Politica
Processo Open Arms, lo scontro magistratura-politica e i limiti "invalicabili" tra poteri dello Stato
Che Salvini abbia o meno commesso i reati attribuitigli non interessa a nessuno. Ma che un ministro, persa l’immunità garantitagli dalla Costituzione, possa essere giudicato come un normale cittadino è quasi universalmente ritenuto intollerabile
I limiti "invalicabili" tra poteri dello Stato. Commento
Da due giorni tutti stanno a discutere e soprattutto lamentarsi della requisitoria dei pubblici ministeri di Palermo, che hanno chiesto per Salvini una condanna di 6 anni di reclusione per i reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio relativamente alla nota vicenda Open Arms.
“E’ un processo politico, una mostruosità” hanno denunciato in molti: sulla Stampa di Lunedì 16 Settembre è intervenuto lo storico e politologo Giovanni Orsina, con un articolo sferzante intitolato “Quel confine invalicabile tra la giustizia e la politica”, sostenendo che a Palermo stia venendo violato. E il giorno successivo, il 17 Settembre, ha scritto invece l’ex-magistrato Edmondo Bruti Liberati, a lungo Procuratore della Repubblica a Milano, che con tono paterno tenta di chiarire l’origine procedurale del processo a Salvini mostrando l’infondatezza di molte delle critiche ai pubblici ministeri di Palermo.
Il titolo dell’intervento di Bruti Liberati dice già quasi tutto: “I magistrati obbligati al processo; il Parlamento ha ordinato l’inchiesta”. Beh, questo non è proprio esatto: si sa che il mestiere del titolista è difficile. Ma insomma anche se si guarda il testo si trova la stessa idea: ‘Se vi è un caso in cui l’iniziativa della Procura è stata un “atto dovuto” è proprio questo: il Parlamento ha “ordinato”di procedere all’indagine’. Forse Bruti ha voluto dire troppe cose con la sua virgolettatura alquanto sibillina. E il titolista ha risolto il suo comprensibile imbarazzo facendola saltare. In realtà il Parlamento non ha ordinato alcunché: ha autorizzato, questo sì, la prosecuzione dell’inchiesta giudiziaria di iniziativa della Procura di Palermo.
Un articolo su un quotidiano non può trasformarsi in una lezione di diritto costituzionale, anche se si ha l’impressione che molti degli intervenuti ne avrebbero avuto bisogno. Il punto cruciale è la base su cui la legge attuativa dell’art. 96 della Costituzione assegna al Parlamento il potere di rifiutare l’autorizzazione alla magistratura ordinaria di procedere con l’inchiesta.
Senza fare citazioni che potrebbero appesantire il discorso, credo che la questione si possa spiegare semplicemente perché la soluzione trovata al problema di un filtro parlamentare da apporre nel caso di presunti reati ministeriali è semplice, quasi lampante: la magistratura penale accerta secondo i criteri del diritto penale comune se il Ministro abbia commesso un reato nell’esercizio del proprio potere di governo; il Parlamento può negare, con decisione insindacabile, l’autorizzazione a procedere, se il reato fosse stato commesso per perseguire un preminente interesse pubblico. Si potrebbe trovare strana questa regola, perché in uno stato di diritto non dovrebbe poter succedere che a degli organi dello stato sia necessario violare delle leggi dello stato per raggiungere fini dello stato.
Se si accettasse questo punto di vista, non vi sarebbe bisogno di alcuna autorizzazione del Parlamento. Ma non è certo questo che turba il prof. Orsina. Il quale osserva, “Saggiamene la Carta[Costituzionale] lascia così alla politica la facoltà di disegnare i propri stessi confini, di stabilire sin dove si spinge il terreno della discrezionalità politica sul quale la magistratura non può addentrarsi.” Neanche questo è del tutto esatto. Non ci sono atti che per essere politici sfuggano a una qualificazione giuridica: per i fini che a giudizio dell’autorità politica essi perseguono, l’attività della giustizia ordinaria nei loro confronti è sospesa.
Dunque la legge attuativa dell’art. 96 cost. del 1989 parrebbe eliminare alla radice la possibilità di sconfinamenti delle procure: possono rientrare in gioco solo dopo il giudizio politico del Parlamento. Come mai Orsina, che ne ha come abbiamo visto una buona conoscenza e comprensione, arriva alla conclusione opposta? Leggiamo il suo folgorante esordio: “Quello che Matteo Salvini sta subendo sulla vicenda Open Arms è un processo politico. Consentito, non a caso, da un voto parlamentare.”
Qui parrebbe che il processo sia politico perché nella sua genesi procedurale è intervenuto un organo politico, il Parlamento. Non è questo che di solito si intende per “processo politico”: un processo è politico quando i magistrati condannano o assolvono sulla base di giudizi politici, che non spettano a loro. Questo è quello che sostengono quasi tutti gli autori delle “sgrammaticature istituzionali” di cui parla Bruti Liberati. Ad esempio il Presidente del Senato, che accusa i magistrati di Palermo di voler “interpretare le leggi”, come se fosse possibile fare altrimenti. Al contrario, la Presidente del Consiglio rimprovera loro di NON tener conto della realtà politica, cioè del fatto che Salvini agì in conformità del “mandato ricevuto dai cittadini”, anche se, nota Bruti Liberati, nel “mandato” non era compreso che il loro rappresentante violasse il diritto internazionale.
Le accuse sono le più disparate, ma si rivolgono al comportamento e al pensiero dei magistrati della procura di Palermo, come manifestatosi nella loro requisitoria. Non così, parrebbe, Orsina: “Oggi il processo a Salvini è un evento giudiziario destinato a svolgersi seguendo le regole del diritto, ma non sarebbe mai esistito se a monte non ci fosse stata la decisione squisitamente politica che un’assemblea legislativa ha assunto a maggioranza, dividendosi lungo linee partitiche.” Il processo è dunque per Orsina geneticamente politico. Non si doveva fare. Non è in discussione il comportamento attuale dei pubblici ministeri. Questo può anche “stare svolgendosi seguendo le regole del diritto”. Ma è viziato ab origine.
Che Salvini abbia o meno commesso i reati attribuitigli non interessa a nessuno. Ma che un ministro, persa l’immunità garantitagli dall’art. 96 cost. come modificata nel 1989, possa essere giudicato come un normale cittadino è quasi universalmente ritenuto intollerabile e scandaloso.