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“Nella stanza dell’imperatore”: la storia di un grande Basileus bizantino. La recensione.

di Chiara Giacobelli

Sonia Aggio è rientrata nella dozzina del Premio Strega 2024 con questo elegante romanzo storico edito da Fazi

Non è soltanto un romanzo storico quello che Sonia Aggio ha scritto per Fazi Editore: Nella stanza dell’imperatore presenta uno stile elegante e raffinato, si avvale di metafore, scandaglia l’interiorità umana attraverso le vicende di un imperatore bizantino ormai pressoché dimenticato.

Oggi il nome di Giovanni Zimisce non dice più niente alla maggior parte delle persone, persino quelle appassionate di storia. Eppure ci fu un tempo, esattamente nel X secolo, in cui ad acclamarlo erano in molti, dapprima per le sue evidenti doti di condottiero militare e in seguito come Autokrator, o Basileus (parole che significano, appunto, imperatore). Erano anni in cui la crudeltà si univa alla strategia per ottenere il potere, cosicché il personaggio che la Aggio decide di raccontarci, risvegliandolo dal sonno della memoria e accendendo una luce su di lui, non è mai identificabile come un eroe. Il suo destino è chiaro sin dall’inizio, anche grazie a un escamotage narrativo che vede l’ingresso in scena di tre streghe, indovine a metà tra la mitologia e il soprannaturale: Giovanni sarà Strategos degli Anatolici, poi Domestikos d’Oriente e infine Basileus ton Romaion. È così che lo salutano le veggenti nei momenti cruciali della battaglia o in quelli di veglia, rivelandogli la sua futura posizione di comandante prima di un’unità territoriale e poi dell’esercito, per divenire in conclusione imperatore. Nessuna di loro, però, gli svela che per raggiungere quella vetta sarà costretto a fare scelte difficili, a tradire, a creare sofferenza, a uccidere, a dimostrarsi spietato. Un assassino, in fondo, come d’altra parte lo erano quasi tutti coloro che rivestivano ruoli di potere a Bisanzio.

 

Con una prosa ricercata, un ampio uso di metafore e immagini allegoriche, intrecciando talvolta sogno e realtà, pensieri e fatti, l’autrice porta avanti fedelmente la storia di Zimisce, che ereditò il soprannome da suo padre, ma lo superò di molto in quanto a successo. Mandato sin da bambino a vivere con gli zii e i cugini materni, i Foca, Giovanni cresce affezionandosi tanto a Leone quanto al maggiore, Niceforo; il rapporto con quest’ultimo sarà però sempre contradditorio, vedendo in lui una sorta di padre, di maestro, oltre che il suo signore. È per questo che il tradimento sarà ancora più difficile, sia quando ricevuto, sia quando compiuto nel momento opportuno; d’altra parte, l’ascesa di Zimisce non poteva prescindere dall’uccisione dello zio, il quale a sua volta lo aveva più volte ripudiato, allontanato e avversato, per una sorta di gelosia nei suoi confronti. Giovanni possiede infatti sin da bambino le doti, la personalità e il carisma che a lui, uomo votato alla spiritualità e alle preghiere, mancano del tutto. Niceforo accetta il suo compito di capo supremo come se fosse una missione religiosa, un suo dovere, ma non ne vive mai appieno i privilegi, il lusso, la gloria generata dal potere, a differenza di Giovanni, che ha un carattere molto più istintivo e deciso.

Non mancano nel romanzo le storie d’amore: la prima con la moglie Maria Scleraina, con la quale riuscì a condividere solo pochi attimi di gioia, prima di perderla a causa del parto; una sintonia particolare con Eudocia, giovane ragazza misteriosa pronta a servirlo; una terza passionale e significativa con Teofano, la moglie di Niceforo e la Basilessa. Sarà lei a indurlo a prendere il potere, nell’ingenuo progetto di sbarazzarsi del marito frigido, di legittimare i propri figli e di vivere finalmente una vita felice accanto all’uomo amato. Invece, sarà proprio lei a conoscere più a fondo di tutti il significato della parola tradimento. Un personaggio, dunque, quello di Giovanni, con cui – nonostante sia il protagonista, spesso a capo di spedizioni valorose e conquiste eccezionali – è impossibile entrare realmente in empatia. Ed è proprio questo l’aspetto a nostro parere più lodevole de La stanza dell’imperatore: la capacità, e la volontà, dell’autrice di raccontarne la storia, anche romanzandola ed entrando nel suo mondo interiore, senza però mai cadere nella tentazione di romanticizzarlo, di renderlo migliore di quanto fosse realmente, di assecondare il desiderio del lettore alla ricerca di personaggi di cui innamorarsi. Luce e buio, fama e crudeltà, amore e odio, vita e morte, senza risparmiare scene di spietatezza, crudeltà e abusi, come d’altra parte doveva effettivamente essere a quel tempo, specie durante una guerra.

«Notte fonda. Anche l’accampamento dovrebbe dormire, ora; invece le sentinelle di smonto che passano accanto alla tenda sembrano gridargli nelle orecchie, e le loro voci sono come ami che lo tirano su, verso la veglia, e lui si gira e si rigira tra le pellicce, massaggiandosi la gamba sinistra che è contratta e pulsante come non gli accade da anni, con la cicatrice che manda fitte e il suo cuore che dà i battiti densi e ritmati di chi si prepara alla caccia o alla guerra. Più stringe le palpebre per scacciarla, più l’immagine dell’indovina si fa nitida e vicina, e lui si ripete: Proteggimi, rabbia, proteggimi».    
“L’idea di dedicare un romanzo a Giovanni Zimisce è arrivata durante l’università: nel corso di una lezione ci è stato letto un brano che parlava di lui e io ho subito percepito la bellezza e la complessità di questa figura, un illustre sconosciuto della storia bizantina – ha detto Sonia Aggio ai microfoni di Affaritaliani.it – Il rapporto tra fantasia e realtà all’interno del romanzo è abbastanza equilibrato: sono veri gli eventi storici narrati, le battaglie combattute e le scelte politiche dell’imperatore. È invece frutto di fantasia quasi tutto quello che riguarda l’uomo: le sue passioni, le sue fobie, le sue relazioni interpersonali”. Non resta che avventurarsi in questo affascinante viaggio nell’antico impero bizantino.