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Politica
Quando i processi sono compromessi. Giudici e pm contigui democrazia a rischio

Scandalo magistratura e mancanza d’indipendenza dopo il “caso Palamara”.

Ne abbiamo parlato con il giudice di Cassazione Angelo Matteo Socci.

Socci è giudice della terza sezione penale della Suprema Corte. E’ stato giudice all’uditorato a Roma e a Terni di tribunale e di Corte d'Assise, formatore europeo e da 6 anni presidente della Commissione tributaria di Prato. In soli 3 anni Prato è balzata al primo posto in Italia per i tempi di definizione dei processi tributari, 178 giorni contro i 2554 di Crotone. Per la nomina dei dirigenti nelle commissioni tributarie il peso delle correnti della magistratura è quasi inesistente. 

 

Giudice, sta seguendo il ‘caso Palamara’?Emerge un quadro inquietante che si somma a quanto si è visto negli ultimi decenni. Si pone un problema sul funzionamento della democrazia in Italia o no?

"Non compete a me dirlo ma le intercettazioni captate dal trojan hanno messo a nudo un sistema che per gli addetti ai lavori era noto. Io denunciai la spartizione dei posti direttivi tra correnti nel 2000. Forse anche l'opinione pubblica lo sapeva ma certo queste intercettazioni hanno aperto la tendina, facendo vedere al di là del vetro. Naturalmente c'è la criminalizzazione di Palamara, ma Palamara è un membro di un sistema che funzionava così, lo ha spiegato lui stesso in televisione. Io non posso conoscere i meandri dei funzionamenti ma se lo dice lui…"

 

Alcuni magistrati fanno politica, il ‘caso Palamara’ sembra mostrarlo in modo palese. Le correnti  impongono delle linee politiche al Csm che le dà al Paese. Dovrebbe andare così?"

Il Csm non dovrebbe darle, assolutamente. La magistratura ha un’altra funzione. Il giudice non imparziale, cioè che ha un pregiudizio, fa paura. Vuol dire, in parole povere, che ha già la sentenza scritta prima che vengano esplicitati i fatti. Questo è terribile. Una società democratica non può permettersi un'ingiustizia della giustizia. C’è sempre un margine di errore e gli errori sono accettabili se derivano da un comportamento inconsapevole del magistrato, perché siamo uomini e possiamo sbagliare, ma se la magistratura con la sentenza persegue un risultato politico abbiamo un problema, non piccolo. Se i magistrati impugnano il codice come un’arma e la toga come una divisa allora è il crollo della democrazia. Perseguitando l'avversario politico non facciamo un buon servizio alla democrazia, anzi".

 

Da molti anni lei ha posto il problema della separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudici. Ci può spiegare perché questa esigenza viene anche dai giudici?

"E’ una commistione che abbiamo in Italia ma dobbiamo eliminarla perché è un'esigenza di igiene del sistema”.

 

Igiene del sistema? Ci può spiegare perché?

“Il giudice deve essere terzo. Per il giudice il querelante e il querelato devono essere sullo stesso piano. Ma per fare strutturalmente questo il pm e il giudice devono appartenere a due mondi completamente separati, non devono avere la stessa carriera, uno stesso meccanismo di funzione e un medesimo Csm perché svolgono due funzioni completamente diverse. Il pm non deve essere equiparato al giudice e quando si rivolge a lui deve essere visto allo stesso modo di un avvocato. Il giudice dev'essere terzo anche nei confronti del pubblico ministero. Se invece lo vede come un suo collega tenderà a leggere gli atti che ha compiuto il pubblico ministero come atti provenienti dalla sua stessa idea di giurisdizione. Il giudice invece ha una cultura completamente diversa rispetto a un pubblico ministero".

 

Ma io ho sentito in udienza giudici chiamare ‘collega’ il pubblico ministero, sia che stesse svolgendo la funzione dell'accusa sia che fosse parte offesa o presunta tale, come si spiega?

"Non va assolutamente bene. Quando si dice 'questo è un collega' si spiega una ‘colleganza’ con una delle due parti in causa, e non c'è terzietà, cioè si avverte che il giudice e il pm sono ‘sulla stessa barca’, diciamo così. Anche quando ero giudice a Terni ho sempre avuto un distacco e un atteggiamento simile nel trattare con i pm come con gli avvocati. I pm non potevano mai avvicinarmi e dire 'si potrebbe fare così'".

 

Però se non si interviene sulla separazione delle carriere questa 'colleganza' ci sarà sempre o no?

