Politica

Aspi, M5s non molla. “Interesse pubblico sacrificato. Ora si chiuda o revoca”

di Paola Alagia

Intervista di Affari al sottosegretario al Mit Traversi, dopo la bufera giudiziaria che ha investito Autostrade. "Manleva a Cdp? Tutela anche i contribuenti"

“O la trattativa si conclude in tempi certi e condizioni chiare o bisognerà ricominciare a considerare l’opzione della revoca”. Tertium non datur, stando alle parole del sottosegretario ai Trasporti Roberto Traversi. Intervistato da Affaritaliani.it, il deputato del Movimento Cinque stelle mette in fila tutti gli accadimenti, a cominciare dal crollo del Ponte di Genova e fino alla vicenda delle barriere fonoassorbenti, al centro della bufera giudiziaria che si è abbattuta nelle ultime ore su Autostrade, per arrivare a una sola conclusione: “E’ impensabile che tutto questo non pesi sulla trattativa in corso”.  

Sottosegretario, questi arresti eccellenti possono imprimere un'accelerazione sulla revoca o comunque su una soluzione consensuale con il subentro di Cdp?
Il dato è che sono passati quattro mesi dall’accordo siglato dal premier Giuseppe Conte e Atlantia per l’uscita del gruppo dall’azionariato di Autostrade per l’Italia. In questi quattro mesi la trattativa si è più volte arenata su questioni economiche e tecniche, ma se da una parte Atlantia sta ovviamente cercando di tutelare il proprio conto economico e quello dei propri azionisti, anche internazionali, dall’altra governo e ministeri devono muoversi esclusivamente per tutelare l’interesse pubblico. Quell’interesse che, ci dicono le carte dell’inchiesta di Genova, l’operato di Aspi pare aver sacrificato in nome dei dividendi per gli azionisti.

E allora come si procede?
Allora, in quest’ottica, non si può perdere altro tempo e lasciare che la sicurezza degli automobilisti sia ancora a rischio: o la trattativa si conclude in tempi certi e con condizioni chiare, oppure dobbiamo ricominciare a considerare la possibilità di valutare la revoca della concessione. Faccio mie le parole dette oggi dalla portavoce dei parenti delle vittime del crollo del Ponte Morandi Egle Possetti: “Non possiamo lasciare che questa società, responsabile con le proprie azioni della morte di 43 persone, esca da questa vicenda con le tasche piene e a testa alta”.

Ma se tornasse in auge l’ipotesi revoca, non si potrebbe ignorare quanto sostenuto dall’’Avvocatura generale dello Stato. Nel suo parere, a febbraio scorso, infatti, invitava a ponderare bene questa opzione rispetto a una soluzione negoziale, non potendosi escludere in via giudiziaria il riconoscimento del diritto di Aspi all’integrale risarcimento.
Lascio che siano i tecnici ad occuparsi di questi aspetti, sono però certo che ogni azione che verrà intrapresa sarà esclusivamente a tutela degli interessi e dei diritti dei cittadini. Compreso quello di muoversi sulle autostrade sapendo che chi gestisce l’infrastruttura ha fatto tutto quello che andava fatto in termini di manutenzione per garantire la sicurezza. La vicenda del Ponte Morandi, quella delle barriere fonoassorbenti, al centro dell’inchiesta che ha portato alle misure cautelari di ieri, e quella delle calotte dei tunnel autostradali, su cui questa estate il Mit è dovuto intervenire ordinando al concessionario un piano di ispezioni e interventi straordinari, ci dicono che in questi anni le cose non sono andate in tale direzione. Ed è impensabile che questo non pesi sulla trattativa in corso.  

Il ministro De Micheli ha chiarito che il Mit non ha competenza sul fronte della trattativa tra Cdp e Aspi. Questo è vero. Ma è altrettanto vero che lo stallo su questa trattativa dipende anche dalla non approvazione del Pef (Piano economico e finanziario, ndr). Cosa si sta aspettando?
Sul tavolo ci sono ancora questioni dirimenti, tanto per Atlantia quanto per Cassa depositi e prestiti. Aspetti tecnici sui quali non entro. Mi limito a dire che, avendo a che fare con i piani tariffari e i futuri investimenti in manutenzione, non si tratta di temi secondari. E non soltanto perché impattano sul valore di Aspi e, quindi, sull’aspetto economico della trattativa. 

