Facebook a picco, tra scandali privacy e rallentamento raccolta adv
Facebook paga gli scandali e le nuove orme sulla privacy, che frenano gli inserzionisti, ma anche il minor numero di utenti attivi in Usa ed Europa
Che succede in casa Facebook? Ieri sera a Wall Street è arrivato a perdere sino al 24% nelle contrattazioni after hours con una capitalizzazione che ridottasi nel momento peggiore di 157 miliardi di dollari prima di recuperare in parte terreno oggi, col titolo che nella seduta regolare crolla di meno del 20%. Il tracollo, che oltre a rappresentare la maggiore perdita di capitalizzazione registrata a Wall Street da un titolo in una singola seduta riduce virtualmente di oltre 15 miliardi di dollari (lasciandogli "solo" una settantina di miliardi) il patrimonio personale del suo fondatore, Mark Zuckerberg, è legato a una trimestrale deludente e al "warning" sulla crescita futura, entrambi resi noti ieri sera a mercati chiusi.
Il problema a monte, che secondo il management è destinato a pesare per un altro paio d'anni almeno, sono da un lato gli scandali legati alla gestione di dati privati degli utenti da parte di aziende come Cambridge Analytics, dall'altro l'introduzione delle nuove norme sulla privacy in Europa (Gdpr). Impatti negativi, ha precisato il management, che più che compenseranno l'ulteriore crescita sui mercati emergenti e il sempre maggiore utilizzo di altre app del gruppo come Instagram, Whatsapp e Messanger, su cui gli analisti oggi suggeriscono al gruppo di Zuckemberg di puntare per cercare di limitare il più possibile i futuri danni.
Guardando al secondo trimestre, il margine operativo è calato al 44% (contro il 47% del secondo trimestre dello scorso anno), ma quel che è peggio secondo il Cfo David Wehner è potrà calare fino al 35% nel prossimo biennio a causa dei maggiori costi legati al miglioramento della salvaguardia della privacy: per questo stesso motivo, del resto, i costi operativi sono già aumentati del 50% su base annua nel secondo trimestre a 7,4 miliardi di dollari.
Accanto al problema privacy (avvertito anche internamente, se è vero come segnala Bloomberg che dal 17 marso scorso, quando venne a galla la storia di Cambridge Analytics, gli "insider", ossia Zuckemberg stesso e altri manager del gruppo, hanno venduto titoli per 4,13 miliardi di dollari), la trimestrale ha mostrato un rallentamento nell'utilizzo del social network da parte dei suoi maggiori inserzionisti pubblicitari superiore alle attese: le vendite di spazi pubblicitari hanno infatti segnato un +42% su base annua nel trimestre, toccando quota 13,2 miliardi rispetto ai 9,3 miliardi di un anno prima, eppure anziché fare festa gli investitori si sono allarmati, dato che si tratta del tasso di crescita più basso da circa 3 anni. Non solo: colpiti anche dalla direttiva Ue Gdpr, una percentuale, per ora minoritaria, di inserzionisti ha iniziato a optare per annunci non personalizzati, che generano per Facebook minori utili.
A livello di utenti, in Europa quelli attivi sono calati nel trimestre di 3 milioni al giorno, risentendo delle nuove norme, nonostante che complessivamente l'audicence di Facebook continui a crescere, sotto la spinta delle nuove iscrizioni nei paesi emergenti, essendo ormai prossima agli 1,5 miliardi di utenti attivi complessivi. Si diceva delle altre app del gruppo: il management di Facebook già ieri ha sottolineato come per la prima volta nella sua storia oltre 2,5 miliardi di utenti abbiano utilizzato almeno una delle sue app ogni mese, ma gli analisti oggi sottolineano come per lo più si sia trattato di Messanger e Instagram, app per le quali la commercializzazione di spazi pubblicitari è appena all'inizio e quindi ancora poco redditizie per il gruppo.
A livello geografico, le vendite di spazi pubblicitari sono calate di 75 milioni di dollari nel trimestre negli Usa, in Canada e in Europa, mentre sono aumentate di 51 milioni nei paesi emergenti, ulteriore conferma che il colosso dei social network, che con Google si spartisce oltre il 70% della raccolta pubblicitaria online, inizia ad avere qualche problemino a crescere ulteriormente nei paesi sviluppati, ossia sui mercati più redditizi per i quali il rallentamento della raccolta di Facebook potrebbe rappresentare anche un segnale d'allarme dell'andamento più in generale della raccolta pubblicitaria che l'approssimarsi della fine dell'era del "denaro facile" potrebbe ulteriormente accentuare nei prossimi trimestri.