Pagella Politica by Palazzi&Potere: chi ha torto e chi ha ragione
A ottobre hanno tenuto banco principalmente due temi: la nuova legge elettorale e la questione Banca d’Italia. Oltre a questo ci siamo dedicati anche alle elezioni siciliane, con un rapido fact-checking dedicato a ogni singolo candidato. Partiamo da qui.
Chi ha torto
1. I quattro candidati in Sicilia
Lo scorso 24 ottobre il candidato del Movimento 5 Stelle, Giancarlo Cancelleri, ha scritto su Facebook: “Questa è la terra con il maggiore numero di siti UNESCO”, riferito alla Sicilia. È falso.
Come abbiamo verificato, il primato è della Lombardia, con nove siti riconosciuti “Patrimonio dell’umanità”. Sicilia e Toscana seguono, a pari merito, con sette siti.
Sempre il 24 ottobre, il candidato della sinistra Claudio Fava, intervistato dal Notiziario di Sicilia, ha dichiarato: “Abbiamo 58 mila disoccupati, quest’anno”.
È falso, o quantomeno poco chiaro a che cosa si faccia riferimento: i disoccupati siciliani sono infatti 383 mila in totale nel 2016, e - secondo le previsioni - in diminuzione nel 2017 rispetto al 2016. Estrapolando dalle previsioni, si può dire che nell’anno in corso ci si aspetta un calo dei disoccupati di circa 20 mila unità.
Ancora il 24 ottobre Fabrizio Micari, candidato del Pd, ha detto ospite su La7 a DiMartedì che “il turismo è in ripresa”.
È vero solo se consideriamo il primo semestre 2017. Per il resto, la Sicilia negli ultimi anni ha arrancato, facendo registrare dati nettamente peggiori rispetto al resto d’Italia.
Infine il candidato di centrodestra, Sebastiano “Nello” Musumeci, lo scorso 13 ottobre ha dichiarato: “La Sicilia ha oggi il tasso più alto in Europa di disoccupazione giovanile”.
È falso. Peggio della Sicilia, con un tasso di disoccupazione giovanile del 57,2 per cento nel 2016, in Europa fanno l’Andalusia, Ceuta e Melilla, regioni spagnole. E un’altra regione davvero a poca distanza dall’isola: la Calabria, che nel 2016 aveva una disoccupazione giovanile del 58,7 per cento.
2. Renzi e le proteste sull’appoggio di Verdini alla legge elettorale
Intervistato su Radio Capital da Massimo Giannini a proposito dei voti di fiducia in Senato sulla legge elettorale, il segretario del Pd Matteo Renzi ha dichiarato il 26 ottobre: “quando Verdini è stato decisivo per il voto sulle unioni civili non eravate così scandalizzati”.
Come abbiamo scritto, Matteo Renzi ha sostanzialmente torto. Il voto dei membri di ALA, il gruppo di Verdini, non furono davvero indispensabili per approvare le unioni civili. Anche senza, il provvedimento sarebbe passato lo stesso, numeri parlamentari alla mano (ma probabilmente ci sarebbero state conseguenze politiche).
Ma soprattutto: quando Verdini votò la fiducia sulle unioni civili le proteste furono molteplici, anche all’interno della maggioranza e del Pd. Insomma, gli scandalizzati ci furono eccome.
3. DI Maio e Bankitalia
Luigi Di Maio, lo scorso 23 ottobre, ha duramente attaccato il Pd sulla questione banche, affermando: “Quando fanno lo show mediatico su Visco e Banca d’Italia per fare vedere che vogliono tutelare i risparmiatori si devono ricordare che quando hanno governato non solo hanno favorito le banche, ma in 20 minuti hanno fatto un decreto per salvare la banca della Boschi e mandare sul lastrico migliaia di risparmiatori”.
La sera stessa del 23 gli aveva risposto Maria Elena Boschi, sostenendo che “la banca non è stata salvata ma messa in risoluzione: esattamente il contrario di ciò che Di Maio afferma".
Come abbiamo verificato, Di Maio ha sostanzialmente torto e Boschi ragione. Banca Etruria non è stata salvata, come invece è successo alle banche venete, ed è stata posta in risoluzione. I capitali utilizzati per ripianare parte delle perdite di Banca Etruria sono arrivati da un fondo finanziato dal resto del sistema bancario italiano, e non da soldi pubblici. Bisogna dire, tuttavia, che nella scelta hanno avuto un ruolo determinante Banca d’Italia e le istituzioni europee, quindi il governo può dirsi responsabile dell’esito di questa vicenda solo in parte.
Chi ha ragione
Sugli stessi temi forti, legge elettorale e Banca d’Italia, abbiamo registrato anche diverse affermazioni corrette.
1. Di Battista e la legge elettorale
Ospite della trasmissione “Circo Massimo” su Radio Capital, lo scorso 11 ottobre, Alessandro Di Battista ha definito la fiducia sulla legge elettorale “un atto eversivo” e ricordato: “Chi altro aveva messo la fiducia sulla legge elettorale, nella storia? Mussolini sulla legge Acerbo, De Gasperi sulla cosiddetta “legge truffa” e Renzi sulla legge Italicum bocciata dalla Corte Costituzionale”.
Come abbiamo verificato, è un’affermazione corretta. Tuttavia bisogna anche notare che ben tre volte su sei totali in cui si è cambiata la legge elettorale (legge proporzionale, "legge truffa", Mattarellum, Porcellum, Italicum e Rosatellum bis) l'esecutivo ha posto la fiducia. Non un'eccezione, insomma.
2. Bersani e la nomina del governatore di Bankitalia
Ospite di “Carta Bianca” su Rai 3 lo scorso 17 ottobre, l’ex segretario del Pd e leader di Mdp-Articolo 1 Pierluigi Bersani ha dichiarato: "Il governatore della Banca d'Italia viene nominato in una procedura che prevede un ruolo del governo, del presidente della Repubblica, e un'opinione del direttorio della Banca d'Italia. Questo dice la legge. Il Parlamento può modificarla questa procedura (...) ma [in base alle leggi attuali] il Parlamento non ha titolo a discutere del governatore della Banca d'Italia".
Bersani, come abbiamo scritto, ha ragione sia nel ricordare la procedura di nomina del governatore di Banca d’Italia, e i soggetti coinvolti, sia nel sottolineare l’estraneità del Parlamento da tale procedimento. In base alla legge infatti, “la nomina del governatore è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia”.
3. Mattarella e l’obbligo di firmare le leggi per il Quirinale
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rispondendo alle domande di alcuni studenti delle medie il 26 ottobre scorso, ha affermato: “C’è un caso in cui posso, anzi devo, non firmare: quando arrivano leggi o atti amministrativi che contrastano palesemente, in maniera chiara, con la Costituzione. Ma in tutti gli altri casi non contano le mie idee […]: ho l’obbligo di firmare”.
Mattarella forse esagera un po’ sul fatto che “debba” non firmare, ma ha sostanzialmente ragione. Come abbiamo verificato, in base alla Costituzione il Presidente della Repubblica non ha il potere di fare valutazioni discrezionali sul contenuto delle leggi, ne verifica solo la regolarità formale e, al massimo, la palese incostituzionalità. In questo caso può rinviare la legge alle Camere - ma se non lo fa non è prevista alcuna conseguenza - perché la riesamini.