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"Col Covid rinasce la tv generalista. Ma i talk show non cambieranno"

di Elisa Scrofani

Nuovi spazi dei talk sul web durante la pandemia. Ma la formula rimarrà anche in futuro quella attuale

Nell'era Covid ci si informa di più e il mezzo preferito per farlo sono i telegiornali (33,8%) e i quotidiani online (22,3%), seguiti al terzo posto dai quotidiani cartacei con l’8,4% delle preferenze, dai talk show e dai programmi di intrattenimento all’8,3% e dai social network (8,1%). Sono i dati emersi dall'indagine Eurispes “Un anno di Covid in Italia”, in base alla quale si classificano al 5% le news radiofoniche e al 2,8% i magazine cartacei e le chat social. 

Affaritaliani.it ha approfondito con la professoressa di Cinema Radio e Televisione dell'Università Mercatorum Anna Bisogno le tendenze recenti del panorama televisivo italiano, in particolare relativamente ai talk show, in una prospettiva anche futura. Dalla "rinascita" della tv generalista italiana al possibile cambio di passo dei talk, anche sull'onda del ridimensionamento della comunicazione in questa prima fase del governo Draghi.

In che modo sono cambiati i palinsesti durante la pandemia?

“La rivoluzione introdotta dal coronavirus è avvenuta sia sul piano quantitativo delle audience sia sul livello qualitativo dei contenuti. La Rai è tornata ad avere nelle dirette di Conte ascolti superiori ai dieci milioni, degni degli eventi sportivi o dei festival di Sanremo. Il lockdown ha ridefinito la forma dell’ascolto: la tv, insieme ai dispositivi digitali, mobili e social, è stata (e possiamo dire che è ancora) il prevalente legame con l’esterno degli spettatori in interazione costante".

Quali sono le tendenze del momento e in particolare nel panorama dei talk show?

“L’emergenza sanitaria ha segnato la rinascita della televisione generalista che sembrava destinata a scomparire, in favore di un consumo individuale sulle piattaforme, e facendo leva su quello che era il settore più in crisi: l’informazione. Da tempo, l’audience televisiva era erosa dai media digitali e dalle reti tematiche, e l’informazione ha progressivamente ceduto all’infotainment”.

I talk hanno ora un appeal diverso?

“La televisione con la parola e le immagini, declinate nei diversi generi e formati, in questi lunghi mesi ha reso tangibile qualcosa di invisibile, sfuggente, subdolo, recuperando il suo ruolo fondante nel dibattito pubblico, con un pubblico vastissimo che l’ha eletta a medium di riferimento. Nell’emergenza, gli italiani hanno cercato in tv soprattutto l’informazione con i telegiornali, soprattutto nella prima fase dell’emergenza e i talk, intesi quale prolungamento e approfondimento degli stessi. Per farsi un’idea, il Tg1 durante la prima fase ha avuto una media di 7,1 milioni di spettatori con un +2,1 milioni rispetto all’anno scorso”.

E’ cambiato quindi il pubblico?

“In realtà non è cambiato, si è solo momentaneamente ampliato. Il target del talk show, tradizionalmente adulto o anziano, con una scolarizzazione media, con l’emergenza sanitaria che ha rinchiuso tutti in casa  è diventato più trasversale per età, generazioni e classi sociali. I telespettatori ora sono più predisposti ad apprezzare questi format, ormai consumati e poi appunto rilanciati dall’emergenza sanitaria, tra il desiderio maggiore di informazione da un lato e quello banalmente di spendere delle ore del proprio tempo dall’altro. La maggior parte dei talk è ormai, come dicevamo, legata all’infotainment, hanno cioè la struttura del dibattito però la modalità è quella dell’intrattenimento. Intrattenere è una necessità, così come evitare nei limiti del possibile di riproporre le stesse considerazioni sempre sullo stesso punto”.

Si può parlare di necessità di volti nuovi?

“La tv generalista italiana, da Rai 1 a Rete 4, è una televisione chiamata a rassicurare, e la presenza di certi volti popolari e riconoscibili per il pubblico adulto può anche andare bene, sebbene sia evidente che è una tv che replica, cambiando semplicemente l’ordine degli addendi. Quando poi invece si propone la novità, risulta evidente che c’è bisogno di tempo perché il pubblico la riconosca e la apprezzi. Lo spettatore deve riconoscersi nella proposta televisiva, e ciò fa sì che la televisione tenda a giocare sul sicuro. Il prodotto televisivo comunque ha una sua data di scadenza, anche se molto lunga… Basti pensare al Gf che dopo l’entusiasmo iniziale, a partire dalla settima edizione ha registrato una flessione, a differenza di una fiction popolare come, ad esempio, Don Matteo o Il commissario Montalbano”.

