Politica

'Ndrangheta emiliana, Pm "silenziato". L'ira degli avvocati: "Fare chiarezza"

di Antonio Amorosi

Le rivelazioni dell'ex magistrato Pennisi e lo stop alle indagini sui legami tra mafia e politica. L'ira dell'Ordine degli avvocati di Reggio Emilia

Emilia Romagna, un territorio con i nervi tesi. Non bisogna fare domande sulla ‘ndrangheta? Il silenzio è una condizione d’oro da quelle parti

“Sono scettico e di conseguenza ritengo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze”, diceva Leonardo Sciascia.

A Reggio Emilia c’è molta fretta di archiviare la stagione del processo Aemilia, che ha scoperchiato 40 anni di infiltrazioni di ‘ndrangheta. Quello che potrebbe uscire, oltre ai fatti già noti, preoccupa tanti, troppi, che non parlano.

E’ come quando da ragazzini, vivevamo a Bologna, favoleggiavamo sulle imprese dei Casalesi che vedevamo nella città del tortellino, e ci riprendeva chi, con qualche anno in più, descriveva la ferocia dei Cutresi che agivano a Reggio Emilia, invitando a “non scavare per non avere brutte sorprese”.

Per tutti gli altri erano parole di pazzi. La ‘ndrangheta è presente e radicata in Emilia dagli anni ‘80, mafia e camorra anche da prima. Peccato che nessuno le abbia viste, se non di recente.

Hanno però destato una certa irritazione le parole dell’ex magistrato Roberto Pennisi che più di un mese fa ha rivelato a Il Giornale come non potè indagare sui legami tra ‘ndrangheta e potere politico della sinistra in Emilia: sul tema ci sarebbe una sua relazione alla Procura generale della Cassazione. Pennisi avrebbe scritto che alcuni colleghi non avrebbero voluto indagare.

Nelle motivazione che sempre la Cassazione scrive sul processo Aemilia si parla di ‘ndrangheta "vissuta" come un affidabile “fornitore di servizi", avendo colonizzato l’Emilia “grazie a pezzi di società conniventi", con un’organizzazione in parte imprenditoriale e in parte militare, in mezzo a una popolazione omertosa. Un radicamento profondo quindi.

Eppure mai negli anni, se escludiamo proprio il recentissimo Aemilia, vi è stato in Emilia Romagna un maxi processo contro le mafie. Solo per parlare di Reggio Emilia, i pellegrinaggi ripetutosi per decenni nelle vicinanze delle elezioni di molti candidati sindaci a Cutro, in Calabria, non hanno mai destato interrogativi, così come gli investimenti e acquisti di proprietà. Gli attacchinaggi dei manifesti elettorali emiliani a Cutro o che la strada per arrivare a Reggio Emilia si chiami “Città di Cutro”, sono rimaste suggestioni per i ragazzini.

Il silenzio è una condizione d’oro in Emilia Romagna e si è intrecciato con la bambagia del consumismo di massa, allontanando anche dalla conoscenza popolare la minima consapevolezza delle dinamiche criminali, ridotte a patrimonio per addetti lavori.

ordine avvocati reggio emilia
 

L’atteggiamento di irritazione per le parole di Pennisi si è ripetuto per gli interrogativi del vice presidente del Senato Maurizio Gasparri (FI) che ha chiesto la pubblicazione della relazione dell’ex magistrato. Uguale atteggiamento per l’interrogazione del deputato reggiano Gianluca Vinci (FdI), intervenuto sul tema.

In questi giorni ha fatto saltare i nervi la presa di posizione dell’Ordine degli avvocati di Reggio Emilia che in un comunicato firmato dal presidente l’avvocato Enrico Della Capanna “auspica che le rivelazioni del dottor Pennisi non restino lettera morta e che inducano a fare chiarezza affinché ogni dubbio possa essere opportunamente fugato”.

Parole che sembrano di buon senso. Le parole di Pennisi, scrivono i legali “non possono che provocare una forte reazione di sorpresa e motivata preoccupazione di cui l’Ordine degli Avvocati si sente doveroso interprete”.

“Apprendere da siffatta autorevole fonte”, scrivono i legali, “che le indagini più delicate che sono state condotte nel nostro territorio in tema di infiltrazioni mafiose risulterebbero viziate da mancate verifiche delle segnalazioni degli organi investigativi rispetto a soggetti appartenenti alle istituzioni e ad una parte del mondo politico, non può che provocare una reazione di cauto disappunto. Quanto si legge in questi giorni induce ad una seria riflessione sulle cause di una simile violazione dei principi di imparzialità, autonomia e indipendenza della magistratura, che debbono essere il fondamento della società civile”

Termini comprensibili per chi da un lato della barricata, ha il dovere di interpretare correttamente le norme. “Ciò ad evitare”, spiegano sempre gli avvocati, “che il sistema democratico, che si fonda sull’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, possa cedere il passo a pericolose deviazioni ed omissioni che contrastano, per definizione, con i principi di legalità e giustizia”.