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“Il passeggero” e “Stella Maris”: la geniale eredità di Cormac McCarthy

di Chiara Giacobelli

Autore immortale della nostra contemporaneità, continua ad essere protagonista di varie iniziative in ambito letterario. Ha vinto il Premio Pulitzer con il romanzo “La strada”, ma è con questa dilogia che ha salutato i suoi lettori

Dalla graphic novel di La strada uscita questo autunno all'evento a lui dedicato a novembre dalla Biblioteca Civica di Pordenone, Cormac McCarthy non smette di far parlare di sé. E' per questo che vale la pena ricordare l'ultima grande opera che ci ha lasciato.

Cormac McCarthy, venerato maestro della prosa americana, è un nome che continua - e continuerà - a risuonare nelle librerie, nelle biblioteche, nelle sale di lettura e nelle conversazioni letterarie ancora a lungo. Il 28 novembre l'English Book Club organizzato dalla Biblioteca Civica di Pordenone (punto di riferimento per il noto festival Pordenone Legge) dedicherà a McCarthy una lettura e discussione in lingua inglese, a partire dal suo libro più celebre: La strada. Mentre dall'estero arriva la notizia che questo autunno è stata pubblicata la graphic novel di The road, illustrata dall'apprezzato fumettista francese Manu Larcenet. Si tratta di uno degli ultimi progetti a cui l'autore ha lavorato prima di lasciarci, insieme a un'altra grande opera che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto costituire l'epilogo denso e filosofico della sua straordinaria carriera. Stiamo parlando della dilogia Il passeggero e Stella Maris: pubblicati rispettivamente nel 2022 e 2023, in Italia editi da Einaudi entrambi nel 2023 - con a seguire numerose ristampe - e presenti anche su Audible tra i longseller, questi due volumi non solo ampliano i confini del romanzo moderno, ma pongono interrogativi scomodi che riecheggiano con forza nel panorama letterario internazionale.


 

Il passeggero introduce il lettore nel mondo tormentato di Bobby Western, un subacqueo che incarna la disillusione e il peso del passato. La narrazione si sviluppa a partire dal misterioso ritrovamento di un aereo sommerso, un evento che diventa metafora di una ricerca esistenziale impossibile da risolvere. Stella Maris, di converso, si presenta come un intenso dialogo tra Alicia Western, la sorella di Bobby, e il suo psichiatra, svelando il vortice di genio e follia che anima la mente della protagonista. L’accoglienza critica ha fortemente elogiato il coraggio e l’ambizione dell’opera, senza evitare tuttavia di sottolineare la difficoltà nel seguire una narrazione tanto frammentata e densa di riferimenti filosofici e scientifici. D’altra parte, l’autore non intendeva di certo scrivere una storia facile adatta a tutti, facendo anzi di questa dilogia il suo testamento narrativo e spingendosi oltre i limiti del già sperimentato, in un gioco d’azzardo che lo ha coinvolto completamente sia a livello di stile che di contenuti.


 

Per chi non lo conoscesse, Cormac McCarthy, nato nel 1933 e morto lo scorso anno, è un autore il cui nome è sinonimo di una prosa che intreccia la brutalità e la bellezza della condizione umana. La sua carriera, coronata dal Premio Pulitzer per il romanzo La strada (da cui è stato tratto anche un bel film), ha esplorato temi universali come la violenza, la moralità e l’apocalisse. Il suo stile è caratterizzato da un lirismo asciutto, spesso privo di punteggiatura tradizionale, che spinge il lettore a confrontarsi direttamente con la crudezza delle sue narrazioni. Riconosciuto come uno dei più grandi scrittori del nostro tempo, McCarthy ha ricevuto innumerevoli premi, inclusi il National Book Award e il National Book Critics Circle Award.

Il passeggero, primo capitolo della dilogia, rappresenta un’avventura narrativa complessa, immersa in una meditazione filosofica sulla natura della realtà e dell’esistenza. Ambientato negli anni Ottanta, il libro segue Bobby Western, un sommozzatore tormentato dal ritrovamento di un aereo sommerso nel Golfo del Messico. Questo evento catalizza una serie di misteri e riflessioni che oscillano tra il tangibile e l’ineffabile, rendendo sempre più labile il confine tra sogno e realtà, illusione e fatti concreti.
La trama si sviluppa tutta attorno al personaggio di Western, che affascina immediatamente il lettore: enigmatico e schivo, nasconde un passato segnato da perdite importanti (la morte della sorella Alice è al centro di ogni suo pensiero, decisione, riflessione, progetto) e colpe inconfessabili. Il ritrovamento di un aereo apparentemente privo di uno dei suoi passeggeri e della scatola nera, all’inizio del romanzo, diventa un pretesto per trascinare tanto lui quanto il lettore in una spirale di paranoia e introspezione; ma la sua vita viene ulteriormente complicata da continue interazioni con agenti governativi sospettosi e presenze inquietanti, di cui non si comprende mai davvero la reale esistenza, o se siano frutto della sua immaginazione.

