Politica

Siamo ancora orfani dell'antiberlusconismo, ma al Paese serve concretezza

Di Lorenzo Zacchetti

Senza la "variabile impazzita", ora bisogna risolvere il problema cercando di trovare una soluzione che abbia un senso, non solo per il sistema

Per Berlusconi il Quirinale è un sogno sfumato

 

Lo scoiattolo è finito in trappola. L’anticipazione di Affari Italiani sulla presa d’atto del cul de sac nel quale si è infilata la candidatura al Colle di Berlusconi ha trovato un’autorevole conferma in Sgarbi. Proprio allo scudiero di questa missione impossibile è toccato il compito di annunciare lo scontro frontale con la realtà. Una realtà che peraltro aveva già timidamente provato a bussare alla porta del caparbio Berlusconi, attraverso ondate di indignazione che parevano fotocopie un po' sbiadite delle manifestazioni di protesta che ne avevano accompagnato la prima discesa in campo nel 1994, dei girotondi guidati da Nanni Moretti nel 2002 e dei cortei di “Se non ora, quando?” che nel 2011 avevano invocato e poi festeggiato l’uscita di scena (provvisoria) di quello che per alcuni è ancora oggi il nemico pubblico numero uno.

Ritrovarselo in campo oggi - magari non perfettamente in forma, ma ancora combattivo – non è sembrato vero ai suoi avversari storici, ringalluzziti dall’improvvisa sensazione di essere tornati giovani. Se oggi Berlusconi è "triste" - come riferisce Sgarbi - sappia che, in fondo in fondo, non è l'unico.

Si diano pace gli avversari politici, alcuni colleghi giornalisti, ma anche i comici e persino gli autori dei meme, perché con questo buco nell’acqua non viene meno solo il loro bersaglio preferito, ma anche una vera e propria ragion d’essere. “Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il valore nostro”, spiegava Umberto Eco, secondo il quale “quando il nemico non c'è, bisogna costruirlo”. Una perfetta spiegazione del perché, all’inizio del 2022, siamo tornati a parlare di antiberlusconismo e di "Bunga bunga".

Diciamocelo: nel coro del “no, Berlusconi, no” le voci c’erano un po' tutte. Ovviamente quelle del Pd e del M5S, un po’ meno ovviamente quelle di Italia Viva e, al di là delle posizioni ufficiali, anche alcune di centrodestra: con le elezioni del prossimo anno che lasciano intravedere a Salvini e Meloni la concreta possibilità di arrivare a Palazzo Chigi, è fondamentale che al Quirinale ci sia una figura in grado di accreditarli in Europa, rassicurando chi proverà a riaccendere le manifestazioni di protesta del passato, semplicemente cambiandone il bersaglio.

Finito di eseguire lo spartito del diniego, ora è davvero auspicabile che le suddette voci dicano qualcosa di nuovo e, possibilmente, ci guidino fuori da quell’autoreferenzialità che la corsa al Quirinale fotografa perfettamente: entusiasma gli addetti ai lavori, ma lascia decisamente freddi i comuni cittadini, che il Presidente della Repubblica non solo non lo votano, ma spesso lo guardano con un po’ di diffidenza, almeno fino a quando non imparano a conoscerlo e persino ad affezionarvisi. Quando capita.

Abbiamo già sottolineato l’impressionante iato tra la febbrile eccitazione che il romanzo Quirinale accende in tutti i protagonisti della politica, dalle più fini eminenze grigie ai peones più improbabili, e un sentimento popolare che ha ben altre priorità. Proprio la candidatura di Berlusconi ce ne ha riservato alcuni passaggi epocali, dalle telefonate di Sgarbi alla lettera di Verdini, che scrive a Dell’Utri per dire a Berlusconi che bisogna dar retta al quasi genero Salvini. E dire che una volta queste manovre erano segrete.

Tutte queste stranezze all'italiana però si sono ampiamente giustificate con il terrore che Mister B alla fine potesse in qualche modo farcela… e d’altra parte nella sua storia di obiettivi considerati impossibili ne ha centrati parecchi, hai visto mai? Nemmeno ora va considerato politicamente morto, come più volte è stato frettolosamente annunciato. È uscito di scena come aspirante Capo dello Stato, ma dirà comunque la sua sia sul Quirinale che in viste delle politiche.

È però un dato di fatto che, tolta dalla lavagna la variabile impazzita dell’equazione, inizi ora l’arduo compito di costruire un’alternativa che abbia un minimo di senso per il Paese, invece che rispondere soltanto all’esigenza di autoconservazione della partitocrazia, che non vede l’ora di piazzare uno dei suoi sullo scranno più prestigioso delle istituzioni. Un’istanza sempre più evidente e dalla quale farebbe bene a guardarsi anche Draghi, che pure resta il favorito di questa partita: anche lui è un elemento estraneo al sistema, seppure per ben altre ragioni. 

 

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