Politica
Lega di Salvini: ecco le mosse per aprirsi sempre più nel Sud Italia
Lega al Sud: se si aprirà ancora, e maggiormente, al Meridione, sarà trattata da Signora
“Invito i leghisti a scendere al Sud, senza prevenzioni e passaporto, ne vale la pena. Sarete trattati da signori”.
Si esprime in questi termini, sul giornale “Libero”, nell’agosto del 2006, Marcello Veneziani, lo scrittore e politologo che nei suoi lavori in ricognizione dei pregi e difetti italici, spesso si pone come intermediatore culturale tra lo spirito pragmatico del popolo del Settentrione italiano e lo slancio ribollente di palpitante vita delle genti del Mezzogiorno continentale e insulare per amalgamare le due anime d’Italia, da sempre in competizione tra di loro. In questo contesto, oggigiorno, la Lega di Matteo Salvini, stando alle ultime proiezioni statistiche, riportate da giornali e quotidiani, si attesterebbe già sul 20% della presenza sul territorio nazionale e del gradimento tra gli elettori più attenti e avvertiti.
Ma perché l’osmosi avvenga in piena contezza e nel modo più proficuo e duraturo, bisogna che la Lega modifichi la ragione sociale e cambi il metodo di approccio e di assestamento nell’intera Penisola senza più remore che ne offuschino l’interesse e la considerazione, nell’intento, lungimirante, di risolvere finalmente la “questione meridionale”, banalizzata, negli ultimi tempi, dai mestieranti del meridionalismo più becero e d’accatto e da gente neghittosa, non capace di imprimere un’inversione radicale ad un problema che attanaglia da secoli l’esistenza culturale e sociale delle genti del Mezzogiorno che assistono impotenti alla fuga dei loro cervelli più capaci e al colpevole depauperamento delle famiglie e dei loro rapporti socio-affettivi. In prospettiva di un futuro meno gramo e più pregnante nella qualità e nei meriti.
Specialmente nella cogenza dei convulsi momenti che il vice-premier sta vivendo in questi giorni sulla propria pelle, che lo vedono demonizzato su giornali e riviste che di cristiano non conoscono l’accezione ermeneuticamente più vera e profonda, costoro pretendono protervamente che le popolazioni dell’intera Italia, e quelle del Meridione, in particolare, si facciano preda di un masochismo onnipervadente nel nome di una malintesa interpretazione del Vangelo che postulerebbe, a suo parere, la distruzione spirituale e fisica di alcuni a favore di altri per compiacere supinamente chi si è prefissato di compiere un’autentica sostituzione etnica dei cittadini italiani. Ma i fatti non stanno e, neppure, possono stare così. I veri, gli autentici cattolici, e non quelli finti, iniziano già a ribellarsi a questa idea straniante; cominciano a contestare con veemenza questo assurdo assunto che obnubila le menti di alcuni ciarlatani del Vangelo che, in nome del messaggio del Cristo, lanciano anatemi e fulminano scomuniche più forsennatamente di un pontefice medievale, nei confronti di coloro che non si allineano, in cieca obbedienza, al loro distorto pensiero e ai loro fuorvianti diktat: una condotta, questa, colpevole e soprattutto, vigliacca.
Allorché il grandissimo poeta, scrittore e critico Ugo Foscolo (1778 – 1827), il 22 gennaio del 1808, venne incaricato dell’insegnamento di Eloquenza presso l’Università degli Studi di Pavia, pronunciando, nel corso della prolusione inaugurale sull’origine e l’ufficio della letteratura, la celebre frase invitatoria: “Italiani, vi esorto alle Storie!”, ecco che quella antica sollecitazione del patriota “veneziano” torna ancora una volta, d’attualità allorché si guarda alla situazione politica odierna dell’Italia e si constata come alcune “spine” di carattere mentale impediscano alla Lega di pienamente affermarsi nel Paese.
