Politica

Caso Gregoretti, Salvini ci ripensa. La Lega diserterà il voto al Senato

Passa la linea consigliata da Giulia Bongiorno

Caso Gregoretti: Giulia Bongiorno avrebbe convinto Salvini a non spingere per andare a processo per sequestro di persona

Ha vinto la linea di Giulia Bongiorno. L'ex ministra è riuscita a convincere Matteo Salvini, scrive il quotidiano la Repubblica, a non fare altri colpi di testa sul caso Gregoretti, dopo quello di 20 giorni fa in giunta per le autorizzazioni. L'avvocato e senatrice che allora aveva perso le staffe per le bizze del Capitano, sembra sia riuscita a far capire nelle ultime ore che un voto favorevole dei leghisti anche in aula per il processo per sequestro di persona chiesto dal Tribunale dei ministri di Catania - nella seduta decisiva di mercoledì a Palazzo Madama - equivarrebbe a un'ammissione di responsabilità o quasi.

E così, il segretario del Carroccio ha già comunicato il dietrofront al capogruppo Massimiliano Romeo: i loro 60 parlamentari lasceranno l'emiciclo (più improbabile l'astensione): ai colleghi di Pd, Italia Viva, M5S e Leu la responsabilità del disco verde al giudizio a carico dell'ex ministro dell'Interno.

Non usciranno subito, tuttavia, i leghisti. Ad apertura dei lavori, alle 9,30, spetterà a Erika Stefani il compito di riferire all'aula sull'esito del voto in giunta del 20 gennaio. Allora i senatori del gruppo avevano votato a favore, adeguandosi al diktat del capo che - in piena campagna elettorale in Emilia Romagna - voleva immolarsi mediaticamente da "vittima" della giustizia per la difesa dei confini nazionali.

Il giochetto poi non ha funzionato, quando sei giorni dopo si sono aperte le urne a Bologna e nel resto della regione. Adesso "meglio non rischiare", anche perché - è stato il ragionamento dell'ex ministra Bongiorno al suo segretario - il voto favorevole anche della Lega, in aggiunta a quello già decisivo e sufficiente della maggioranza, finirebbe col vanificare o quasi l'intera strategia difensiva. Insomma, l'impuntatura potrebbe costare caro quando dinanzi al Tribunale dei ministri si aprirà un processo dall'esito già imprevedibile. Il primo di una serie, per altro, stando alla sequenza di richieste che stanno piovendo dalle procure.

Nella discussione che mercoledì si aprirà subito dopo la relazione in aula, Matteo Salvini quasi certamente prenderà la parola, come ha fatto il 20 marzo dell'anno scorso in occasione del voto sul caso Diciotti. Allora, la richiesta di processo era stata respinta grazie ai senatori del M5S che lui subito ringraziò pubblicamente: "Le cose si fanno in due". Questa volta si ritroverà da solo.

Si difenderà cercando di dimostrare, mail e messaggi alla mano, il coinvolgimento del governo e del premier nella decisione di tenere per quattro giorni al largo di Augusta i 131 migranti a bordo della nave Gregoretti della Guardia Costiera, nel luglio scorso.

Gli alleati di Forza Italia e Fratelli d'Italia stanno preparando un ordine del giorno con cui si oppongono alla richiesta di processo, al fine di consentire un voto (non i leghisti perché usciranno dall'aula, appunto). Diversamente, se non ci fosse alcuna proposta, non si voterebbe nemmeno: si darebbe per acquisito il pronunciamento della giunta per le autorizzazioni.

In ogni caso, il responso è scontato (si voterà a scrutinio palese fino alle 19), Salvini andrà a processo. Storia destinata a ripetersi: già il 27 la stessa giunta dovrà pronunciarsi sull'analogo caso Open Arms. Tanti divieti di sbarco, altrettanti processi che incombono. L'incubo che si sta facendo largo in casa leghista è quello di una serie di condanne che potrebbero far scattare la mannaia della Severino sul leader che sogna Palazzo Chigi. E che intanto dovrà indossare la felpa da imputato.