MediaTech
Paolo Del Debbio: "Andrei volentieri a Sanremo, se Amadeus mi invitasse"
Nel suo libro "Le 10 cose che ho imparato dalla vita" il popolare conduttore rievoca la vicenda del padre, deportato dai nazisti"
Paolo Del Debbio a tutto campo: dalla storia del padre, prigioniero di un lager nazista, alla voglia di andare al Festival
È in libreria il nuovo libro di Paolo Del Debbio dal titolo "Le 10 cose che ho imparato dalla vita" (Piemme). Tra le testimonianze scioccanti, la storia del padre del celebre conduttore che è stato internato nel Lager tedesco di Luckenwalde, nel Brandeburgo. Affari Italiani lo ha intervistato.
Il tuo ultimo libro è un'opera sull'educazione e su come si tramanda l'etica. Quindi ancora oggi si può educare...
"Io penso che la comunicazione tra persona e persona di valori, di sentimenti, di comportamenti o di testimonianze di esperienze vissute, anche negative, non sia contestuale a un tempo. Penso che sia contestuale all'uomo stesso. Poi, naturalmente, c'è un problema da questo punto di vista: ovvero che spesso, anche tra genitori e figli, la realtà virtuale prevale di gran lunga su quella reale. Questo naturalmente incide sui rapporti, perché noi non siamo fatti per un rapporto virtuale, noi siamo strutturati per un rapporto personale".
Oggi assistiamo a un fenomeno per cui spesso i genitori sono narcisisti e vogliono essere amici dei propri figli, questo può essere pericoloso?
"Sì, è pericoloso come è pericoloso tutto ciò che, in un certo senso, va 'contra naturam'. Mi spiego: c'è' chi dice che l'omosessualità non sia naturale, che sia una diversione psicologica; io non penso questo, uno si sente quello che è, punto e basta. Ma non c'è dubbio che alcune cose non siano trascendibili, il genitore è il genitore, e il figlio è il figlio. Non sono amici, quando la relazione si trasforma in un rapporto fintamente paritario alla fine diventa un pasticcio, e un pasticcio genera solo un altro pasticcio".
Provieni da una famiglia umile e lo rivendichi, e infatti il tuo libro è un manifesto dell'orgoglio della working class. Chi fa parte della working class ha le antenne più ritte?
"Certo, è come avere una mentalità da "Gioco dell'oca", sempre nella paura di tornare al punto di partenza perché non ti è stato regalato niente. Tutto quello che hai lo hai fatto tu, e quello che hai fatto tu a un certo punto hai paura che possa scomparire. A volte fa bene e a volte fa male questa sorta di ansia da prestazione di rimanere a un buon livello, però hai anche la consapevolezza di essere stato abituato ad avere poco e sei quindi abituato un po' a tutto".
La storia di tuo padre è straordinaria, mi ha colpito la sua riflessione sugli ebrei durante il nazismo e sulla dignità...
"Quando mi parlava degli ebrei, mio padre mi diceva "ho conosciuto dei santi in terra". Questa cosa mi ha sempre colpito; me la diceva quando ero un ragazzino, poi morì che ero ancora giovane, ma prima mi spiegò la dignità, la compostezza di queste persone. Soprattutto mi parlò della loro pietà, nel senso che erano uomini e donne pie che, anche di fronte a oltraggi, non si scomponevano. Ad esempio come quando gli occhiali rotondi, classici degli ebrei, venivano calpestati sotto gli scarponi di quei bastardi nazisti. In quel periodo mio papà (che fu deportato, ndr) si faceva sempre la barba per far vedere che manteneva dignità, nonostante tutto. A un certo punto la faceva anche agli altri, perché in molti non vedevano più senza occhiali e si sarebbero tagliati facendosela da soli. La dignità è un punto fondamentale della mia educazione, perché mio padre mi ha sempre detto che se è riuscito a mantenerla lui nel campo di concentramento non me la sarei mai dovuta far togliere da nessuno. Non so se ci son riuscito, ma almeno ci ho provato".
Tu sei di Lucca, che è stata una capitale dell'ebraismo nel Medioevo. La famiglia di rabbini Kalonymos era di Lucca, e poi il cognome Calo è diventato diffusissimo in Calabria e in Sicilia...
"Sì, assolutamente, ma anche del protestantesimo. Lucca è stata la prima colonia "protestante", era una città dedita al commercio e i commercianti non guardavano alla religione professata, ma guardavano allo scambio di merci. Lucca, che era cattolicissima e che lo è sempre stata anche durante tutto il '900, è stata l'unica città democristiana della Toscana, eppure ha avuto presenza ebraica importante, una presenza valdese, una presenza protestante in senso calvinista".
Tornando al tuo libro, tu proponi un concetto non moralista di etica. Vedendo le ultime notizie, come la moglie del capo Immigrazione del Viminale indagata per caporalato, è sconcertante vedere a che punto siamo arrivati...
"È sconcertante perché un'accusa del genere (se confermata) toglie dignità e credibilità a tutta una massa di persone che, viceversa, non sono così. Sia tu che io nel nostro lavoro abbiamo potuto conoscere, apprezzare e valutare come persone che lavorano con abnegazione per raggiungere degli obiettivi per tutti i membri della pubblica amministrazione, casi del genere fanno male a tutti loro, a quelli che hanno in mano le sorti del Paese. Queste cose vanno punite in modo esemplare, in modo deciso, in modo che la gente sappia che quella persona lì ha sbagliato ed è stata punita. Solo questo ridà fiducia".
A proposito di etica, cosa ne pensi della crisi delle magistratura di questi ultimi anni?
"Stiamo parlando del cardine delle virtù, la giustizia è la virtù più importante. Le famose virtù cardinali, ovvero la prudenza, la fortezza e la temperanza riguardano sé stessi, mentre la giustizia riguarda il rapporto con gli altri. Se la giustizia rimane un concetto astratto è come buttare delle bombe sotto le fondamenta di un palazzo, minando l'essenziale per la sopravvivenza della società. Se io so che chi deve giudicare non è imparziale ho diritto ad aver paura di cadere nelle mani della magistratura".
Tu hai sempre mischiato l'alto col basso nei tuoi programmi. Se ti chiamasse Amadeus per fare un discorso a Sanremo ci andresti?
"Sì, come no, perché non ci dovrei andare? L'importante non è dove parli, ma se hai qualcosa da dire. Io penso che qualcosina da dire la ho e vado ovunque. Non mi vergogno".
Al tempo stesso, però, non sei mai stato un presenzialista...
"No, io conduco una vita ritirata. Non faccio vita sociale e praticamente non vado mai da nessuna parte. Mi trovi sempre a casa mia. Non sono un monaco, mi piace mangiare, mi piace bere e concedermi dei piaceri, però lo faccio nel modo più riservato possibile".
Un messaggio per i giovani?
"Io vorrei dire loro di studiare e non solo le cose utili, ma studiare soprattutto le cose che appaiono inutili. Sapere leggere un poeta, ad esempio, ti dà una forza interiore per la quale poi affronti meglio la vita. La seconda cosa che mi sento di dire è di non aspettare il lavoro ideale quando l'università finisce, ma di iniziare a fare un qualsiasi lavoro. Perché non c'è nessuna perdita di dignità a fare qualcosa che possa sembrare più umile, tutti i lavori sono fatti di dignità. Non vi fate "fottere", non vi fate pagare male. Però non aspettate il lavoro ideale per cominciare a lavorare, fa bene fare anche lavori più umili".