa loro sono simili a me, e io a loro».

Figura chiave del libro, Margherita di Savoia viene sottratta alla rigida iconografia da cartolina per diventare una donna tridimensionale. Colta, appassionata di letteratura e di alpinismo, attenta alla questione sociale,
è qui descritta con una delicatezza che sa valorizzarne tanto la fragilità quanto la determinazione: lungi dall’essere solo moglie del re e madre del futuro sovrano, Margherita è raccontata come una mediatrice tra
il vecchio e il nuovo, tra la corte e il popolo.
È però anche la donna rifiutata che soffre per i continui tradimenti del marito, per il suo negarsi fisicamente e per la pressione posta su di lei nel dover concepire un erede, quando l’uomo che dovrebbe essere al suo fianco
è quasi sempre accanto a qualche altra fanciulla. Il più delle volte alla duchessa Eugenia Litta, che in questo romanzo assume una dimensione realistica e interessante, dando voce anche all’amore di un
re costretto a sua volta a soffocare i propri sentimenti perché nato con la corona.
Oltre a Margherita, prendono forma in questo romanzo altre figure di donne fondamentali nel tessuto narrativo: la madre Elisabetta di Sassonia, aristocratica severa e “apparentemente” devota all’etichetta, che conosciamo soprattutto attraverso le quasi ironiche frecciatine che rimbombano nella testa della figlia (solo verso la metà del romanzo la sovrana apparirà di persona, esclusivamente per rimproverare la figlia a causa della mancanza di un erede, per poi tornare verso la fine in vesti inedite); Nina, la fedele domestica – poi prima cameriera della regina – che accompagna Margherita come ombra discreta e saggia; infine Ottilia, l’ingenua serva che si lascia sedurre e imbrogliare dalle moine del re, per poi essere cacciata dalla corte una volta rimasta incinta di suo figlio e quindi costretta a una vita di miseria. Un coro femminile che attraversa classi sociali, visioni del mondo e destini divergenti, ma che trova nella protagonista un punto di convergenza simbolico.
Nel confronto tra queste figure, l’autrice disegna una trama che riflette su cosa significhi essere donna in un mondo governato dagli uomini e su come ciascuna, a suo modo, riesca a ritagliarsi uno spazio di autonomia, anche
laddove la libertà sembra impossibile.
Sono emblematiche a tale proposito le parole di una dama della regina, la Lavaggi: “Prendete una donna, e non importa quale, se sia popolana o nobile (…). Qualsiasi cosa faccia di buono in tutta la sua vita, non sarà mai per
merito suo; ma, se dovesse sbagliare – e per sbaglio intendo anche solo posare lo sguardo un po’ troppo a lungo su un bel giovane – se dovesse sbagliare, allora è condannata, lei e la sua stirpe!”.
È un discorso pronunciato nel breve periodo in cui Margherita sente di essere felice accanto all’affascinante Orsini, forse uno dei due uomini che le fecero davvero battere il cuore.
Ciò che rende La prima regina un’opera peculiare nel panorama editoriale è l’intreccio sapiente tra verità storica e invenzione romanzesca. Alessandra Selmi riesce nell’arduo compito
di animare l’affresco ottocentesco con una prosa fluida, elegante, mai ridondante. Il ritmo narrativo alterna momenti di alta tensione – come le pagine finali prima dell’assassinio di Umberto, o l’attesa
ogni notte per un tempo eccessivamente lungo prima che il marito si decida a farle visita per generare il tanto atteso erede – a passaggi più intimi, scanditi da riflessioni personali e dialoghi con le sue dame, o con la fidata
cameriera di corte Nina.
La costruzione dell’intero romanzo poggia su una solida architettura, con un uso intelligente del punto di vista: il lettore segue Margherita da vicino, ma viene condotto anche nei pensieri di chi le ruota attorno, dando
così vita a un poliedro narrativo che restituisce la pluralità dei mondi rappresentati.
In particolare, molto spazio viene dedicato alle vicende di Nina e Ottilia, non soltanto nel loro ruolo di cameriere con beniamini e antagoniste, ma anche fuori dalle mura della corte, dove prima Nina è attesa dal fratello
Bruno, il guardiacaccia della regina a cui è molto affezionata, e poi dall’impavido giornalista Achille Riva, penna audace che rappresenta il panorama mediatico dell’epoca.
