Palazzi & potere
Scotti, sull'Ilva passo importante per il governo
Scotti, il risultato raggiunto è stato indiscutibilmente frutto della strategia negoziale del Ministro Di Maio
Nel corso di questa settimana gli operai degli stabilimenti dell' Ilva sono chiamati a pronunciarsi - con un si o con un no sull' accordo firmato dal Governo, dall' impresa e dai sindacati. La valenza di questo voto, scrive Enzo Scotti sul Tempo, va ben oltre la conclusione di un accordo sul destino degli stabilimenti e, quindi, della salvaguardia del lavoro di migliaia di donne e uomini, come pure sugli impegni, non secondari, assunti dall' impresa per il risanamento dell' ambiente. I risultati del negoziato tra i tre fondamentali soggetti, governo, imprenditori e sindacati (in ordine alfabetico) sono indiscutibilmente positivi soprattutto se si tiene presente il duro scontro durante la fase elettorale, la difficile formazione del governo giallo-verde e la paralisi nella iniziativa politica da parte dei partiti dell' opposizione parlamentare, Pd e Forza Italia.
Il risultato raggiunto è stato indiscutibilmente frutto di una strategia negoziale del ministro che ha rischiato anche la rottura della trattativa e l'attacco dei gufi e ha saputo progressivamente portare l' impresa alla accettazione di impegni decisivi in tema di occupazione e di ambiente. Di Maio è riuscito anche a vincere la diffidenza iniziale di gran parte dei sindacati e a indurli ad aver progressivamente fiducia sulle mosse del ministro anche quando davano l' impressione di mettere in discussione i minimi risultati raggiunti prima di lui.
Ma quello che in questo momento mi interessa affrontare sono il significato e la valenza che vanno ben oltre questi da tie che oggi dovrebbero stimolare un' attenta riflessione e un serio confronto politico, particolarmente in queste prossime settimane in cui il governo si accinge non solo ad adottare le misure economico -finanziarie per il prossimo anno e per il triennio ma anche a discuterle e negoziarle con la Commissione dell' UE. Ricordiamo sempre che non è sufficiente l'intesa con la UE: occorre anche convincere, lo vogliamo o no, gli attuali e futuri detentori dei titoli del nostro debito pubblico. E per raggiungere questi obiettivi, importanti non solo per il governo ma per il Paese tutto, è necessario accompagnare le decisioni sulla finanza pubblica ad un progetto «strategico» di sviluppo e di consolidamento della nostra economia reale, del nostro sistema produttivo.
A questi fini l' accordo Ilva e la conduzione della trattativa da parte del Ministro De Maio fanno chiarezza su una scelta molto controversa nella pratica del governare di questi due ultimi decenni.L' Italia deve avere una forte base industriale per essere in grado di affrontare il gap che si è formato sul terreno della ricerca, della innovazione e della produttività dei nuovi settori di quella che chiamiamo l' industria 4.0. Alla vigilia della fase finale della trattativa sull' Ilva non erano in pochi che, per diverse ragioni, temevano o auspicavano la fine di una produzione strategica come l' acciaio nel nostro Paese, un paese che ne ha bisogno se vuole rimane manifatturiero. Il fantasma di un parco giochi a Taranto circolava tra la gente anche in buona fede e faceva leva sulla impossibilità delle nuove tecnologie di affrontare la questione ambientale e quella sanitaria. Lunghi anni di sottovalutazione dei pericoli all' ambiente e alla salute, avevano rafforzato la convinzione sulla impossibilità di avere concreti e controllabili impegni da parte dell' impresa su questo terreno. E questa prassi, troppo spesso adottata nel nostro Paese, di svendere le attività industriali di base, di tecnologia innovativa e di servizi dell' economia virtuale senza valutare l' interesse nazionale per le necessità del nostro sviluppo è purtroppo ancora fortemente attiva. La conduzione della trattativa sull' Ilva, con Di Maio, ha reso evidente e chiara la scelta industriale: la necessità di ottenere un impegno ambientale per la tutela di beni essenziali come la salute e la possibilità di coinvolgere imprenditori stranieri senza però rimettere alla loro esclusiva valutazione le scelte strategiche di produzione. La presenza attiva di Confindustria e sindacati li rende corresponsabili di una politica di sviluppo condivisa e li responsabilizza ad una negoziazione che assuma come imprescindibile il rapporto produttività - salari. Agli inizi degli anni ottanta il sindacato accettò di porre al centro del negoziato il rapporto salario- inflazione. Oggi dovrebbe fare una scelta analoga sul terreno della produttività. Il governo dovrebbe sollecitare e accompagnare la svolta nelle relazioni industriali per cambiare rapidamente la cultura, le istituzioni ele politica a favore di un forte impulso alla ricerca scientifica, alla innovazione produttiva e ad una cultura pro modernizzazione del Paese.
Le singole questioni sono da anni ben note anche se declamate ma non affrontate.Ora Di Maio e le forze sociali lascino alle spalle pregiudizi e resistenze a destra e sinistra e si misurino con le sfide globali ed europee, puntando a un obiettivo di sviluppo, di giustizia e di inclusione. Non si può puntare alla crescita della occupazione e quindi al rispetto della dignità della persona se non puntiamo, allo stesso tempo, ad uno sviluppo del reddito che diffonda il benessere e usciamo dai veti incrociati di un paese scettico e impaurito.La vicenda Ilva e soprattutto la sua attuazione costituisce una sfida per il governo del cambiamento e dobbiamo capire. Ad esempio sarebbe utile che anche il trasporto del gas può non essere una opera con finalità riprovevole se utilizziamo il gas per sostituire nella produzione dell' acciaio la tecnologia del carbone.
La portata dell' accordo Ilva sta oggi nel presentare al mondo una Italia che sa affrontare il rapporto con i vincoli esterni non tornando indietro verso una forbice "statalismo o liberismo" ma andando avanti, senza paure e preclusioni, verso una nuova alleanza tra scienza, società, amministrazione e politica.E' una ambizione che i nuovi movimenti devono avere, se vogliono aspirare al cambiamento, non lasciando che il nostro paese cerchi la sicurezza nella chiusura ma affrontando i rischi di un vero cambiamento d'epoca. E speriamo che non si persista nel pessimismo verso l' azione e nell' esercizio della paralisi.