McCarthy si destreggia magistrale in una prosa densa e spesso ellittica, eliminando virgolette e subordinazioni convenzionali per creare un flusso continuo e ipnotico di pensieri e dialoghi. In quasi 400 pagine densissime, da cui non bisogna mai distogliere l’attenzione, esplora l’esistenzialismo, la fisica quantistica, le relazioni familiari, il tema dell’incesto, quello della morte e il peso della memoria, che diventa colpa senza fine. Via via che si prosegue nella lettura la narrazione si infittisce anche di riferimenti di vario genere, che rendono il testo una sfida tanto intellettuale quanto emotiva, ma ne fanno anche un’opera molto stimolante per chi sia in grado di cogliere i rimandi inseriti dall’autore.
Alicia Western, sorella di Bobby, pur non essendo mai presente fisicamente in questo romanzo, rappresenta una figura cruciale. La sua immagine tormentata e idealizzata dal fratello aleggia attraverso i ricordi e i dialoghi interiori di Bobby, fungendo da contrappunto emotivo e culturale. Altri personaggi come il Kid, una figura onirica e simbolica, arricchiscono l’universo già complesso de Il passeggero con tocchi di surreale e grottesco.


 

Il libro, difficile da classificare, oscilla tra il thriller psicologico e il romanzo esistenziale, con una forte componente metafisica. Lo stile di McCarthy è asciutto ma carico di intensità, evocando atmosfere cupe e inquietanti.
In una delle sue rare dichiarazioni, McCarthy ha riflettuto sull’interazione tra linguaggio e realtà: “La conoscenza che cerchiamo di articolare attraverso la scienza e la filosofia è, in ultima analisi, un tentativo di dare forma a ciò che è fondamentalmente amorfo” ha detto a Magma Magazine. Questa visione pervade Il passeggero, trasformandolo in un’opera che sfida il lettore a confrontarsi con i limiti della comprensione umana. D’altra parte, i critici sono convinti all’unanimità che non fosse nelle intenzioni dell’autore risultare chiaro e interpretabile in maniera oggettiva, ma un certo grado di apertura alle supposizioni è voluto, anche nell’ottica di un finale di carriera.


 

Stella Maris, pubblicato in Italia sempre da Einaudi nel 2023 come seconda parte della dilogia, è un’opera ancora più profondamente filosofica de Il passeggero, pensata per distaccarsi del tutto dalla tradizione narrativa classica e immergersi invece in un dialogo intimo, struggente. Questo romanzo, privo di una trama convenzionale, si articola attraverso le sedute psichiatriche di Alicia Western, un prodigio matematico che si rifugia nella clinica Stella Maris per affrontare la sua schizofrenia e il suicidio imminente.
Il cuore pulsante del romanzo è dunque Alicia, una giovane donna afflitta dai suoi demoni interiori e dal suo intelletto sovrumano, definita da lei stessa “sinestesica”. Attraverso dialoghi carichi di tensione con il suo psichiatra, McCarthy esplora temi di grazie complessità con un punto di vista inedito e mai semplicistico: la percezione della realtà, il significato del dolore, l’incapacità della matematica e della scienza di offrire risposte ultime alle grandi domande esistenziali.

Più di tutto colpisce la determinazione di Alicia ad abbandonare la vita, in maniera del tutto lucida e consapevole: un progetto di cui parla più volte con il suo psicoterapeuta e che infine mette davvero in atto. Pesa, nella sua scelta drastica, anche la morte del fratello Bobby, che ne Il passeggero è ancora vivo: sappiamo di lui che ha avuto un incidente d’auto, ma non è mai realmente chiaro se sia effettivamente morto oppure no. Tanto che, in alcuni passaggi, resta oscura la stessa cronologia dei due romanzi: in Stella Maris Alicia è ancora viva, mentre suo fratello Bobby è in coma per via di un grave scontro automobilistico e lo si dà ormai per morto cerebralmente; al contrario, ne Il passeggero Bobby è sopravvissuto al suicidio della sorella, avvenuto anni prima, riaprendo la questione in merito al suo essere o meno vivo. Si tratta di un futuro in cui il protagonista è riuscito a sopravvivere nonostante le scarse possibilità, oppure l’intero romanzo è un flusso di coscienza che si dispiega nel corso di una mente in coma? Probabilmente non lo sapremo mai.  


