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Giuseppe Catozzella, Italiana: un romanzo epico dalla parte degli sconfitti

Di Antonio Buozzi

Intervista a Giuseppe Catozzella, autore di Italiana, romanzo ambientato tra la fine del regno di Francesco II di Borbone e l’avvento del regime sabaudo

In questi giorni in cui si ricorda il centenario del Regno di Italia, caduto lo scorso 17 marzo, culmine delle guerre risorgimentali e della reconquista  savoiardo-garibaldina del Paese, è uscito da Mondadori l’ultimo romanzo di Giuseppe Catozzella, Italiana (pagg. 324, euro 19), ambientato tra la fine del regno di Francesco II di Borbone e l’avvento del regime sabaudo.  L’autore giura che si tratta di casualità, avendo messo in cantiere il suo romanzo molto tempo prima, e c’è da credergli.

Tuttavia la coincidenza rimane, così come la sensazione che il romanzo di Catozzella ci aiuti a riconsiderare il processo di unificazione dell’Italia con occhi diversi e con quello sguardo obliquo ignoto alla memorialistica d’antan: quello dei perdenti e non dei vincitori.
Italiana è, infatti, la storia di Maria Oliverio, detta Cicilla, la più famosa brigantessa dei suoi tempi, e della banda di fuoriusciti che fa capo al marito Pietro Monaco. Siamo quindi di diritto nel territorio del romanzo storico e l’opera nasce, in effetti,  da un lungo e accurato lavoro di documentazione e d’archivio.

Allo stesso tempo potremo però definirlo un «romanzo epico contemporaneo», per alcune di quelle caratteristiche che il collettivo Wu Ming nel 2008 assegnava a quella che ebbe a chiamare allora  la New Italian Epic: forte partecipazione emotiva con caratteri pop che ammiccano al lettore, ricerca di un punto di vista diverso e alternativo, ricorso in molti casi al genere del romanzo storico, appunto, opportunamente rivisitato.

Nel racconto di Catozzella, Cicilla viene rappresentata all’opposto delle cronache dell’epoca: non mostro di efferatezza e crudeltà, ma piuttosto l’eroina risorgimentale che si batte per una vera giustizia e che tradita nei suoi ideali abbraccia il brigantaggio come forma di riparazione verso i poveri e diseredati. L’avvento del Regno d’Italia per i braccianti della Sila si rivela, infatti, negli stessi termini che recitava Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, non a caso altro romanzo sul medesimo periodo: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

E così avviene: i notabili borbonici diventano i funzionari e quadri del nuovo Regno d’Italia, la ridistribuzione delle terre promessa da Garibaldi si trasforma in doloroso tradimento e disincanto, il tenore di vita del popolo vira ulteriormente verso il basso. E, visto che di epica si parlava, non è allora quella d’impostura delle camicie rosse garibaldine, ma, nella rilettura di Catozzella, di Cicilla e della sua compagine di briganti.

E’ lei l’Italiana che dà il titolo al libro, sovvertendo il motto attributo a Massimo d’Azeglio “abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”. No, gli italiani forse c’erano già, è l’Italia che non è stata davvero fatta. Quell’Italia vagheggiata che la maestra di Cicilla le porta di nascosto nell’effigie di un cartoncino: “una donna bellissima, corpulenta, una matrona dai capelli corvini e fluenti, seduta su una scogliera, con gli occhi che dominavano la vastità del mare…”.