Palazzi & potere

Ettore Bernabei, uomo del dialogo

Con Ettore Bernabei scompare un grande testimone e protagonista di storia italiana. C'è un aspetto della sua vita di cui non si è parlato molto nelle commemorazioni di questi giorni e che merita attenzione anche perché in qualche modo rappresenta un indice importante nell'evoluzione dei rapporti interreligiosi. Ne parlo qui con una testimonianza personale. Negli anni '90 Bernabei lanciò un progetto di produzioni televisive di tema biblico. Alla ricerca di consulenti religiosi, fui inserito nel progetto come "esperto " di parte ebraica e seguii l'intera serie. All'epoca oltre a fare il medico ero un rabbino "freelance " senza impegni pastorali e Bernabei, di una generazione avanti a me, era una sorta di monumento storico che mi stupiva per il suo progetto e per l'età in cui l'aveva lanciato e che continuò a stupirmi per il modo con cui lo condusse. Non solo per le capacità manageriali e imprenditoriali, ma per il pensiero determinato che lo guidava. Bernabei era stato nella mia memoria, ma anche nell'immagine pubblica che egli stesso dava di sè, "l'uomo di fiducia" di un sistema di potere democristiano e in particolare di Fanfani, proveniente da un gruppo di vivaci politici cattolici toscani (con La Pira, Dossetti ecc.) che avevano segnato la storia d'Italia. Il loro rapporto con gli ebrei e l'ebraismo era stato caratterizzato da aperture e attenzioni, singolari per quei tempi, ma tendenzialmente freddo e sul piano politico diffidente se non ostile; basti ricordare la cosiddetta "equidistanza" fanfaniana nel conflitto arabo israeliano ai tempi della guerra dei sei giorni. Eppure proprio in quei giorni nella TV di Bernabei a condurre il TG c'era Arrigo Levi che a stento tratteneva le sue simpatie per lo Stato d'Israele alla cui guerra di indipendenza del 1948 aveva partecipato come volontario. Ed era stato lo stesso Bernabei, poco dopo, ad approvare la fondazione della rubrica televisiva di cultura ebraica, "Sorgente di vita", che ancora continua in impossibili orari notturni. Essere chiamato da un personaggio con quella storia per partecipare a un progetto religioso aveva per me aspetti intriganti. Bernabei mi dedicò, con mio grande stupore per la differenza dei ruoli, molto del suo tempo per spiegare il suo progetto. Viviamo, diceva, in un'epoca di paganesimo e di analfabetismo religioso e la TV può essere uno strumento efficace per combatterli. Per questo bisogna cominciare dalla Bibbia e per farlo dobbiamo farlo insieme. Era questo il punto stupefacente: invece di continuare sulla linea di un'unica verità dottrinale si apriva alle differenze interpretative volendo garantire un prodotto fruibile prima di tutto da tutti i fedeli delle religioni che sulla Bibbia si basano. Qualcuno potrebbe supporre anche una necessità politica commerciale, essendoci il problema, in un progetto di respiro internazionale, di raccogliere il consenso del mondo hollywoodiano in cui ancora è forte una presenza ebraica. Ma non so fino a qual punto questa sia stata una motivazione decisiva: dai produttori americani arrivavano spesso proposte di sceneggiatori e testi improponibili, dal punto di vista dottrinale, per qualsiasi religione. Credo che per Bernabei contasse molto più l'idea del lavoro condiviso, un segno della novità cattolica postconciliare. Ed effettivamente l'esperimento dimostrò cose non ovvie: molto spesso si è configurato uno scontro non tra i diversi consulenti (il prete, il pastore, il rabbino, di solito insieme come protagonisti di barzellette), ma tra i consulenti da una parte e dei testi inaccettabili dall'altra. Dal punto di vista spettacolare è stato complessivamente un successo anche se il livello dei prodotti è stato ondulante, da un grande "Giuseppe " a un discutibile "Mosè" (impersonato da un Ben Kingsley impacciato, ben lontano dal suo mitico Gandhi). La mia collaborazione è continuata, in forme più discrete, anche quando la produzione è passata alla Bibbia cristiana. Con un ennesimo film su Gesù si rischiava la solita rappresentazione ridicolizzante e colpevolizzante degli ebrei (si pensi alla Passione di Gibson), ma tutto questo fu evitato per una grande attenzione alle possibili scivolate. Paradossalmente la grande sensibilità manifestata per Gesù non c'è stata per la fiction su Pio XII, e la divisione che si è profilata in quel momento è un'interessante dimostrazione dello stato dei rapporti ebraico cristiani. Dove sembra che ci sia molta più disponibilità nell'esegesi biblica che nel l'interpretazione storica, specie di fatti recenti. Ma sarebbe impensabile un percorso del genere senza qualche incidente.
Insomma Bernabei, nell'età in cui la gente "normale" si ritira in pensione, aveva intuito ed interpretato le necessità dei tempi e il senso del dialogo dandogli finalmente tra tante chiacchiere una dimensione concreta.

 

Riccardo Di Segni
*Dal 2001 è il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma