Elezioni 4 marzo sinistra, Pietro Grasso che cola o che cala?
Elezioni politiche 2018, Pietro Grasso: una satira intorno al concetto di floridezza
Il novello (come il vino) partito del (già?) Presidente del Senato, Pietro/Piero Grasso, non è ancor nato che già l’anima inquieta del litigismo lo possiede come in un film horror e così l’ex magistrato deve vederseLa con la nuova arrivata, Laura Boldrini da Macerata, che si era fatta fregare dal Grasso stesso il posto, ma terminate le scartoffie la (già?) presidentessa della Camera si è fiondata sul giocattolino o meglio sul tram, definito ormai la “piccolissima macchinetta da guerra”, che dovrebbe traghettarla di nuovo in Transatlantico, che importa se da peona e non più da presidentessa, l’importante è esserci come diceva quel gran uomo di de Coubertin.
E noi di Affaritaliani, poiché non ci sentiamo secondi a nessuno, riprendiamo un articolo de Il Sussidiario, assai satirico e sulla stessa strada di Orazio (sia ben chiaro che è satira eh?) ci addentriamo in un percorso liberatorio.
Dunque, per chi è addentro alle cose politiche, la storiella è nota ma noi ci rivolgiamo ai tanti elettori che poco ci si raccapezzano di strategie e tattiche e raffinatissime pensate nate addentando uno dei mitici paninazzi della buvette di Montecitorio, quella che i grillini volevano distruggere e dove invece, come tutti (ah potenza unificante del piacere!) si trovano lietamente a pasteggiare ed aperitare.
Ma torniamo al Fatto (non il quotidiano dell’illustrillimo Marco Travaglio erede contestato di Indro Montanelli) e osserviamo come il partitino che è nato per rompere gli zebedei a Sor Matteo da Pontassieve abbia di già seguite le orme di tutta la sinistra storica e non ed abbia già litigato di brutto nelle due figure della PresidentEssa della Camera e del PresidenteEsso del Senato, come accennato, e ficcandosi “le dita negli occhi” (copyright del nostro direttore, quel che giusto è giusto).
Ma non abbasta, come direbbe il Marchese del Grillo.
Il nome dell’ennesimo partitino è tutto un programma rivoluzionario, Liberi ed Uguali, abbreviato orribilmente in Leu, che sembra una moneta rumena, ma (forse) non lo è.
Liberi ok, ma uguali? Proprio no.
Il mito dell’uguaglianza serve sempre a fregare qualcuno da quando il popolo s’è svegliato complice la democrazia ateniese.
Il partitino di Grasso è dunque tutto un declinare su base pingue di gioie verbali che fanno felici i dotti della Crusca.
Come racconta l’articolo citato (noi siamo corretti eh…) alla sua corte ci sono varie umanità, declinate però sempre in versione lardellosa: gli obesi, i gradassi, i grassocci, i paffutelli, le cicciottelle, gli obesi, i ben pasciuti.
Ognuno ha i suoi giorni di ricevimento, ognuno, i suoi riti, ognuno i suo regolamenti.
Come si vede, sono tutte categorie dello spirito dell’idealismo hegeliano che ruotano intorno al concetto di floridità, legate a loro volta all’idea di pastasciutta, vero motore insieme ad un’altra cosa politically scorrect, che fa girare il mondo fin dai suoi inizi e che piace tanto a Berlusconi (in verità, non è il solo che l’apprezza).
Insomma, se questo partitino dovesse entrare in Parlamento si tratterebbe indubbiamente di “grasso che cola” (pure questo copyright del direttore, accidenti), e in breve si trasformerebbe in “grasso che cala”.
Ma sia chiaro che non tutti sono grassi e chi comanda davvero è magro e non certo Grasso.
Così magro da essere una icona storica, baffin D’Alema che insieme ad altri compagni era tutto casa, liberalizzazioni e Capitale per poi tornare agli antichi e giovanili ardori proletari e alle (una volta) tanto amate barricate dei soviet.
Ma queste cose a Grasso fanno, appunto un baffo, anzi un baffino.
Lui c’ha ben altre gatte da pelare, come la Boldrini anti-bufala che si è pure fatta una corte dei miracoli(ni) di anti-bufalari guidata da tal Paolo Attivissimo, che vogliono mettere un sorta di ministero della Verità di orwelliana memoria e magari sono pure pagati dallo Stato, cioè da tutto il popolo.
Ma noi scherziamo naturalmente, e omaggiamo tanta dedizione alla ricerca del Vero che neppure Alberto da Ulma, al secolo Einstein per i non dotti, ricercò con tanta compiaciuta veemenza iconoclastica.
E visto che la satira ci permette qualcosa in più della cronaca e della critica sarà divertente osservare come mai Pippo Civati, da rottamatore renziano sia finito poi a sua volta rottamato dal capo ed entrato nell’orbita nell’accolita dei puri eredi di Lenin.
Certo che però, Pietro da Licata è stato il più furbo, insieme all’eterno baffino, di tutti: ha fregato il sor tentenna Giuliano Pisapia, ha fregato Madama la PresidenteEssa, e soprattutto ha fregato Matteo Renzi, prima entrando in Parlamento e poi facendosi incoronare dallo stesso seconda carica dello Stato e per poi condire l’opra con un memorabile calcione nel sottofondo dove non batte il sole al suddetto.
È la politica…grassoccia…bellezza.