Salvini insultato da A.M.O.: l'asse europeista Asselborn, Moscovici, Oettinger
A.M.O., l’acronimo che si ricava dalla sequela dei cognomi di tre signori con l’assillante ansia europeistica nel cuore. Ossia Asselborn, Moscovici, Oettinger
A.M.O. è l’acronimo che si ricava dalla sequela dei cognomi di tre signori con l’assillante ansia europeistica nel cuore. Ossia Asselborn, Moscovici, Oettinger. Sono coloro che, nei giorni scorsi, hanno trovato modo e tempo, tra i molteplici impegni che li gravano quotidianamente, d’insultare il vice-Premier Matteo Salvini, colui che alcuni giornali, molto politicamente corretti, disprezzano ma che innumeri italiani, forniti di tanto buon senso, apostrofano con il termine, al tempo stesso affettuoso e rispettoso, di “Capitano”. Per la battaglia intrapresa onde difendere l’Italia e l’intera sua popolazione in ambito internazionale e politico, civile e sociale.
Del vice presidente della Commissione europea, lo slovacco Maros Sefcovic, qui non mette conto parlare: è, desolatamente, ininfluente.
A.M.O. . Trascurando la prima persona singolare del presente indicativo del verbo “amare”, incongruo nell’impostazione essenziale di questa riflessione, non rimane altro che fare riferimento all’amo, a quell’oggetto che il pugliese, di Cerignola, Nicola Zingarelli (1860 – 1935), nel suo “Vocabolario della lingua italiana” intese descrivere nei modi seguenti: “Uncino di acciaio o ferro, di varia grandezza, che innescato con esche diverse serve per la cattura del pesce”. Ancora, figuratamente, “lusinga, insidia”. Questi tre signori, nella loro forsennata smania d’impartire regole di vita e lezioni di pensiero etico-politico all’Italia, sono ingenuamente caduti nell’inganno, hanno abboccato l’amo teso loro da Salvini ed hanno scompostamente arrecato pregiudizi enormi a se stessi ed alle comunità di provenienza – rispettivamente, il Lussemburgo, la Francia, la Germania – anziché al Ministro degli Affari Interni ed all’Italia da costui rappresentata con naturalezza, misurata sobrietà e pacata articolazione di linguaggio.
Segnatamente, il primo di questi tre signori, un quivis de populo, sconosciuto al resto dell’Europa, nella miope convinzione che così esprimendosi credeva di essere risolutamente persuasivo, ha ritenuto proficuo sbattere in faccia all’omologo italiano il termine fecale che da Cambronne (1770 – 1842) in poi odora e indora il meato orale di alcuni personaggi di nazionalità francese e degli abitanti di espressione linguistica francofona, originari di certuni paesi finitimi della Francia attuale, che tutti insieme, Vittorio Alfieri (1749 – 1803) ha voluto definitivamente bollare nel suo “Misogallo”, un classico esemplare in poesia e prosa di avversione nei confronti della nazione francese, della sua indisponente arroganza dovuta allo stravagante vizio di coltivare, anche a sproposito, la cosiddetta grandeur.
Vichianamente, tutto ritorna, ogni fatto si ripete nei corsi e ricorsi delle diverse età della storia e dei personaggi che ne sono i creatori e, maieuticamente, gli interpreti.
Don Gonzalo de Cόrdoba (1443 – 1515), generale spagnolo che strappò, letteralmente, il regno di Napoli dalle mani dei francesi che, per ben sette mesi, affrontò impavido l’assedio della città di Barletta, in Puglia, nei pressi della quale, il 16 febbraio del 1503, si verificò la celebre sfida fra tredici cavalieri francesi comandati da La Motte e altrettanti cavalieri italiani, guidati da Ettore Fieramosca, che riuscirono vincitori, veniva soprannominato “Gran Capitano”. Ora, Matteo Salvini, nel sostegno che va approntando per l’Italia odierna, incarna, carismaticamente, in questi cruciali momenti storici, il gran capitano della Penisola italica che, finalmente, con lui non boccheggia, non annaspa ormai più. Il quale, a sua volta, con la propria azione sagace, ne esalta le capacità primigenie e ne asseconda le più intime, ancestrali aspirazioni. Ora qui, perché assuma ancora maggiore contezza della sacrosanta missione da lui intrapresa in favore, prima degli italiani, che, evangelicamente, costituiscono il suo prossimo più immediato, si intende rammentare quella ormai antica canzone che contempla, come sua esclusiva protagonista, Anita Garibaldi, sposa e madre di Eroi. “Anita – recita la patriottica canzone – degli eroi sei la sposa. Anita tu ripeti a costoro che la Terra d’Italia vale più di un tesoro!”. E nessuno, stando la situazione in questi termini, può arrogarsi, per nessuna ragione, il diritto di calpestare il presente e coartare il futuro dei suoi cittadini per l’inderogabile dovere, credo, di ricordarlo, ripetendolo con mai intermessa perseveranza, a tutti coloro che, scientemente, con sicumera, hanno cancellato ogni riferimento alle radici latino-cristiane della Costituzione europea e inteso subornare l’Italia ai loro interessi, al proprio materialistico tornaconto!
In modo particolare, quelli che, pur non essendosi giammai sottoposti ad una ovvia, democratica verifica elettorale, siedono, con imperterrita sfrontatezza e sfacciata improntitudine, a Bruxelles: palazzo Berlaymont!
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