Alessandro Di Battista non si ricandida. Vuole fare il ministro?
In agguato l "'effetto Tavecchio" o scelta consapevole?
Alessandro Di Battista non si ricandiderà alle prossime elezioni politiche del 2018, pur rimanendo nei Cinque Stelle con un ruolo rilevante. Una notizia per certi versi sorprendente, ma non troppo per chi segue le cose del Movimento in quanto lo stesso Di Battista - da poco divenuto padre - aveva dato già segni di voler prendere decisioni in tal senso.
Di Battista è il gemello sconfitto di Luigi Di Maio, nel senso che i due sono stati per molto tempo in competizione per la leadership del Movimento e alla fine ha prevalso Di Maio in una gara online in cui il rivale non era neppure presente avendo, come al solito, già deciso tutto il padre padrone Grillo.
Di Battista è un grillino un po’ particolare nel senso che è quasi presentabile e cioè ha una figura pubblica non caratterizzata dalle continue gaffe e dall’uso buffo dei congiuntivi che ha reso Di Maio -in un certo senso- eterno.
Per altro, Di Battista è laureato (al contrario di Di Maio “eterno studente”) e ha un passato in organizzazioni no profit nel campo della cooperazione internazionale che indica una predisposizione al sociale di certo assente nel vicepresidente della Camera. Detto questo, vi sono due possibili spiegazioni di una comunque strana decisione; due spiegazioni da cui ne nasce anche una terza che ne è la contaminazione.
Una prima possibilità è che Di Battista si sia realmente stufato della politica attiva e voglia fare un passo in dietro, soprattutto ora che tiene famiglia. La seconda, più credibile, è che Di Battista abbia percepito un clima così forte di adesione nei confronti del suo “antagonista” campano da ritenere inutile e deleteria qualsiasi resistenza (una specie di “effetto Tavecchio”) e quindi sia stato costretto dagli eventi stessi a fare un passo indietro con un ma…
E proprio questo “ma” che ci porta alla terza possibile spiegazione del fatto, quella che prima definivo la spiegazione “contaminata”: Di Battista ha fatto un passo indietro non solo per amore della paternità e non solo per l’evidente clima “dimaiocentrico”, ma anche (mi si passi la celebre locuzione di veltroniana memoria) per avere un posto importante nella squadra di governo qualora i Cinque Stelle, come è probabile, vincano le elezioni (ma non possono governare da soli e quindi saranno costretti a maggioranze tattiche che cambieranno di volta in volta a seconda dei provvedimenti da votare, con grave danno per l’Italia).
Questa sembra l’ipotesi più probabile perché Di Battista ha il physique du rôle del ministro e potrebbe, paradossalmente, rappresentare anche l’unica possibilità per i Cinque Stelle di avere un militante presentabile e di primo piano nella squadra governativa, un militante che potrebbe ritardare l’inabissamento della compagine guidata dal superficiale e gaffista seriale Di Maio.