Medicina
Eutanasia, la Consulta: nessun obbligo ai medici per il suicidio assistito
Esiste una "circoscritta area" in cui l’incriminazione dell'aiuto al suicidio "non è conforme a Costituzione"
Esiste una "circoscritta area" in cui l’incriminazione dell'aiuto al suicidio "non è conforme a Costituzione": si tratta dei casi nei quali "l’aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". Lo sottolinea la Corte costituzionale, nella sentenza, depositata oggi, con la quale spiega la sua decisione sul fine vita resa nota lo scorso 25 settembre, relativa alla questione di legittimità sollevata nell'ambito del processo Cappato/Dj Fabo.
L’incriminazione dell’aiuto al suicidio, ribadisce la Corte, "non è, di per sé, in contrasto con la Costituzione ma è giustificata da esigenze di tutela del diritto alla vita, specie delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento intende proteggere evitando interferenze esterne in una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio". Ma, si legge nella sentenza, mentre in base alla legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, il paziente in tali condizioni può già decidere di lasciarsi morire chiedendo l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale e la sottoposizione a sedazione profonda continua, che lo pone in stato di incoscienza fino al momento della morte - decisione che il medico è tenuto a rispettare - la legge, invece, non consente al medico di mettere a disposizione del paziente trattamenti atti a determinarne la morte. Il paziente è così costretto, per congedarsi dalla vita, a subire un processo più lento e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care. Questo, osserva la Consulta, "finisce per limitare irragionevolmente la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta dei trattamenti, compresi quelli finalizzati a liberarlo dalle sofferenze, garantita dagli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione".
Nella sentenza pubblicata oggi sul caso Dj Fabo "la Corte costituzionale ha stabilito che, in alcune determinate condizioni, un malato sottoposto a sofferenze insopportabili può essere aiutato a morire, e che tale aiuto debba essere fornito dal Sistema Sanitario Nazionale". Lo sottolinea l'associazione Coscioni, secondo cui “è una sentenza di portata storica, che cancella, in nome della Costituzione repubblicana, la concezione da Stato etico che ha ispirato il Codice penale del 1930”, sostiene il segretario Filomena Gallo, difensore e coordinatrice nel collegio di difesa a Marco Cappato.