 

In questo caso la narrazione scompare quasi del tutto, in quanto McCarthy struttura le poche pagine di Stella Maris esclusivamente su dialoghi, un espediente che richiama il teatro dell’assurdo e che esalta il potere della parola come unico mezzo di introspezione e comprensione. L’assenza di descrizioni tradizionali e di una trama lineare focalizza l’attenzione sui temi principali che l’autore vuol far emergere: il genio e il concetto labile di follia, l’amore fraterno che sfida le convenzioni sociali, la ricerca di significato in un universo indifferente. Il legame straordinario e unico che lega Alicia e Bobby è struggente, romantico oltre ogni aspettativa, un per sempre che trova il suo punto di contatto nel dolore e nell’impossibilità di espressione.

«Eravamo tipo gli ultimi sulla terra. Potevamo scegliere di aderire alle credenze e alle usanze dei milioni di morti sotto i nostri piedi o potevamo cominciare da capo. Cosa c’era da pensare? Perché non dovevo avere nessuno? E così lui? Gli ho detto che non avrei avuto modo di scoprire se nel mio cuore c’era giustizia se non avessi avuto nessuno da amare e che mi amasse. Non puoi fregiarti di una verità che non ha nessun riscontro. Dove si riflette il tuo valore? E chi parlerà per te quando sarai morto?»

La figura del medico, il cui ruolo è per lo più quello di ascoltatore, rappresenta lo specchio delle riflessioni di Alicia, offrendo spunti per approfondimenti filosofici; questo botta e risposta serrato rende Stella Maris un’esperienza unica per il lettore, un viaggio nella mente di un personaggio complesso che incarna il paradosso del sapere umano: capace di esplorare le altezze del pensiero, ma impotente di fronte alla propria sofferenza.

Pur appartenendo formalmente al genere del romanzo, Stella Maris si avvicina di più a un dialogo platonico o a un’opera teatrale. Lo stile di McCarthy è spoglio ma vibrante, capace di evocare emozioni intense e di sfociare nella metafisica attraverso una prosa essenziale, a tratti tagliente.
In un’intervista sempre a Magma Magazine, McCarthy ha affermato: “La matematica, come la filosofia, è un tentativo di svelare l’ordine nascosto dell’universo, ma rimane sempre qualcosa di non detto, qualcosa che sfugge”. Proprio come la sua dilogia, che si sottrae dalla comprensione totale e certa del lettore; d’altra parte, si tratta di un’opera originale e geniale, che invita a confrontarsi con l’insondabilità della condizione umana.
A tal proposito, lo stesso McCarthy ha spiegato a proposito del rapporto tra linguaggio e conoscenza: “La fisica cerca di fornire una rappresentazione numerica del mondo, ma non si può illustrare l’ignoto completamente”. Quasi una visione di ciò che di lì a poco lo stava aspettando, una forma di congedo nei confronti della vita, accettando l’impossibilità di comprendere tutto ciò che vorremmo.

In conclusione, la dilogia di McCarthy rappresenta un’impresa letteraria senza eguali, una meditazione sul significato dell’esistenza che arricchisce di molto il corpus letterario contemporaneo, grazie soprattutto alla sua forza innovativa e all’audace esplorazione dell’animo umano, ma anche alla schiettezza con cui certi temi scomodi, come l’incesto e il suicidio, vengono trattati, aprendo a nuovi, elevati orizzonti.

«In quelle grida ad allarmare era l’angoscia. Ho iniziato a farci caso. Alla fermata dell’autobus c’erano sempre dei neonati e stavano sempre piangendo. E non erano blandi lamenti. Non riuscivo a capire come il minimo disagio potesse assumere la forma del supplizio. Nessun’altra creatura era tanto sensibile. Più ci pensavo più mi appariva chiaro che quella che stavo sentendo era rabbia. (…) La rabbia dei bambini sembrava impossibile da spiegare se non come rottura di un patto profondo e congenito circa il modo in cui il mondo avrebbe dovuto essere e non era. Ho capito che la loro nuda esposizione al mondo era il mondo».