Dall’Autorità di regolamentazione dei trasporti sono già arrivate tutte le osservazioni. Quale sarà, secondo lei, il punto di caduta?
Anche su questo, mi sia consentito fare un passo indietro rispetto al lavoro dei tecnici. Quello che mi limito a dire è che se Atlantia fa, comprensibilmente, il proprio interesse cercando di garantire ai propri azionisti la massima redditività dell’operazione, la parte pubblica che siede al tavolo non può dimenticare di avere come principale obiettivo quello della salvaguardia dell’interesse nazionale. Economico, certo, ma anche di tutela dei diritti dei cittadini. Se c’è un punto di caduta in cui questi interessi possono convergere con reciproca soddisfazione, ben venga. A patto però che lo si trovi in fretta e si dia presto una nuova governance e un nuovo indirizzo al concessionario.  Altrimenti non resta che interrompere la trattativa e far valere le prerogative del governo.

Le opposizioni, in particolare Fratelli d’Italia, vanno all’attacco e parlano di risposta inadeguata e inerzia del governo. Perché non è possibile fissare una deadline chiara e fare chiarezza sui tempi di una decisione?
Perché il tema è complicato, delicato e di difficile gestione. Anche perché negli anni scorsi quasi tutti i partiti hanno di fatto blindato le concessioni di Autostrade per l’Italia approvando leggi e misure che hanno messo al riparo l’azienda con condizioni onerosissime per il Paese. Tipo il cosiddetto “Salva Benetton” del 2008. Quanti degli attuali parlamentari di Fratelli d’Italia ai tempi militavano nel Popolo della libertà che lo approvò assieme alla Lega?

Quanto emerso da questo filone d’indagine rispetto alla mancata manutenzione delle barriere fonoassorbenti della tratta ligure riportano al centro dell’attenzione il tema della sicurezza stradale, questione di cui lei si occupa al Mit, e delle concessioni in generale. Come vi muoverete?
Da quando siedo al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non c’è decisione che abbia preso o atto che abbia firmato che non si basi innanzitutto sulla necessità di garantire la sicurezza ai cittadini. Quando a dicembre la calotta del tunnel autostradale Bertè, sul tratto genovese della A26, è crollata e abbiamo scoperto che c’erano dei grossi problemi di manutenzione ordinaria da parte di Aspi siamo intervenuti immediatamente, ordinando un piano di ispezioni e manutenzione. Un piano che, a causa anche del lockdown, si è protratto per i primi mesi estivi. Ma non ci siamo fermati davanti alle proteste, comprensibili, dei cittadini che hanno dovuto fare i conti con le chiusure autostradali e il traffico perché al consenso facile abbiamo preferito la responsabilità di governo che ci obbligava a garantire la sicurezza. Lo sforzo messo in campo non ha precedenti e, per la prima volta, in linea anche con le prescrizioni europee, abbiamo ottenuto interventi manutentivi che non erano mai stati fatti prima. Il prezzo è stato il disagio causato agli automobilisti e alle attività economiche regionali, ma sono sicuro che con il senno di poi tutti capiranno che ne è valsa la pena. Questo è un esempio, ma rappresenta la linea che terremo in ogni caso.

C’è, infine, la questione della manleva. Alla luce degli ultimi sviluppi giudiziari è una scelta obbligata, secondo lei?
Mi pare evidente che, considerando le inchieste della magistratura in corso - che vanno dal crollo di Ponte Morandi fino alle barriere fonoassorbenti -, Cassa depositi e prestiti e gli investitori che la accompagnano nella trattativa di acquisizione di Aspi abbiano il diritto di mettersi al riparo da eventuali azioni risarcitorie legate alla negligenza dei comportamenti della passata gestione. Saranno i tecnici a trovare il modo per sbrogliare questa matassa, ma diciamo che quella della manleva mi pare una pretesa più che comprensibile da parte di Cdp. E soprattutto lo strumento più efficace per tutelare i contribuenti.