Va da sé, quindi, come si presenti urgente la necessità di guardare con attenta perspicacia alla storia italiana e scoprire in tal modo che nell’età altomedievale il popolo dei Langobardi, che ha permeato il Settentrione dello Stivale fornendo la propria identità, anche onomastica, alla regione “Lombardia”, ha esteso la sua dominazione altresì all’Italia centrale e meridionale tanto da fornire genesi e corpo a quella entità politico-amministrativa che gli studiosi medievisti individuano come Langobardia minor, sotto la potente guida del ducato di Benevento, sicché anche la vastissima Terra d’Otranto che aveva conosciuto, dopo il definitivo tramonto dell’impero romano, l’abbandono e la dimenticanza che avevano cancellato e seppellito ogni memoria ellenica e latina, rendendola un immenso, irredimibile cimitero ed aveva conosciuto un’altra sorte con l’arrivo dei Langobardi che vi si insediarono da padroni contrastando i vecchi dominatori. Le lotte tra Langobardi e Greci cessarono soltanto con la spartizione della Provincia otrantina rimanendo ai primi la parte nord-occidentale della regione, mentre ai secondi toccò quella sud-orientale. Le terre, quindi, vennero divise da un “muro”, conosciuto come “Limitone dei Greci”, una sorta di Vallo di Adriano salentino ma, ovviamente, di dimensioni ben più modeste di quello inglese.
Ma la “voce” della storia non tace affatto! Continua a esprimersi, a spiegare; a dipanare fatti e avvenimenti, paci e tradimenti, battaglie e vicende e saccheggi: in poche parole, la vita antica e un passato che ha “forgiato” la popolazione del Sud così come oggi risulta essere, con l’orgoglio di cui si gloria e la cifra che la “marchia” e, forse e soprattutto, con le passioni e le umiliazioni mortificanti che ne angustiano il presente e ne condizioneranno certamente l’avvenire.
Ma le vicende della storia italiana, vichianamente, non si fermano, non si esauriscono qui: continuano a interloquire perché hanno ancora tanto, tantissimo, se si vuole, da dire, da affermare; da ricordare anche e, con un linguaggio più netto, anche se più brutale, da sbattere in faccia ai tanti saccenti del politicamente corretto, alle tante vergini vestali che vanno in giro a rilasciare attestati di gratuito buonismo e testimonianze di adamantina vita politica. La storia parla chiaro e non tace; ed informa senza ombra di dubbio: afferma come il 30 agosto 1454 sia stata sottoscritta a Venezia tra la stessa Serenissima Repubblica, Milano e Firenze, una “Lega Italica” cui aderirono, confermandola, a Roma, il 3 marzo 1455, sia il Sovrano Pontefice che il Re di Napoli -dunque, tutte le grandi potenze della Penisola italica dell’epoca- per garantire la pace e l’equilibrio raggiunto tra gli Stati italiani, nei limiti territoriali stabiliti con la Pace di Lodi, nell’aprile del 1454.
La storia, ancora, parla e parla chiaramente, senza infingimenti o remore di sorta ed afferma molto più di quanto ciascuno voglia o possa intendere. Perché essa non è un’opinione, costituisce una realtà concreta, plastica, senza che nessuno possa stravolgerla e neppure straziarla.
Ora, la Lega di Matteo Salvini, con tutte le potenzialità profetiche che essa sottende: politiche, amministrative, associative, culturali, se intende radicarsi nell’intero territorio nazionale e risolverne le innumeri criticità, deve rendersi più duttile e malleabile; deve assolutamente guardare alla lezione matetica dell’antica “Lega Italica”; quella del 1454-1455 e, in feconda consonanza con essa e con la storia dell’intera Italia, così come si è venuta snodando nel corso dei secoli, deve condurre a termine un compito serio, articolato, quasi messianico: ha l’obbligo inderogabile di fornire vita e nerbo ad un’altra “Lega Italica” che rassicuri e sostenga i cuori e le menti degli Italiani, nonostante le avverse azioni di chi, fingendo il contrario, vuole fortemente la distruzione della carismatica civiltà e della producente convivenza degli Italiani tutti.
Perché, parafrasando lo scritto di Marcello Veneziani, del 2006, se la Lega si aprirà ancora, e maggiormente, al Meridione, sarà trattata da Signora. Com’è nell’indole più vera, più autentica delle popolazioni del Mezzogiorno d’Italia.