I contenuti invece che direzione seguiranno?

“Tornando alle variazioni nei contenuti, in questo momento la politica e l’emergenza sanitaria sono i temi che si spalmano sui talk show, lungo tutto il palinsesto della giornata, con la cronaca nera che fino alla diffusione del covid era una tendenza predominante. Questa modalità, che c’è ancora, si è poi trasferita sulle storie legate alla pandemia. Ecco perché l’emergenza sanitaria da una parte, incrociata a un dibattito politico sulla gestione della stessa, e poi la crisi di governo, hanno creato un livellamento, come forse mai prima d’ora, sui contenuti. Ma la pandemia non potrà prescindere dalla politica, perché la politica è interesse pubblico ed è gestione anche dell'emergenza".

Secondo lei i talk show cederanno il passo ad altri format?  

“Nella televisione generalista e popolare italiana il talk continuerà ad avere il suo spazio e la sua funzione. La televisione resta il grande narratore del nostro paese e il talk gli dà la parola. Il futuro è già presente, la televisione è già altrove, su altri player e generi su misura. Se si pensa ai giovani, la televisione generalista ha interrotto il patto di comunicazione ormai da molto tempo. Dai tablet ai pc ai telefonini, la televisione è ovunque e l’utente non è più chiamato a seguire un talk dall’inizio alla fine, può selezionare la parte di suo interesse.

Con la pandemia il talk ha trovato attraverso, per esempio, le dirette Facebook un nuovo spazio di parola, di confronto e di dibattito. Possiamo dire quindi che è stato rilanciato almeno sul fronte della tecnologia. Sulla formula è chiaro che il social non è la televisione, non ha lo stesso ritmo. Per cui quello che vediamo in tv è il massimo possibile, non credo ci siano margini per portare a un livello successivo questo genere. Da Maurizio Costanzo che ne è stato il fondatore ad oggi sono cambiate chiaramente tante cose, e in questo momento il talk show informativo politico è sicuramente quello prevalente e forse più utile e necessario, ma sui margini di cambiamento rimango scettica". 

Che differenze ci sono tra i talk show italiani e quelli, ad esempio, americani?

“Innanzitutto negli Stati Uniti i talk sono tantissimi, e comprendono una serie di sottocategorie senza confini precisi. In Italia poi trionfa il politically correct, che è un po’ un alibi e un po’ la linea entro la quale i talk si mantengono, sia per ragioni di opportunità, sia di servizio pubblico, sia culturali, per cui esperimenti come quello di Jimmy Fallon e del Tonight Show molto probabilmente non vedrebbero mai la luce. Inoltre i conduttori lì hanno capito l’importanza di continuare il loro racconto e le loro performance sul web creando e pubblicando, ad esempio, contenuti esclusivi che in tv finirebbero di rimbalzo perdendo l’aura di eventizzazione. Poi le interviste qui tendono tutte ad assomigliarsi, per una questione culturale anzitutto. Non c’è quella complicità tra chi fa le domande e chi è chiamato a rispondere, e quando c’è ha poco a che fare con la discussione. Non c’è nulla di quella magia che agli americani riesce così bene. Infine, sono anni che in Italia si dibatte su chi possa essere il nostro David Letterman. Al momento la casella è ancora vuota, come quella di un mattatore alla Fallon”.

La scelta di una comunicazione più ridotta del governo Draghi potrebbe riflettersi anche sui talk?

"La scelta di una comunicazione ridimensionata da parte del governo Draghi, un po’ forse per il profilo del nuovo presidente del consiglio, un po’ forse perché nella precedente fase c’è stata troppa chiacchiera, che ha anche alimentato la confusione e insieme l’ansia, almeno in questo primo momento, è di per sé divenuta un tema politico, e quindi un tema di talk. Anche se in comunicazione non è mai tutto silenzio. Per cui sarà interessante vedere se si tratta di una scelta a lungo termine”.

Un voto, da 0 a 10, a cinque conduttori di talk?

"Enrico Mentana: 10, Francesco Giorgino: 9, Giovanni Floris: 8, Barbara Palombelli: 7, Veronica Gentili: 6".

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Anna Bisogno, professore associato di Cinema Radio e Televisione