Politica
Riforme: Renzi, Grasso miglior alleato del premier
Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)
Matteo Renzi è in una botte di ferro. Può stare tranquillo che le sue riforme istituzionali, quelle targate Boschi Maria Elena, sono già in cassaforte. Lo si è capito subito vedendo la conduzione dei lavori parlamentari da parte del presidente Pietro Grasso. Tutte le decisioni chiave, dagli emendamenti ai sub-emendamenti, dalle sospensioni delle sedute ai voti segreti, sono tutte a favore del governo. Le opposizioni, Lega e M5S in testa, urlano, lanciano soldi in aria e mostrano le foto della Boschi, ma alla fine nulla cambia. La maggioranza, grazie anche al sostegno dei verdiniani (oltre alla capriola della minoranza dem), tira dritto e macina un successo dietro l'altro. Forte dell'arbitro - così dovrebbe essere - che, casualmente (?), si chiera sempre con il Pd. E subito il pensiero corre alle parole della governatrice Pd del Friuli Venezia Giulia, la vice di Renzi Debora Serracchiani, che poco prima dell'inizio della battaglia in Aula se ne uscì candidamente ricordando a Grasso di essere stato eletto nelle liste del Partito Democratico. Come se il dovere dell'imparzialità e della terzietà fosse soltanto un dettaglio trascurabile. E osservando i lavori dell'Aula, tra disattenzioni e "mi scusi senatore, me ne ero dimenticato", Grasso non ha affatto dimenticato con chi è stato eletto nel 2013. Insomma si può proprio dire 'Renzi, Grasso che cola...'.
Tempi addietro, c'è stato chi aveva definito Grasso l'"Alberto Sordi" della toga. La carriera in magistratura del presidente del Senato, ricca di onorificenze, non è apprezzata da tutti. E' stato il giudice a latere dello storico maxiprocesso messo in piedi da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ma in molti lo criticano perché la sua attività da pm non ha mai toccato i "poteri forti". Nel 2004 il suo ex allenatore Marcello Dell'Utri disse di lui: "Grasso, da giovane, giocava a calcio nella mia squadra, Bacigalupo, ed era famoso perché a fine partita usciva sempre pulito dal campo: anche quando c'era il fango, riusciva sempre a non schizzarsi". Memorabile lo scontro televisivo di un paio d'anni fa, quando Marco Travaglio lo definì "un italiano furbo, un campione di slalom gigante che, mentre tanti altri pm venivano insultati, spiati, puniti e perseguitato, veniva elogiato e favorito da Berlusconi". Insomma, un magistrato che "non si sporca le mani e non indaga sui potenti". Da qui la citazione iniziale di Alberto Sordi e da qui il riferimento alla nomina di Grasso a superprocuratore Antimafia. Una nomina avvenuta nel 2005 e sulla quale, secondo l'escluso Giancarlo Caselli, ci fu lo zampino del governo Berlusconi. L'ex procuratore di Torino lo ha raccontato due anni e mezzo fa in un'intervista ad Affaritaliani.it: "La commissione competente del Csm si era già espressa con tre voti per Grasso e tre voti per me. In questo momento, alla vigilia del plenum, intervenne la legge contra personam poi dichiarata incostituzionale. Ma intanto in plenum ci andò soltanto Grasso perché io a causa della legge venni depennato".