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Vera Gheno: "Affidiamoci agli esperti, non tutte le opinioni sono necessarie"
“Attraverso il dibattito avanza la conoscenza, ma se non si conosce a fondo una materia bisogna tacere e lasciar parlare gli esperti”
Intervista a Vera Gheno: schwa, le ragioni del dubbio e l'importanza del silenzio
Vera Gheno ha pubblicato da poco il suo nuovo libro con Einaudi, Le ragioni del dubbio, in cui fornisce un metodo per ricordarci la responsabilità che ognuno di noi ha in quanto parlante: dubitare molto di ciò in cui si crede, riflettere su quello che diciamo e preferire il silenzio se non si ha nulla di intelligente da dire.
Un metodo che lei stessa applica ed espone quotidianamente sulle sue pagine social, Facebook in primis, dove parla di linguaggio inclusivo, educazione alla comunicazione, uso corretto delle parole e molto altro: temi che, però, l'hanno fatta diventare bersaglio degli hater, gli odiatori seriali che popolano il web. Affaritaliani.it l’ha intervistata per provare a capire come gestire questo tipo di comunicazione social.
“Sociolinguista specializzata in pinzillacchere. Traduttrice. Grammamante, branditrice di vocabolari”: questa è la presentazione che si legge sul tuo profilo Fb. Come ti descriveresti a chi non ti conosce?
Sono una donna, eterosessuale, cisgender, di mezza età, bianca: esattamente la descrizione del privilegio nella nostra società, solo che, per fortuna, ho avuto modo di rendermi conto di questo privilegio. Sono benestante, ho un lavoro, un’istruzione e questo mi ha spinto a occuparmi di chi, magari per motivi indipendenti dalla propria volontà, ha meno privilegi di me e quindi meno possibilità di espressione. In quanto sociolinguista, poi, il centro della mia riflessione è sempre la lingua, non come entità a sé stante ma come emanazione delle persone, e anche modo per rendere il mondo un posto migliore.
Sei specializzata in comunicazione digitale, quindi in un certo senso è il tuo lavoro, ma non trovi frustrante avere a che fare ogni giorno con sconosciuti improvvisati tuttologi che ti attaccano sui social mettendo sempre in discussione le tue competenze?
Sarebbe molto peggio se le discussioni fossero solo tra colti intellettuali che si confrontano in consessi esclusivi tra privilegiati. Quella famosa frase di Umberto Eco, secondo cui internet ha dato parola a legioni di imbecilli, va contestualizzata ma un suo senso ce l’ha. Quello che mi chiedo io, però, è: perché sono imbecilli? Si può fare qualcosa per deimbecillizzarsi?
Nessuno nasce imparato, ci sono tantissimi fattori che impattano sulle possibilità di istruirsi, come il colore della pelle, la sessualità, la famiglia d’origine… Certo sarebbe più semplice scrivere solo per chi comprende, o avere fatto una carriera universitaria meno assurda della mia: a settembre sono stata nominata ricercatrice a tempo determinato, a 46 anni, dopo quasi vent’anni di docenza a contratto.
Avrei potuto avere una carriera più veloce e prestigiosa, ma nel frattempo ho fatto tante cose, conosciuto persone: tutte esperienze di vita che considero importanti, perché molti degli argomenti di cui mi occupo oggi derivano dall’aver vissuto la diversità, non solo dall’averla studiata.
È vero che è frustante stare in mezzo alla gente, ma continuo a preferirlo a un sistema in cui parlano solo pochi selezionati, gli aristocratici: la parola pubblica può garantire gli snodi democratici del sistema. Il punto è imparare a usare questa voce pubblica, ma al momento è un settore della conoscenza su cui non si è intervenuto molto.
Parli di democrazia ma vieni spesso accusata di voler imporre le tue scelte dall’alto, come l’uso dello schwa, per esempio.
Non mi stupisce, perché chi parla di imposizione dall’alto non sa di cosa sta parlando, è una reazione di pancia da parte di persone che hanno paura di perdere qualcosa. Quando si parla di linguaggio inclusivo spesso non si tiene conto del fatto che le persone che hanno bisogno di queste innovazioni linguistiche usano già da tempo soluzioni fatte in casa, e, come non le impongono a chi non è interessato, così non hanno mai neanche chiesto il permesso di farlo.
Tutto questo dibattito per me ha un quid di surreale, perché anche chi ha un livello alto di preparazione spesso dice che “i cambiamenti non si fanno a tavolino”: ma nella lingua non esistono cambiamenti a tavolino. La ricerca di una forma neutra per genere nasce dalla necessità di una minoranza, dai diretti interessati, non da un tavolino da un alto. Infatti, quando si fa la domanda successiva, cioè quale sarebbe questo alto, questo tavolino, la finzione cade perché non c’è risposta. Non si può neanche dire che l’ha deciso l’Accademia della Crusca, perché anzi si è espressa in maniera contraria.
