Distruggere Marcello De Vito per ridimensionare il potere di Roberta Lombardi. Impedire a De Vito di diventare il candidato sindaco del M5S per evitare che, nel caso di vittoria alle urne del suo uomo (politico) di riferimento e suo protégé, l’influenza della “faraona” Lombardi crescesse a dismisura offuscando dive e divetti pentastellati, dai parlamentari più in voga ai capi della Comunicazione.
Il sindaco di Roma è molto più importante di un ministro, figuriamoci di un deputato o di una senatrice, e di un comunicatore reduce dal Grande Fratello, seppur potentissimo sul pianeta Gaia. Un complotto ordito con cura, che non si ferma di fronte a nulla, neanche gettare fango su un collega consigliere comunale. Questo emerge dalle rivelazioni della stampa nonché dalle confessioni privatissime affidate in esclusiva ad Affaritaliani.it da un/a consigliere/a del M5S di Roma che preferisce restare anonimo.
La fonte ci racconta, in tono accorato, del suo inserimento nella chat di gruppo in cui, nel gennaio 2016, erano presenti tutti i portavoce comunali e municipali – a parte Marcello De Vito, ovviamente. Nella chat si accenna ad alcuni presunti reati commessi durante il suo mandato di consigliere comunale. “Io lessi le comunicazioni di questa chat, che presumo aperta da Daniele Frongia, con molta sorpresa e molto scetticismo, e notai la creazione di uno schieramento ben preciso, del tutto ostile a De Vito. Dalla chat era assente anche Tiziano Azzara” (ex consigliere del Primo Municipio e “pecora nera” del movimento romano, ndr).
“I principali accusatori di De Vito erano Virginia Raggi, Daniele Frongia, Enrico Stefàno, Marco Terranova (entrambi consiglieri comunali), Monica Lozzi” (ora consigliera del Settimo Municipio, quella dell’adozione del topo, tanto per intenderci, ndr) e altri. “In questa chat si ribadiva, e si continuava a sostenere, che De Vito dovesse fare un passo indietro, ovvero rinunciare a candidarsi come sindaco. Si accennava anche al fatto che gli stessi parlamentari romani, Di Battista, Baroni, Daga, Vignaroli, Taverna, erano già al corrente della cosa e sostanzialmente d’accordo. “Il 7 gennaio 2015 ci fu una riunione a Casal Bertone in cui era garantita la presenza di tutti i portavoce nazionali, regionali, comunali e municipali.
Ma non tutti comparvero. I parlamentari diedero forfait; c’erano solo due regionali, Andrea Perilli e Silvana DeNicolò, ed era presente anche Dario Tamburrano, deputato europeo. Erano della partita, ovviamente, Frongia, Raggi e Stefàno e De Vito, quest’ultimo con la moglie. Si inscenò una sorta di processo a De Vito, lui l’imputato e gli accusatori principali Frongia, Raggi e Stefàno, sostenuti da Terranova. Tutti i presenti erano stati ‘istigati’ da Frongia e tutti si aspettavano che De Vito venisse messo di fronte a prove schiaccianti della sua colpevolezza. La prima accusa, uscita sui giornali, fu quella di aver fatto un accesso agli atti per fini personali, per favorire un conoscente che stava ristrutturando uno stabile in via Cardinal Pacca. L’accusa era campata in aria e venne smontata subito e facilmente da De Vito. L’accesso agli atti gli era stato commissionato dalla Regione, e precisamente dall’avvocato Paolo Morricone, legale dei portavoce pentastellati. Tutto legale, tutto lecito. De Vito si scagionò senza problemi.”
“La seconda accusa è invece più grave, la prima era di abuso d’ufficio, mentre ora si parlava di falso. Si trattava di una mozione che De Vito presentò in comune ai sensi dell’articolo 58, a carattere d’urgenza quindi. L’installazione di un semaforo sotto casa sua. Ma non era questo il vero scandalo, lo scandalo – secondo i tre comunali suoi colleghi, Frongia, Raggi e De Vito – era l’apposizione illecita di firme di altre persone per favorire il tutto. La tesi non stava in piedi, perché la mozione era stata votata dagli stessi tre colleghi! Quindi perché accusarlo? Peraltro la mozione non era neanche farina del sacco di Marcello, ma era già stata presentata in passato… perché a quell’incrocio era morta una ragazzina di 15 anni. A quel punto, le facce di Raggi, Frongia e Stefàno iniziarono a farsi ceree.” “La terza accusa era quella che riguardava Claudio Ortale (uscita sui giornali). Utilizzando i timbretti con le firme dei comunali, in particolare quello dello capogruppo (ovvero De Vito), Ortale – rinviato a giudizio – firmava missioni, trasferte, ecc. e in questo modo pare che si sia intascato quindicimila euro. L’accusa venne ribalzata su De Vito, che però – una volta scoperto il gioco di Ortale – aveva presentato una denuncia penale contro di lui per truffa e falso.
