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Palazzi & potere
Lotito e il caso Frank. In un paese normale scomparirebbe. Lotito, dico

Francamente, confessiamo che ieri l'altro (dopo la contrita intervista del presidente della Lazio, Claudio Lotito, al Corriere della Sera) non avevamo assolutamente capito, né condiviso, la reazione sprezzante del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, che aveva risposto alla palese genuflessione di Lotito, dicendo: «La Comunità non è una lavatrice, né un luogo dove si presenta un omaggio floreale e si risolve tutto. ... un'apparizione davanti a una marea di giornalisti». Evidentemente, Riccardo Di Segni non era un maleducato ma solo uno che conosceva perfettamente la sua volpe che, come racconta la favola, perde il pelo ma non il vizio.

Infatti, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, il giorno dopo l'intervista in ginocchio, il presidente della Lazio, Lotito, è stato intercettato quando era appena tornato in aereo da Milano e poche ore prima di recarsi al Ghetto (non invitato dai vertici della Comunità ebraica della capitale) per deporre una corona di fiori alla sinagoga. In quella intercettazione, resa nota dal sito del Messaggero, Lotito dice: «Famo 'sta sceneggiata, famo!». Ciò dimostra che, come giustamente aveva intuito il rabbino capo, Lotito non era assolutamente pentito ma doveva solo cercare di parare il colpo, metterci una pezza, evitando così le conseguenze per le scelte irresponsabili dei suoi tifosi.

Nella sua intervista, alla quale, col senno di poi, Lotito era stato evidentemente il primo a non credere, il presidente della Lazio era stato, formalmente, molto fermo e deciso nel condannare l'antisemitismo di alcuni tifosi della sua squadra. «Occorrono», disse, sputando indignazione fin dalle orecchie, «pene severissime, anche il Daspo a vita». Il Daspo è il divieto tassativo di frequentare in qualsiasi modo gli stadi. Di solito è emesso per un periodo limitato di tempo. Lotito invece prevedeva il Daspo-ergastolo, vita natural durante, dimostrando così che, in casi come questi, bisogna essere decisi e implacabili al fine di estirpare senza esitazione e fin dalle radici la malapianta dell'antisemitismo.

Per dimostrare che lui, come presidente della Lazio è pronto a denunciare questo obbrobrio antisemita, anzi è lui la prima vittima di questi irresponsabili facinorosi, Lotito ha poi promesso, di sua iniziativa anche questa volta e senza essere stato sollecitato da nessuno, che domenica prossima i suoi giocatori, pur non c'entrando niente in questa orribile vicenda, indosseranno una maglia in cui chiederanno scusa ad Anna Frank (povera ragazza).

Non solo, sempre nella stessa intervista Lotito ha annunciato, per far capire a tutti che lui non fa mai le cose a metà, che entro l'anno organizzerà un viaggio-pellegrinaggio di giovani tifosi laziali ad Auschwitz (anche se Anna Frank morì, a soli 15 anni, nel campo di sterminio nazista di Bergen-Belsen; ma non si possono pretendere questi dettagli da Lotito). Il presidente della Lazio inoltre, non contento del colpaccione mediatico così ben confezionato, lo ha anche decorato con altre parole: «Lo chiamerò», ha detto convinto di aver fatto gol, «Viaggio della memoria, anche perché ho ispirato la mia vita sui principi cristiani del rispetto e della solidarietà. Il razzismo è un obbrobrio». C'è da supporre che, se anche lui avesse avuto una zia suora, avrebbe coinvolta anch'essa nella vicenda. Ma non ce l'ha purtroppo. E contare balle è pericoloso. Anche se, alle volte, e quando meno te l'aspetti, esse scappano, come capita anche agli incontinenti.

Lotito, continua Magnaschi, ha esibito anche le ferite morali che gli sono rimaste attaccate addosso per il suo filo-semitismo intransigente ed esibito. «Quando ho preso in mano la Lazio, tredici anni fa», ha detto, «in curva c'erano cori razzisti, svastiche, di tutto. Li ho combattuti: sono stati arrestati, hanno subito misure cautelari e sequestro di beni. Se la sono presa anche con me e con la mia famiglia. Mio figlio non è potuto entrare nello stadio per tanto tempo». Ecco perché «ho deciso di portare una corona di fiori alla sinagoga. Non l'ho fatto certo per lavarmi la coscienza, né per giustificarmi. È stato un atto sentito e voluto, un gesto che ho avvertito di dover fare a livello interiore».

Poi, purtroppo per Lotito, quando ha parlato per telefono con gente come lui, è stato molto più franco ed esplicito dicendo, testualmente: «Famo 'sta sceneggiata, famo!». Non c'è quindi da stupirsi se i fiori della sua corona da lui deposti incautamente davanti alla Sinagoga, siano poi stati gettati nelle acque del Tevere che scorre lì vicino. Semmai c'è da lodare l'aplomb della Comunità ebraica che ha detto che «si è trattato di un gesto spontaneo di alcuni ragazzi della Comunità indignati per le parole offensive di Lotito». L'offesa rimane, ma la palla è stata gettata fuori area.

 

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