Politica

Bertola (ex M5s): "Sono stato tradito da Grillo e dagli scarti del Movimento"

di Francesco Signor

A Torino "anche l’ex sindaco Piero Fassino ha detto no all’ipotesi coalizione e, considerando la sua propensione al vaticinio, possiamo dire che è fatta"

A Torino si sta consumando il tentativo di superare le resistenze per individuare un candidato comune PD-M5S per archiviare la stagione Appendino. Luigi Di Maio, ogni tre per due, prova ad apparecchiare il tavolo per fare decollare l’alleanza a cui molti del PD nazionale si accomoderebbero volentieri. Il PD torinese, invece, è di tutt’altro avviso ed è fermamente contrario all’intesa, tanto da organizzare le primarie il prossimo 11 e 12 giugno. Anche l’ex sindaco Piero Fassino ha detto no all’ipotesi di una coalizione e, considerando la sua propensione al vaticinio, a questo punto, possiamo dire che è fatta. Vittorio Bertola, ex-candidato sindaco a Torino nel 2011 per i grillini, esclude che si possa realizzare una convergenza tra i due partiti, tanto da schierarsi apertamente per il piddino Lo Russo.

“Avendolo conosciuto, anche se ci siamo scontrati in diverse occasioni e non condividiamo la stessa visione della città, gli riconosco di essere una persona da quindici anni dentro la macchina comunale che ha fatto l'apprendistato da Sindaco” spiega Bertola.

“E’ ciò che ha pagato Chiara (Appendino – ndr) per via della sua inesperienza, pur essendo stata cinque anni in consiglio comunale. Ci ha messo molto tempo solo per capire come muoversi, facendo tantissimi errori. Forse affidarsi a una figura di maggiore esperienza può dare la possibilità di realizzare dei progetti. Del resto, non mi sembra che ci siano tutte queste differenze nei programmi, anche perché non è che ci sia molto da scegliere su cosa fare di questa città. In ogni caso, un’alleanza PD-M5S non la vedo praticabile, almeno non su Lo Russo che è, come noto, il candidato di quel PD torinese che non vuole alleanze con il Movimento 5 Stelle. L’unica possibilità per chi vuole l’alleanza è trovare una figura che non sia espressione politica di una delle parti. Le dichiarazioni di Laura Castelli (viceministro all’Economia del Governo Draghi – ndr) mi sembrano più l’espressione di una volontà di imporre a Torino un'alleanza con il PD, in nome dell'accordo nazionale. Questo perché i Cinquestelle sanno che a presentarsi da soli, se tutto va bene, saranno drasticamente ridimensionati. Se raggiungeranno il 10% sarà un risultato accettabile, ma se dovessero scendere sotto, sarebbe un disastro epocale; senza una alleanza perderebbero oltre tutto il potere avuto in questi cinque anni di nomine, di posizioni di sottogoverno e via discorrendo. A me pare solo un banale calcolo di potere”.

Vittorio Bertola, classe 1974, è stato uno dei pionieri italiani di Internet e tra i fondatori di Vitaminic, una delle prime società di distribuzione musicale online in formato MP3, quotata poi in Borsa. Il 21 marzo 2010, una settimana prima del voto delle elezioni regionali del Piemonte, era a Novara sul palco con Beppe Grillo per la presentazione dei candidati del Movimento 5 Stelle. Nel 2011 è stato candidato come sindaco di Torino del Movimento 5 Stelle, risultando il terzo più votato. Poi, nei cinque anni successivi, qualcosa si è rotto e le sue posizioni sono diventate sempre più critiche nei confronti della gestione del Movimento, quello delle prime espulsioni e dell’autoritarismo interno.

Un progressivo allontanamento dalle proprie origini, quando i pentastellati volevano essere il Partito Pirata italiano e sperimentare la democrazia diretta con la partecipazione attiva dei cittadini tramite la Rete. Secondo Bertola, la vicinanza al potere ha cambiato le persone e ne ha attirate altre più interessate alle candidature che a occuparsi di politica sul territorio e di questioni concrete.

“Dopo il 2013 e l’ingresso in Parlamento, c’è stato un cambiamento radicale della faccia interna del Movimento e della mentalità delle persone. Ho comunque voluto finire il mio mandato per rispetto di chi mi aveva votato” continua Bertola. “L'errore più grosso lo ha commesso Gianroberto Casaleggio nel 2013, lo ha riconosciuto anche lui successivamente. Decise di mandare in Parlamento le terze linee e non quelle che avevano già fatto esperienza di politica attiva nelle Amministrazioni Comunali o Regionali e nemmeno volti nuovi che avessero un certo curriculum. Decise di candidare esclusivamente figure che si erano già presentate alle elezioni precedenti e non erano state elette. L'idea era quella di selezionare delle persone "fidate" che erano nel Movimento da tempo. Il risultato è stato che in Parlamento sono finiti molti di quei soggetti che erano stati scartati nelle elezioni precedenti e se erano stati scartati, magari c'era un motivo. Con questo non voglio dire che non ci siano persone valide, perché ce ne sono, ma questa distorsione ha aperto la strada a persone non all'altezza o interessate solo alla poltrona. Da lì in poi è crollato tutto”.

Nei commenti ai suoi post critici intorno al Movimento sui social, qualcuno lo accusa di essere un rosicone. In effetti, nelle sue parole si avverte un po’ di amarezza per quello che poteva essere e non è stato. Quasi la malinconia di uno spirito reduce che rimpiange amaramente l’occasione mancata.

“Ci sono rimasto male prima sul piano personale e, negli anni successivi, sul piano politico. Qualcosa in più si sarebbe potuto fare per questa città, come mettere veramente al centro le periferie, come ci eravamo proposti in ottica di svecchiamento e di cambiamento delle logiche che vedono l'attenzione dell'amministrazione pubblica concentrata su piazza Castello e a un chilometro di distanza e non di più” conclude Bertola.

“Fondamentalmente mi sono sentito ingannato. Vista la situazione avevo già deciso di non ricandidarmi a novembre, ma mi ero anche reso disponibile a compiere un passo indietro, facendo il vicesindaco. Sembrava brutto chiamarsi fuori di fronte a un'occasione evidente e concreta di vincere, di andare a governare, di poter cambiare questa città. Ho detto che sarei rientrato nei ranghi, ma mi hanno risposto di no perché, secondo loro, ero troppo ambizioso e non potevo pretendere nulla. Così dissi che non mi sarei ricandidato. Avevo in realtà la sensazione che volessero farmi candidare per farmi “bruciare” il secondo mandato, temendo che potessi poi candidarmi in Parlamento. Grillo mi telefonò personalmente per convincermi. Mi disse che avevano bisogno di me per vincere le elezioni, che dovevo farlo per il Movimento, che dovevo pensare alle battaglie fatte insieme, che mi avrebbero fatto fare l'assessore all'Innovazione, che avrebbero trovato una posizione per me. Quindi, ho partecipato alla campagna elettorale. Dopo che hanno vinto le elezioni mi hanno tenuto a bagno per un mese e mezzo e, alla fine, ho appreso dai giornali che mi avevano escluso da qualsiasi posizione di squadra, senza una telefonata. Non sono nemmeno stato l'unico ad essere trattato così”.