Al contempo, Ottilia è prima tra le favorite di Umberto, poi viene allontanata in malo modo con suo figlio in grembo, costretta a crescerlo tra mille stenti prostituendosi; nonostante ciò, non perderà mai la fede e
l’amore nei confronti di quel re che tanto ha venerato (e che invece suo figlio Ambrogio arriverà a detestare).
Sempre nelle pagine finali l’autrice spiega bene la sua volontà di dare voce, volto e sostanza a tutti coloro che vanno sotto il nome di “gente comune” e che all’epoca costituivano i numerosi
elementi essenziali al funzionamento della grande macchina che era casa Savoia, con i cerimoniali, le ville, i pranzi, i ricevimenti, i balli e le singole giornate scandite da momenti solo all’apparenza banali, in realtà
sempre complessi e studiati (ne è un prodigioso esempio la preparazione di un semplice tè per la regina).
Nella raffigurazione di un’epoca patriarcale e fortemente codificata, Alessandra Selmi innesta una visione che rilegge la Storia alla luce di uno sguardo femminile, sensibile ma mai indulgente. Il confronto tra Margherita e
le altre protagoniste non si esaurisce nella dicotomia regina/popolo, madre/figlia, nobiltà/proletariato: è piuttosto un dialogo implicito tra modelli di resistenza, strumenti di sopravvivenza, modalità di affermazione
personale, a cominciare da quello di Nina, che alla fine si dimostra più libera di lei nel poter decidere di cambiare vita e di mantenersi attraverso la sua passione per la scrittura.
Tuttavia, anche gli uomini qui ne escono vittime del patriarcato, specialmente le tre generazioni dei Savoia – Vittorio Emanuele II, Umberto I, Vittorio Emanuele III –, in quanto si ritrovano costretti
ad accettare un ruolo per cui nessuno dei tre sembra minimamente portato; a differenza di Margherita, che invece sovrana sembra esserci nata.

La prima regina non è quindi solo il racconto di grandi personaggi della storia, ma un’operazione culturale di ampio respiro, nonché la descrizione avvincente e preziosa di un tempo tumultuoso, di grandi cambiamenti.
«L’Ottocento è stato anche definito “il secolo dei regicidi” per l’impressionante quantità di attentati a imperatori, sovrani e governanti, non solo in Italia» scrive per
l’appunto l’autrice a tal riguardo.
Nel dare corpo e anima a Margherita di Savoia, Alessandra Selmi restituisce giustizia a una figura fondamentale che è stata la prima regina effettiva d’Italia – appena divenuta un Paese “unito”
– e al contempo propone una riflessione attualissima sul potere, la femminilità e il ruolo pubblico delle donne. Un romanzo da leggere con lentezza e attenzione, dove ogni frase pesa come un frammento di memoria
restituita al presente.
“Ho lavorato tanto, sapete. (…) Da quando sono nata, attraverso tutte le disgrazie che si sono abbattute sulla mia famiglia, tenendo sempre la testa alta, con dignità e orgoglio, senza mai un lamento. Ho obbedito a quello
che mi è stato detto di fare, mettendo da parte me stessa, ho adempiuto ai miei doveri anche quando essi, hanno comportato sacrifici disgustosi. Ho dissimulato il disprezzo, la paura, il dolore. (…)
Ho lavorato per tutta la mia vita, da quando sono nata per questo momento? Per stare alla finestra a guardare scendere dalla carrozza la regina che prenderà il mio posto? (…)
Io sono stata fintanto che mio marito è stato in vita. Ah! (…) È stato proprio qui che Umberto me lo ha fatto notare per la prima volta, pochi mesi dopo le nozze. Lo ricordo ancora come se fosse ieri. ‘Quello che sei,
quello che hai, quello a cui puoi aspirare dipende unicamente da me. Tu da sola non vali niente’.
Credevo si sbagliasse; per tutti questi anni mi sono impegnata a dimostrargli che si sbagliava. E credevo di esserci riuscita. Margherita, la prima regina. Margherita a cui intitolano asili infantili e città, riviste per signore e perfino
le pizze. Margherita che ai balli adombra il coniuge, quella che fa impazzire le folle. Sono stata brava, non trovate? (…)
Poi, però, lo vedete: basta che un pazzo qualsiasi spari tre colpi al re e Margherita non c’è più. Come se uno di quei proiettili avesse colpito anche me. Mio marito muore, e io con lui vengo relegata nell’ombra.
Aveva ragione Umberto, dopo tutto”