Palazzi & potere
ECOTASSA: PRO E CONTRO DI UNA MISURA CONTROVERSA
Ecotassa: Troppi veicoli inquinanti in circolazione ma non possono pagare sempre i soliti
Il fine giustifica i mezzi? L’ecotassa può essere una soluzione? Di certo la riduzione delle emissioni di CO2 è urgente: finora poco o nulla è stato fatto, e così, rinvio dopo rinvio, la situazione è divenuta insostenibile. In pianura padana non si respira più, le polveri sottili superano continuamente i limiti di legge. A Milano gli sforamenti del valore limite di 50 microgrammi si sono verificati ogni giorno tra il 30 novembre e il 5 dicembre. Ci si ammala più facilmente, si respira con più difficoltà. Asma, attacchi cardiaci e ictus sono causati anche dall’aria sporca che respiriamo, lo dicono gli scienziati. Di aria inquinata si muore. Nel mondo, ogni anno, si contano sette milioni di vittime (fonte OMS). Il contenimento dello smog è una patata bollente nelle mani del governo gialloverde che, dopo aver messo in legge di bilancio l’ecotassa a partire dal 2019 per chi acquista veicoli inquinanti (con emissioni di CO2 maggiori di 100 grammi al chilometro), tira già il freno a mano (si annunciano sostanziose modifiche al Senato). L’idea di tassare chi inquina non è di per sé errata. Anzi costringe chi, con il proprio comportamento, mette a repentaglio la salute di tutti a pagare di più. Detta così, chi non sarebbe d’accordo? Ma questo approccio non può funzionare per almeno 3 motivi. Innanzitutto: chi volesse optare per un’auto elettrica oggi si troverebbe di fronte un listino prezzi proibitivo. Una Nissan Leaf elettrica, segmento C, costa trentacinquemila euro, fino a salire via via con il prezzo fino al SUV della Tesla che supera ampiamente i 100.000 euro. Il mercato delle auto tradizionali viaggia su prezzi inferiori almeno del 30%. Dunque, anche considerando l’incentivo da 1500 a 6000 euro previsto dalla legge di bilancio, le vetture elettriche rimangono fuori dalla portata della classe media, che riserva per l’auto un budget nettamente inferiore. E poi persistono i limiti tecnici in termini di autonomia, che non va oltre i 200-250 km. Di fatto troppo bassa per tutti coloro che percorrono quotidianamente tragitti extraurbani. Si spiega così perchè, nei primi 11 mesi del 2018, le auto elettriche vendute in Italia sono state 4630, appena lo 0,25% del totale. Ma la principale responsabilità di questo immobilismo è certamente l’assenza di una rete infrastrutturale delle colonnine di ricarica. Sono pochissime. Dovrebbero essere installate capillarmente nel territorio, le dovremmo trovare nei parcheggi delle aziende e dei supermercati, in città, nelle aree di servizio in autostrada. L’Italia semplicemente non è ancora pronta per questa svolta. Vanno create le condizioni affinché gli incentivi, che rimangono strumenti fondamentali per accelerare la transizione verso il trasporto elettrico, possano essere davvero efficaci. Servirebbero anche input verso la rottamazione dei diesel (rassegniamoci: sono destinati a sparire dalle nostre strade nel giro di alcuni anni). Magari si potrebbe puntare su una diminuzione del parco macchine complessivo degli italiani, oggi ancora un miraggio, a causa del trasporto pubblico che funziona solo a macchia di leopardo e a un utilizzo ancora troppo poco diffuso del car sharing.
Nel frattempo andrebbero studiate misure contro i grandi inquinatori: gruppi industriali, stabilimenti, impianti di produzione ad alta emissione. Così si potrebbero finanziare gli incentivi al trasporto pulito: troppo facile colpire i futuri acquirenti della panda mille (la macchina più venduta nel nostro Paese). Sborsare diecimila euro one shot è già un grosso sacrificio. Aggiungere 300 euro o più di tasse per le emissioni sarebbe ingiusto. Soprattutto perché quella macchina non è un capriccio: è l’unica scelta possibile. Per ora, dunque, non rimane che limitare i danni con le misure tradizionali: blocco del traffico ai veicoli diesel euro4 e contenimento delle temperature in case e uffici a 19 gradi. A breve si rientrerà sotto la soglia e i mezzi inquinanti potranno scorrazzare di nuovo a tutte le ore nei centri cittadini. Fino al prossimo alert in un circolo vizioso che sembra senza fine.