Vera Gheno sui social non è Mentana che blasta la gente né Benedetta Rossi sempre dolce con tutti. Hai la pazienza di rispondere a ogni critica ma anche la forza di bloccare chi non è sinceramente disposto a dialogare. Come si arriva a questo livello di consapevolezza?
Io parlo di pochi argomenti, sempre gli stessi, quelli che conosco meglio, e raramente mi espongo su temi in cui non sono competente. Ovviamente anche in quei casi ho un’opinione, ma è quella di una persona qualunque e quindi rivendico il diritto e il dovere di non aggiungere nulla a una discussione che non sia intelligente. Ci sono già troppe persone cadute in questo tranello, esprimendo opinioni che poi gli si sono ritorte contro. Quello che è successo a Barbero è emblematico: gli è stata chiesta la sua opinione sulla condizione della donna e lui ha premesso che il suo era un parere da semplice cittadino, ma proprio per questo avrebbe potuto non dire nulla e lasciare parlare gli esperti.
E proprio questi esperti di un certo argomento che però poi si esprimono anche su tutt'altro ultimamente vengono presi come baluardi delle varie fazioni in cui si divide il dibattito social: o con me o contro di me, o sono sempre d’accordo con te o sempre in disaccordo. Abbiamo perso la capacità di critica?
È un atteggiamento molto semplificante, figlio non dei social ma di 40/50 anni di discorso pubblico polarizzato. Siamo cresciuti in un contesto mediale in cui questa polarizzazione era all’ordine del giorno: nei dibattitti politici, sulle testate giornalistiche, nei programmi radiofonici c’è sempre quello pro e quello contro.
È un'idea balzana quella per cui bisogna sempre dare uguale spazio a chi la pensa in un modo e a chi in un altro, anche se una delle due parti è evidentemente infondata da un punto di vista scientifico, come per esempio tra tarraglobisti e tarrapiattisti. Il dibattito funziona meglio quando non si è su posizioni nettamente opposte, e il dibattito all’interno di un certo campo del sapere è sacrosanto perché è così che avanza la conoscenza.
Questo concetto non è passato durante la pandemia, e molte persone hanno pensato che il fatto che i virologi non dicessero tutti la stessa cosa fosse un segno di debolezza: invece è un punto di forza, perché è così che poi la scienza stana le incongruenze e procede nella ricerca. Penso che chi si improvvisa tuttologo sia obnubilato, e per ripulire il dibattito da tutte le opinioni irrilevanti occorre ribadire che è sempre meglio sentire gli esperti e ricordare che chi è colto in un certo campo non lo è per forza in ogni ambito dello scibile. Bisogna recuperare il senso del "non lo so".
Che è uno dei messaggi del tuo ultimo libro, Le ragioni del dubbio.
Consiglio di dubitare moltissimo di ciò che si pensa e si crede: solo in questo modo si può arrivare a un alto livello di fiducia verso chi ne sa di più. Un esempio: la cantante Nicki Minaj durante il Met Gala, l’evento di punta del mondo dello spettacolo Usa, ha twittato che non avrebbe partecipato perché era richiesto il certificato vaccinale e lei non si era ancora vaccinata perché voleva fare le sue ricerche in merito. A un livello molto superficiale sembra una posizione valida, ma in realtà è una sonora sciocchezza.
Nicki Minaj, in quanto a competenze di virologia e medicina, si mette così sullo stesso piano dell’Organizzazione mondiale della sanità e della Food and Drugs Administration, non riconosce il limite del proprio sapere. La giusta conclusione a cui arrivare invece è: non ho bisogno di fare le mie ricerche perché le ha fatte chi di questo si occupa dalla mattina alla sera.
Non è difficile provare a fare passare questo messaggio in una società dove invece si viene esortati a dire la propria sempre e comunque, ad avere un’opinione su tutto? Non ti sembra di gettare semi al vento?
La società è fatta dai suoi componenti, gli esseri umani, quindi non esiste la società da una parte e le brave persone dall’altra. Laggente non esiste, laggente siamo noi. Gli imbecilli di cui parla Eco non esistono, gli imbecilli siamo noi. Prendiamoci cura allora di questa gente che poi siamo noi. Non sono semi gettati al vento perché i cambiamenti socio-cognitivi-culturali-linguistici sono lentissimi, ci vogliono generazioni per arrivarci, perché noi esseri umani siamo renitenti al cambiamento. Nasciamo, cresciamo, studiamo, arriviamo a un certo punto in cui pensiamo di sapere tutto quello che serve, di essere diventati adulti e ci mettiamo in panciolle a criticare le nuove generazioni.
Non è strano che le persone non vogliano cambiare, perché i cambiamenti richiedono fatica, mettere in discussione cose che davamo per scontate e sforzo evolutivo, e penso che ragionare sulla struttura interna della nostra società, prendendola come un problema che ci tocca in prima persona, ci aiuti a mettere a fuoco queste questioni. Bisogna avere pazienza: è quello che dico sempre alle mie compagne di lotta, che sia per la parità di salari o il miglioramento cognitivo della società… sono cambiamenti che richiedono intere generazioni, non bisogna avere fretta.