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Annalisa Monfreda lascia la direzione di Donna Moderna: lo sfogo online

Riflessioni di una mamma, giornalista e donna del nostro tempo

Avere le spalle coperte da un’azienda solida come Mondadori, che ti permette di sperimentare, è un grande privilegio, ma cela questa insidia. Non ne sono stata consapevole fino a quando queste attività, alla prova della modellizzazione, sono risultate non profittevoli. Avevamo giocato male una partita che poteva essere vinta.

Negli ultimi due anni c’è stato altro a cui pensare, una pandemia da attraversare come esseri umani e come giornalisti col compito di informare, uno smartworking da impostare.

È stata l’occasione per ragionare sugli errori ma anche sul senso della nostra professione. Forse non ho la giusta distanza per fare autocritica anche su questo, ma oggi credo che Donna Moderna abbia espresso i migliori valori del giornalismo. Innanzitutto, usare il proprio spazio, quello occupato nelle edicole e nelle case degli italiani, per fare spazio ad altri, per dare voce a chi normalmente non ne ha.

Non solo portando in copertina chi non ha mai pensato di poterci finire, ma lasciando che le parole e i pensieri di queste persone mettessero in discussione il nostro stesso ordine del mondo. E poi, chiedersi sempre quale impatto avrà la pubblicazione di una storia e ritrovarsi a decidere di non farlo benché tutti ne parlino. Non cercare la buona notizia a tutti i costi, ma non arrendersi di fronte alla cattiva notizia finché non abbiamo trovato una via d’uscita, una possibilità, una soluzione, uno scorcio di cielo da offrire a chi legge.

Sforzarsi non solo di essere comprensibile, ma di dare al lettore una buona motivazione per leggere ogni singolo articolo. Trasformare la conversazione con la community in contenuto e sperimentare ogni forma di narrazione, dai numeri ai fumetti.

Ho sempre pensato che bisognasse dare ai lettori, non solo ciò che vogliono, ma ciò che non si aspettano, ciò di cui non sanno di aver bisogno.

Il 31 dicembre 2021 finisce la mia storia con Donna Moderna ma non quella del giornale che continua con un nuovo editore che ha già compiuto altri piccoli miracoli e a cui auguro di portare a segno anche questo.

La frase che ho sentito più spesso in questi giorni: “Ah, ma allora avevi un piano B!”. Mi sono sempre detta che avrei dovuto avercelo, la sua mancanza era uno dei miei sensi di colpa maggiori. Oggi capisco che non avevo un piano B, perché ho sempre e solo avuto un piano A. Che evolve in virtù della consapevolezza degli errori commessi, ma che rimane essenzialmente intatto: produrre contenuto di qualità, far sì che quel contenuto abbia un impatto reale sulle persone e che possa continuare a essere prodotto perché economicamente sostenibile. Quindi no, non ho un piano B. Vado avanti col piano A.