Politica
Berlusconi, Franceschini, Casini e... Parte il "grande gioco" del Quirinale
Ci si avvicina alla fase decisiva per la scelta del nuovo Presidente della Repubblica... ma sarà davvero "nuovo"?
La sfida per il Quirinale appassiona tutti. Un pò come il “Jenga”, il gioco da tavolo nel quale si forma una torre con dei blocchi di legno da sfilare uno a uno, finché non crolla tutto. Ma quale sarà il punto di caduta nella partita per il Colle? Analizziamo le chance dei vari candidati
Sul colle più alto si assiepano delle nebbie. Frenetici nel compulsare il pallottoliere, da mesi cronisti e pontieri cercano di dissiparle, rimanendo impaludati in un giardino - quello a ridosso del Quirinale - di illusioni e fuochi fatui. Molti i porporati ai tre blocchi che puntano a diventare il garante della Costituzione. In questi casi si sa, si entra Papa e si esce cardinale. Cercano di starsene in disparte, lontani da veline velenose e franchi tiratori, in attesa che si arrivi alla quarta votazione e al fatidico quorum della metà più uno dei grandi elettori.
Dario Franceschini, da ago della bilancia a Capo dello Stato?
Prima ancora dei candidati di punta, si affastellano dunque quelli della seconda ora. Da tempi non sospetti, già al battesimo di fuoco del Conte-bis, Dario Franceschini aveva messo su un ufficio di gabinetto tutto proteso alla magistratura più alta della nostra Repubblica. Immarcescibile eminenza grigia del Partito Democratico e inamovibile inquilino del Collegio Romano, nelle foto d'epoca un occhio attento potrebbe già scorgerlo tra le file degli amici dell'onesto Zac, il compianto Benito Zaccagnini. Da quei tempi immemori il ministro estense non fallisce occasione nel dimostrarsi ago della bilancia nei consessi che contano. Tanti gol, zero voti. Alle urne pare preferisca le “insalatiere” (come si definiscono in gergo i contenitori delle schede dei grandi elettori del Presidente della Repubblica).
“Pierfurby” Casini, nel solco della vecchia scuola Dc
Da giugno del 2020 si eleva una voce da pater patriae dagli scranni di Palazzo Madama. A giudicare dalla cera sempreverde, si potrebbe scambiarlo per un senatore di primo pelo. Brizzolato e con più divorzi alle spalle che vittorie elettorali, gli archivi di paglia testimoniano che Pierferdinando Casini abbia passato più anni in Parlamento che non fuori. 66 anni, di cui 38 tra Camera e Senato, praticamente uno statista concepito in poltrona. La prima volta che fece ingresso a Montecitorio, nel lontano 1983, si ritrovò come compagni di banco Arnaldo Forlani e Flaminio Piccoli. Geloso custode dello scudocrociato, dopo varie sbandate a destra, nel 2018 ha percorso l'intero arco costituzionale, venendo eletto al Senato con la coalizione di centrosinistra nella rossa Bologna. A gennaio potrebbero invece convergere su di lui i voti dei due Matteo che da mesi giocano di sponda per non far toccar palla a Letta e Meloni. Non è un caso che Casini ad agosto sia stato ricevuto, nella sua Villa Certosa, da Berlusconi, che pure pare da tempo coltivi ambizioni quirinalizie, arrivando a sbandierare il voto sicuro di 474 grandi elettori. Ombra di un sogno di un ottuagenario al tramonto o fumo mediatico per pesare ad altri tavoli negoziali?
Silvio Berlusconi e quel “ponte” con il Pd
La volpe di Arcore da qualche settimana va ripetendo che Draghi dovrebbe restare nella plancia di comando dell'Esecutivo. Qualunque ne sia il retropensiero, si ritrova certo in affollata compagnia: paradossalmente ad inaugurare questo mantra, è stato proprio chi, come Enrico Letta, ha fin da subito tentato di accreditare il suo come il partito di Draghi. Il segretario del PD sa che lasciando vuota la casella del Presidente del Consiglio si precipiterebbe velocemente verso il voto. Scenario assai temuto fino a qualche settimana fa. Ma ora il centrodestra, ammaccato dalla débâcle delle amministrative e dilaniato dalle sue divisioni, ha perso la sua aura di invincibilità. E certamente all'Enrico già sereno non dispiacerebbe fare repulisti di Base Riformista, corrente rivale del suo partito, decidendo la composizione delle liste dei candidati per il Parlamento prima che scada il suo mandato da segretario.
Lamorgese, Cartabia e FDI come spina nel fianco
E qui si consuma una coincidentia oppositorum, con Giorgia Meloni determinata a capitalizzare la sua rendita da opposizione unica, prima che la volatilità degli elettori non pensi bene di regalarle qualche travaso di consensi verso vecchie o nuove formazioni. Del resto non sarebbe la prima volta che dalle parti della maggioranza si giochi di intesa con le opposizioni: già nel '55 Andreotti e Gonella affossarono così il fanfaniano Merzagora. La storia si ripeté nel 1992, stavolta ai danni dello stesso Giulio, con l'elezione di Scalfaro col sotterraneo supporto del PDS. Sembra dunque tramontare una candidatura in rosa, a trazione del centrosinistra, imperniata intorno alla Lamorgese, bombardata dal fuoco di fila sovranista, o alla Cartabia, ormai invisa per la sua riforma della Giustizia ai pentastellati. Cinque stelle che, prima del voto più pregno, hanno fatto in tempo a liquefarsi, subendo uno stillicidio di scissioni e defezioni. Con una maggioranza giallorossa sfaldata qualunque tentativo di eleggersi in proprio il capo dello Stato durerebbe lo spazio di un mattino. Ma si profila pure un'eterogenesi dei fini.
Le ambizioni di Giorgetti
Anche Giancarlo Giorgetti rema affinché l'ex presidente della BCE traslochi nella residenza papalina in cui non mise mai piede Napoleone. Promoveatur ut amoveatur? Il ministro dello Sviluppo Economico smentisce secco di agognare a Palazzo Chigi, forte di un gioco di domino che si scatenerebbe una volta liberata questa stanza dei bottoni. Invoca anzi le urne (e un congresso interno al partito). Ma con Draghi al Quirinale quanta cittadinanza avrebbe un - aspirante - premier sovranista? La manovra potrebbe rendere molto. Del resto gli avversari sono negli altri partiti, i nemici sono nelle altre correnti. Come dimenticare quel tripudio di sodali di partito felloni che '71 nell'impallinare Fanfani nel segreto dell'urna lo immortalarono nell'invitto verso, vergato sulla scheda, "Nano maledetto non sarai mai eletto"? Più che un endorsement, quello di Giorgetti rischia di trasformarsi in un boomerang per Draghi, che Salvini sarebbe ora riottoso a sostenere per non concedere nulla al suo vice. E si torna al punto di partenza, con un Draghi con cui ognuno deve fare i conti. Tutti lo vogliono ma nessuno lo vota.
SULLA CORSA PER IL QUIRINALE, LEGGI ANCHE GLI ALTRI RITRATTI DEI CANDIDATI:
SERGIO MATTARELLA: l'ipotesi di un clamoroso bis
PAOLA SEVERINO: l'asso nella manica del Pd
PAOLO GENTILONI: la proposta di Calenda
"PIERFURBY" CASINI: dalla lite con Follini alle foto... nudo
GIANNI LETTA, il "piano-B" di Berlusconi e Forza Italia
SILVIO BERLUSCONI: il suo sogno può diventare realtà, ecco come
ROMANO PRODI: sogna il Colle (anche se non lo dice...)