Palazzi & potere

Donald Trump: le novità e la destra di sempre

Se è vero che l’elezione di Trump è stata determinata da fattori nel complesso non nuovi (la “faccia” infastidente di Hillary Clinton; l’alternanza democratici-repubblicani; il tradizionale populismo fondato sulla piccola borghesia che affonda le sue radici addirittura nel primo Mussolini e in una radicata e forte tradizione mentale americana), è anche vero che ha portato con sé alcune novità non da poco.
 
Per la prima volta ha “sfondato” una candidatura nella sua genesi e nella sua iniziale gestione indipendente dai due grandi partiti tradizionali. Certo Trump è riuscito a vincere perché si è mantenuto nel grande alveo repubblicano, ma si è mosso per lungo tempo fuori dal partito: qualcosa in più di un outsider, quasi una terza forza. E negli USA mai una candidatura terza forza era riuscita a ottenere gran che. Inoltre anche nei modi e nel linguaggio ha incrinato alcune sacralità che fanno la ferrigna e secolare forza delle procedure costituzionali americane: molto seria ad esempio è stata la sua minaccia di non riconoscere il risultato in caso di vittoria di Clinton. Un atteggiamento che, non punito dagli elettori, può anche rompere l’indiscusso consenso alle regole del gioco della democrazia americana. Siamo di fronte a una grande novità che potrebbe anche rivelarsi devastante per la politica USA.
 
Anche il programma politico di Trump, quantunque finora un po’ confuso, ha aspetti più dirompenti rispetto alla consueta tradizione conservatrice-popolare dei repubblicani. Ciò non toglie che, per quanto possano farfalleggiare gli analisti di ogni tipo, farà abbastanza coerentemente cose assolutamente consuete “di destra”: vorrà rivedere la riforma sanitaria di Obama; nonostante i proclami farà qualcosa che faciliterà la vita alla grande finanza; tenterà, se non altro a livello di clima culturale, di attaccare sui diritti civili; favorirà la classe media impoverita e impaurita nel solco del conservatorismo nazionalista fondato sulle paure della media e piccola borghesia (comprendente oggi anche gli operai bianchi nati nel paese) ma nella misura in cui il grande capitale glielo farà fare; combatterà l’immigrazione; probabilmente vorrà diminuire le tasse e contestualmente i servizi sociali. Una strategia che, se riuscirà, porterà come sempre accade in questi casi una buona crescita economica e una radicalizzazione del disagio sociale. E la cultura dominante ufficiale cambierà. A parte, come sempre negli Stati Uniti,  è la politica estera, ma ad esempio il rapporto con Israele sarà di nuovo forte, riprendendo la tradizione repubblicana.
 
Dopo la sua vittoria il coretto dei commentatori si e ci conforta dicendo che non farà tutto quello che ha detto in campagna: certamente e la sostanza è che gli aspetti diciamo popolari (meglio che populisti) verranno largamente attenuati. Le borse, dopo l’inevitabile momento di sbandamento cui quasi tutti i media sono sembrati credere, hanno immediatamente iniziato quella che qualcuno ha già chiamato la “luna di miele” con Trump.
Siamo all’opposto del sistema ideologico e narrativo di Obama, siamo all’altra delle Two Americas descritte da un celebre libro. Per definire supersinteticamente il sistema ideologico-narrativo e le probabili azioni politiche di Trump e dell’altra America, possiamo utilizzare tutte le espressioni che vogliamo, ma a me sembra che la tradizionale supersintesi destra e sinistra funzioni ancora e ci faccia ancora capire abbastanza bene quello che accade e i percorsi anche contraddittori e non lineari della comunicazione e dell’azione politiche.


 

Analyticus
*Storico, docente di dottrine politiche, consulente di comunicazione politica