"Ovviamente si. Spiego sempre questo problema con l’esempio del triangolo del grande Chiovenda (uno dei maggiori esponenti della dottrina giuridica italiana, ndr). Al vertice assoluto del triangolo c’è il giudice e le altre due parti stanno paritariamente alla base. Devono essere sullo stesso piano. Nel momento in cui noi giriamo questo triangolo e mettiamo la punta con l’imputato sotto e la base sopra, col pm e il giudice, non abbiamo più giustizia e non vi può essere un giudice terzo. Non è concepibile, come avviene nel nostro sistema, essere organici ed aver fatto la stessa carriera, andare a mangiare insieme, stabilire in pausa pranzo quello che si deve fare perché in questo caso si crea una ‘colleganza’ che è un problema serio per la giustizia”.

 

Perché giudice e pm sono così diversi?

“Le faccio un altro esempio. Molti giudici che vanno a  ricoprire ruoli in Cassazione penale sono ex pubblici ministeri. Colleghi molti bravi, preparati e corretti ma la differenza culturale con i giudici si nota immediatamente. Mentre il pm è abituato, soprattutto se ha fatto il pm per trent'anni, a cercare tutte le prove contro l'imputato il giudice segue la cultura di chi  guarda con distanza sia le prove a favore sia le prove contro, in quanto giudice terzo. La cultura rimane dentro di noi perché è una cosa che si acquisisce con l'esperienza, con le capacità e con il vissuto. Ma se il giudizio su un imputato è dato con gli occhiali dell’accusa questi è già bruciato prima di iniziare e non verrà mai giudicato oggettivamente".

 

Uno dei più strenui sostenitori della separazione delle carriere, tra pm e giudici, è stato Giovanni Falcone. Il magistrato viene giustamente trattato con un simbolo dell’eccellenza del nostro Paese ma tanti che si autoincensano col suo nome poi dimenticano la sua idea di giustizia. Come si spiega?

"Dico di più, per la magistratura questo tema è un tabù. Chi parla di separazione delle carriere viene sostanzialmente messo all'indice. Forse una delle ipotesi per la quale fu messo all'indice Falcone è proprio questa, anche perché lui insisteva sulla separazione delle carriere in tempi non sospetti. E riteneva, come ritengo anch'io, che la separazione delle carriere non indebolisce il pm ma lo rafforza, lo rende più libero, più pubblico ministero. Così come dobbiamo tornare a una riappropriazione da parte della polizia giudiziaria delle sue funzioni essenziali".

 

Ha letto il piano di riforma di Bonafede che abbiamo pubblicato con Affaritaliani?

"Assolutamente sì, ce l'ho sottomano. Ci sono 2 o 3 cose da salvare, per il resto mi sembra tutta roba un po', come dire, gattopardesca. Nel senso che sembra che si riformi tutto ma sostanzialmente si fa il contrario di quanto ci si propone. Si creerà una concorrenza tra le correnti e queste avranno la loro forza di mediazione, di contatto e di alleanza".

 

Si rinforzano in pratica le correnti?

"Il problema è che dovremo, non so come perché non compete a me, spezzare, recidere i tentacoli dell'associazione nazionale magistrati con i consiglieri del Csm. È un'operazione non facile, capisco, ma se le correnti continuano a decidere chi andrà al Csm poi questi magistrati non saranno più indipendenti, nel senso che risponderanno e rispondono alle correnti che li hanno fatti eleggere. Noi dovremmo riuscire a separare questo legame. L'ipotesi più efficace che si fa è quella del sorteggio. Non sarebbe male sorteggiare una platea di candidabili tra magistrati che hanno già dei profili alti e poi far scegliere tra quelli sorteggiati. Mi sono candidato al Csm dopo la riforma Castelli-Berlusconi. La ratio della riforma era che ci si doveva candidare al di fuori delle correnti, in via autonoma. Fummo in tre in tutto a candidarci senza correnti (ride). Riuscii ad avere 100 o 120 voti, e fu un enorme successo perché ero da solo, non appoggiato da nessuno e venivo da un piccolissimo ufficio, Terni. Ma guardando i candidati si capiva già che le correnti si erano blindate. Si sapeva prima delle elezioni chi veniva eletto. E infatti vennero eletti i loro candidati”.

 

Altri aspetti della riforma Bonafede che l'hanno colpita?