Quindi non poteva essere suo complice, come lo accusavano i tre suoi colleghi. Peraltro Ortale era stato presentato ai comunali dalla deputata Federica Daga e da Enrico Stefàno che lo avevano raccomandato come persona di fiducia, quindi di cosa stavano parlando? E con questo cadeva anche la terza accusa. “La quarta accusa era quella secondo cui, per quanto riguardava i canili di Roma, De Vito avesse avallato la gestione precedente - oggi messa sotto attacco dall’Anac. Marcello invece tirò fuori una sua intervista in cui ne denunciava le mancanze. Peraltro, chi aveva difeso fino ad allora lo status quo era stato il consigliere Stefàno. Ovviamente il bacino di voti per il M5s veniva dall’ATAC, dall’AMA e quindi si coccolavano gli uffici” così ci dice il consigliere. “In questo modo” riprende la fonte, “si concludeva il processo. Ma chi erano quelli che congiuravano contro Marcello? Innanzitutto Daniele Frongia, grande accusatore – creatore, forse con Marra dietro, chi lo sa, del dossier contro De Vito.
Frongia aveva portato addirittura a sostegno delle sue accuse un parere legale, che tuttavia non mostrò mai; e poi Virginia Raggi, ora sindaca, ed Enrico Stefàno. Fra i municipali, Marco Terranova (ora in Comune), Giovanni Boccuzzi (ora presidente del V municipio), Gennaro Mannarà, Alessandra Agnello (ora in Comune) e Monica Lozzi (ora presidente del Settimo), gli altri erano perlopiù pesci in barile. In pochissimi difesero De Vito dopo lo scardinamento delle accuse: Teresa Zotta (ora consigliera comunale), Paolo Ferrara (sempre consigliere comunale e capogruppo) e alla fine Tamburrano disse una frase che non dimenticherò mai: ‘Ragazzi, ho visto cose che non mi piacciono. Se si votasse domani, io non vi voterei’.
“Ci fu poi una successiva riunione, in cui Frongia mostrò i muscoli dicendo che erano coperti, che potevano stare tranquilli, perché avevano dietro Rocco Casalino. Zotta e Ferrara si inalberarono e quest’ultimo disse che avrebbe chiesto l’espulsione di Frongia. Poi ovviamente non se ne fece nulla. Ma qual era lo scopo della congiura contro De Vito, e perché vi presero parte anche i parlamentari – a parte la Lombardi – e lo stesso Rocco Casalino? “Perché lo scopo ultimo” dice la fonte, “era quello di distruggere Roberta Lombardi e limitarne il potere, che sarebbe divenuto smisurato se il suo protetto fosse diventato sindaco di Roma, come si prospettava dai sondaggi.
Un potere, quello della Lombardi, che avrebbe messo in ombra e detronizzato deputati/e, aspiranti premier, senatrici idoli delle folle e anche comunicatori meno idolatrati ma pur sempre influenti. “De Vito mi raccontò personalmente che, prima della riunione/processo, fu convocato in parlamento, dove gli vennero mosse accuse a bruciapelo cogliendolo alla sprovvista davanti ai parlamentari (senza la Lombardi) e a membri fantomatici dello staff, che Marcello non aveva mai visto. Lui non seppe difendersi poiché colto di sorpresa. I parlamentari erano convinti che fosse colpevole di falso, di abuso d’ufficio, di peculato, cose di cui De Vito era innocente come poi dimostrò. In Campidoglio, in seguito chiesi a De Vito cosa sarebbe successo dopo che si era scagionato.
Lui mi rispose: ‘Io potrei denunciarli, ma mi hanno assicurato che prenderanno provvedimenti dall’alto e che chi mi ha accusato pagherà”. Ma Marcello fu ingenuo: l’idea di promuovere la Raggi a sue spese continuò e, alla fine, fu Virginia a prevalere nelle comunarie interne per poi diventare sindaca di Roma, con Frongia addirittura vicesindaco. A dimostrazione che dietro c’erano Casalino e altri, con lo scopo appunto di eliminare la Lombardi.
“La punizione per Frongia, tuttavia, arrivò. Pur arrivato fra i primi dieci alle comunarie e quindi con il diritto di candidarsi a sindaco, fu invitato a non partecipare alla competizione e si ritirò. Il burattinaio pagò, mentre Raggi, Stefàno, Terranova, Boccuzzi, Lozzi e altri l’hanno fatta franca. Pagato per modo di dire, perché è uscito dalla porta e rientrato dalla finestra, diventando vicesindaco. Il complotto finì dunque per favorire il disegno di Di Battista, Di Maio, Taverna, Casalino, Baroni e tutti i portavoce romani, ovvero quello di ridimensionare Roberta Lombardi e il suo potere.” Una storia raccapricciante, insomma, quella del nostro consigliere pentastellato, che conferma ancora una volta l’orrore del M5s. Quando per giochi di potere si montano accuse gravissime e infondate contro un collega nonché compagno di partito per distruggere un rivale, in questo caso Roberta Lombardi, a quel punto tutto è lecito. Cosa ci si potrebbe aspettare se dovessero andare al Governo? Meglio non saperlo mai.