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Libri & Editori
Trame e curiosità sui cinque libri del Premio Strega Europeo

4) Triste tigre di Neige Sinno (Neri Pozza)

È la traduttrice Luciana Cisbani - una pillola curiosa: è stata l’insegnante di italiano di Timothée Chalamet - ad averci consegnato il quarto romanzo della cinquina dello Strega Europeo. Triste tigre (2023), scritto da Neige Sinno e pubblicato dalla casa editrice Neri Pozza, è come "calarsi in un abisso con gli occhi aperti", stando alle parole di Annie Ernaux. La protagonista è l’autrice stessa, che ha trascorso la sua infanzia nelle Alpi francesi assieme alla famiglia. Ha solo sette anni - o forse nove, non lo ricorda esattamente - quando il suo patrigno comincia ad abusare di lei. Un incubo che prosegue ininterrottamente fino all'adolescenza, ma sarà soltanto due decenni dopo che Neige trovarà la forza di denunciare l’accaduto. Si tratta di un’opera autobiografica tracciata sul solco delle ferite - fisiche, ma soprattutto emotive - che si sono cicatrizzate nel cuore di Sinno. D’altra parte, l’autrice non esita neppure a calarsi nei panni del carnefice. «Anche a me, in fondo, sembra più interessante quello che succede nella sua testa - ammette con coraggio fin dalle prime pagine del romanzo - Con le vittime è facile, tutti riescono a mettersi al loro posto (...). Con il carnefice, invece, è un’altra cosa».

Triste tigre
 

La narrazione si divide tra “ritratti” e “fantasmi”: i ritratti sono quelli delle persone e dei momenti salienti che hanno contrassegnato la vita della scrittrice. Un’esistenza che lei stessa non esita a descrivere come «un film dell’orrore», a tratti persino «un melodramma americano». Per i fantasmi, invece, occorre attendere la seconda parte del volume, in quanto si tratta di considerazioni sul trauma fatte a distanza di anni. Emerge prepotente la difficoltà di convivere con un insopportabile senso di vergogna, ma sono molti anche i dubbi e le remore di una madre che, ad un certo punto, sente l’esigenza di aprirsi e di raccontare l’accaduto alla figlia.

Triste tigre è una testimonianza intima e colorata di rabbia, quella dell’autrice: una donna che solleva la sua voce tentando di ripercorrere a ritroso un incubo che, come si intuisce, è lacunoso e ambiguo in molte parti. La spinge la volontà di scavare a fondo in quell’abisso in cui sente di essere stata scaraventata senza pathos, senza alcun cenno di compassione verso sé stessa, nemmeno in termini stilistici. È per questo che utilizza un linguaggio crudo, graffiante, sincero dal primo capitolo fino all’ultimo, per dare vita a una sconvolgente testimonianza di come la letteratura possa rivelarsi un potente strumento di denuncia.






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