"Per la valutazione dei posti direttivi non vengono considerate le pubblicazioni. Che senso ha escludere le pubblicazioni scientifiche dai criteri di valutazione? Le si può considerare non determinanti ma se si è bravi a scrivere e addirittura si sono vendute pubblicazioni di relativo successo, perché si è bravi nella materia giuridica, perché non considerarle? Un magistrato ha come primo requisito la competenza della materia giuridica. Non è possibile! Escluderla mi sembra una svista correggibile. C'è poi un aspetto positivo: il potere preminente che viene ridato alla commissione scientifica per decidere i magistrati in Cassazione. Questa è una buona decisione perché immette un parametro oggettivo, scavalcando l'appartenenza del magistrato alle varie correnti di potere. Per questo motivo uno come me, senza correnti, è riuscito ad entrare in Cassazione”.

 

Ci aveva colpito molto un aspetto contenuto nella riforma di Bonafede: che il Csm potesse andare a incidere sulle procure territoriali...

"Il problema dell'Italia è il controllo del pubblico ministero, 'gestirlo'. Io la penso diversamente. Mentre il giudice deve essere imparziale e terzo il pubblico ministero dovrebbe essere libero, da tutti, anche dalla politica. Si spiega tutto con il triangolo di Chiovenda che citavo all’inizio. Il ruolo del pm è importantissimo.Ad esempio negli Stati Uniti la sua forza è evidenziata dalle parole quando si dice 'lo Stato di New York contro' il singolo cittadino. Il singolo cittadino non è uguale allo Stato di New York che agisce tramite il procuratore. Deve essere mantenuta questa forza ma occorre trovare un equilibrio. Ad esempio va evitato che quando un imputato venga assolto in primo grado poi l’accusa ricorra in appello. Perché c’è una disparità di forze in campo. Invece in Italia il pm può ricorrere in appello. Ma accade per un errore ontologico della Corte costituzionale, che io apprezzo sempre e seguo con grande attenzione nelle sue sentenze. Ma qui confonde avvocato e imputato, dicendo che l'avvocato e il pubblico ministero sono sullo stesso piano e quindi possono ricorrere entrambi. Ma l’avvocato, che fa un lavoro e il cittadino che subisce un processo sono due cose diverse. Immaginate un cittadino innocente condannato in vari gradi che traumi subisce!Infatti quando il cittadino, ingiustamente condannato, viene assolto in un altro grado di giudizio si dovrebbe trovare uno Stato che in automatico gli sostenga almeno le spese, che sono sempre ingenti".

 

Ma ne usciamo? Perché anche questa riforma non prospetta nulla di buono?

"Ne usciamo se si fa una riforma seria: separazione di carriere seria ed elezione dei componenti il Csm tramite il sorteggio. Le correnti potevano far eleggere anche un cavallo. Nella riforma ci sono le buone intenzioni ma gli effetti non saranno quelli voluti. Le correnti sono importanti perché indicano un pluralismo culturale, anche i magistrati sono esseri pensanti, ma dovrebbero tornare ad essere un luogo d’incontro e dibattito non un luogo di determinazione del potere".

 

Ma ci vuole una volontà politica che non si vede...

"Tutti i governi vogliono riformare la magistratura ma è una riforma che deve essere condivisa tra la stragrande maggioranza in Parlamento, visto che ha delle valenze costituzionali se si parla di Csm".

 

E questa commistione emersa tra giornalisti e magistrati?

"Se la magistratura è messa male, la libera stampa autonoma, non è messa meglio. Vedo della sudditanza al potere. Si pubblica quello che fa piacere al potere. Vedo sul fondo problemi connessi ancora più grandi”.

 

Quali?

“Nel momento in cui io mi rivolgo al giudice vuol dire che la società non ha funzionato. Il giudice deve riparare un torto che ho subito. Ma se il giudice non è imparziale, ha un pregiudizio e si schiera addirittura con coloro che mi hanno fatto il torto, prima o poi non mi rivolgerò più al giudice".

 

Ricadute sociali gravissime. Si rischia che ognuno prima o poi creda sia legittimo farsi giustizia da sé. Ma c'è la consapevolezza di questo pericolo tra le toghe?

"Ai tempo di Mani pulite avevamo un sostegno di massa ma adesso vedo sfiducia nelle istituzioni e anche nei giudici. Non mi riferisco a dei giudici in particolare ma in termini generali. E il ‘caso Palamara’ può incidere tanto. Il problema del nostro Paese è che la giustizia non riesce a reggere il passo della modernità e questo è molto grave. Come magistratura siamo chiamati ad affrontarla e a modernizzarci. Siamo un potere dello Stato e classe dirigente. Chi dirige gli uffici fa la differenza. Non dobbiamo mettere a capo degli eserciti dei generali incapaci perché altrimenti ci ritroviamo come durante la prima guerra mondiale con Caporetto".

 

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