Politica
Draghi al Quirinale? Autogol di Conte. Flirta con Bettini, caos nel M5s
L'apertura dell’ex premier complica anche la partita dei capigruppo in Parlamento
Prima Giuseppe Conte e poi Matteo Salvini. Sono loro i due leader che a distanza di poche ore l’uno dall’altro hanno aperto all’ipotesi Mario Draghi al Quirinale, premurandosi entrambi però di tranquillizzare le rispettive truppe che questo passaggio non significhi affatto voto anticipato. Una sorta di excusatio non petita che ha subito messo in agitazione soprattutto i Cinque stelle. Come, d’altronde, era più che prevedibile. Non fosse altro perché si tratta del primo partito in Parlamento, che ha più da perdere in termini di numero di eletti con le prossime elezioni. Complici il taglio del numero di parlamentari voluto proprio dal M5s, ma anche il busillis ancora in piedi sulla deroga al secondo mandato.
Proprio considerando questi aspetti non secondari sfugge ancor di più la ratio della fuga in avanti di Conte. Rispetto alla quale, a strettissimo giro di posta, si è espresso pure Luigi di Maio. Il ministro degli Esteri ha detto la sua in una intervista a La Stampa. Un controcanto che suona così: “Di sicuro Draghi ha tutto il nostro supporto per il lavoro che sta facendo. E se permette io non ho nessuna intenzione di entrare nel dibattito sul toto-Quirinale, che può avere come unico risultato quello di bruciare i nomi migliori”. Parole quasi da leader ombra, di sicuro dichiarazioni ponderate di chi capo del Movimento lo è stato e ne conosce bene l’anima più profonda.
Niente di cui meravigliarsi, insomma. Stupisce casomai la strategia di Conte. Quali calcoli sono alla base di questa sua esternazione nel salotto di Lucia Annunziata? Ammesso che, alla fine, si dovesse trovare un accordo tra le forze politiche proprio su Draghi, infatti, Conte si troverebbe a ballare sul Titanic fino all’ultimo, non potendo dare garanzia di tenuta e soprattutto di fedeltà dei gruppi. D’altronde, l’avvocato del popolo non ha ancora la forza neppure di governare i capigruppo. Con il presidente dei deputati Davide Crippa, che l’ex premier voleva sostituire senza aspettare la scadenza del suo mandato a dicembre, Conte ha perso la prima battaglia. E sul capogruppo al Senato, la storia è ancora tutta da scrivere. Il voto ci sarà domani, ma paradossalmente proprio la linea aperturista su Draghi rischia di pesare sulla consultazione, dando qualche chance in più alla senatrice Maria Domenica Castellone e insidiando la riconferma del contianissimo Ettore Licheri.
“Ma Conte crede davvero che bastino le sue rassicurazioni sulla legislatura che andrà avanti per convincere eventualmente tutti i parlamentari a votare Draghi nel segreto dell’urna?”, è il ragionamento che fa con Affari un eletto alla Camera dietro garanzia di anonimato. Per poi aggiungere: “Perché dovremmo fidarci delle parole mentre di fatti, a cominciare dal rebus dei due mandati, non se ne vedono ancora all’orizzonte?”. Tra le fila pentastellate c’è pure chi sintetizza quest’ultima mossa del presidente M5s come “frutto dell’inesperienza. Un conto, infatti, è guidare un governo un altro è guidare un partito. A maggior ragione un movimento che si è tra l’altro completamente disabituato ad avere un capo. Voglio sperare che sia solo ingenuità e non la presunzione di voler imporre il suo verbo in pochi mesi. Se il presidente crede infatti di trasformare un branco di cani sciolti in una truppa fedele e compatta è solo un ingenuo”.
Alla luce di queste considerazioni raccolte dal nostro giornale, più che mai l’interrogativo è d’uopo: quali motivi hanno spinto l’avvocato del popolo a questa fuga in avanti? Sarebbe riduttivo pensare che alla base ci siano solo ragioni di politically correct e quindi l’intenzione da parte di Conte di scrollarsi di dosso la narrazione secondo cui tra lui e Draghi i rapporti non siano idilliaci.
Non sarà magari che l’ex premier subisce troppo l’influenza di Goffredo Bettini? Il rapporto tra i due è ormai consolidato e senza dubbio il dirigente della sinistra dem riesce a farsi ascoltare più da Conte che nel Pd del nuovo corso lettiano.
Che Bettini si fosse espresso sin da subito per Draghi al Colle, al contrario del Letta pensiero, è risaputo. Ma il nodo qui è un altro e cioè quanto gioverebbe al M5s un’ipotesi del genere. Già adesso con l’ex presidente della Bce alla guida di Palazzo Chigi - e le ultime elezioni ne sono la prova - il Movimento, insieme alla Lega, è il partito che soffre di più nella gabbia della maggioranza di unità nazionale. Se si puntasse comunque alla fine della legislatura, il M5s reggerebbe l’urto di un altro governo, retto dalla stessa maggioranza?
Una delle ipotesi che circolano sarebbe quella di Daniele Franco a capo dell’esecutivo. L’attuale ministro dell’Economia, almeno ai tempi del Conte uno, quando ricopriva la carica di ragioniere generale dello Stato al Mef, era tra l’altro inviso a gran parte dei pentastellati. Certo, forse sarebbe un boccone meno amaro da digerire rispetto a quello di un dem a Palazzo Chigi. Questo sì che per i grillini sarebbe uno smacco (è grazie al M5s se il Nazareno con il Conte due è tornato nella stanza dei bottoni), oltre che la conferma di un Movimento ormai diventato solo un’appendice del Partito democratico.
Insomma, tirando le somme, forse era meglio per il leader pentastellato non pronunciarsi sul toto-Quirinale e aspettare ancora un po’. Si può sempre ipotizzare che l’intenzione di Conte fosse quella di allontanare lo spauracchio di una logorante maggioranza Ursula anche dopo il 2023. Ci sta, tra l’altro, che l’ex premier aspiri a tornare a Palazzo Chigi. Il cortocircuito casomai è che per ostacolare un futuribile scenario di questo tipo, l’avvocato pugliese accetti il rischio di una maggioranza Draghi senza il carisma di Draghi.
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