Politica
Referendum giustizia, ammessi 5 quesiti: e così Salvini esce dall’angolo

La Corte costituzionale ha palesemente sconfessato il governo ritenendo valido il quesito sul sistema di elezione del Csm
Giustizia, la consulta ammette 5 quesiti su 6: vittoria di Salvini
La Corte costituzionale ha ammesso 5 dei 6 quesiti referendari sulla giustizia proposti da Lega e Radicaliìì. Il referendum è di tipo abrogativo e, stando a quanto previsto dall’art. 75 della Costituzione, sarà valido se si recheranno a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto, mentre le norme oggetto di quesito saranno abrogate in caso di vittoria dei sì all’abrogazione.
I quesiti ammessi sono: 1. sull’abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità (Legge Severino); 2. sulla limitazione all’applicazione delle misure cautelari; 3. sulla separazione delle funzioni dei magistrati; 4. sull’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm. Insomma, i quesiti più importanti hanno superato il vaglio della Consulta.
In breve. Il quesito relativo all’abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità riguarda l’intera Legge Severino, pertanto, se vincessero i sì, verrebbero cancellate automaticamente tutte le norme vigenti dal 2012 sulla incandidabilità di parlamentari nazionali ed europei, sindaci, consiglieri comunali, regionali e presidenti di Regione.
La politica non sarebbe così più subordinata alla magistratura, che si vedrebbe sottrarre uno strumento molto invasivo per intervenire a gamba tesa sulla vita democratica del Paese. Il quesito sulla limitazione all’applicazione delle misure cautelari tende invece ad abrogare le norme che consentono ai magistrati di applicare la misura cautelare del carcere (cioè il cosiddetto carcere preventivo), fatta eccezione per i reati di mafia, quelli commessi con l’utilizzo delle armi e i reati di terrorismo interno ed internazionale. Il terzo quesito ammesso riguarda invece la separazione delle carriere dei magistrati. Sulla sua ammissibilità non v’erano dubbi, essendo già stato ammesso in passato ma senza esito abrogativo. Tale quesito mira ad abrogare le norme che consentono ai magistrati inquirenti di passare alla funzione di magistrati giudicanti e viceversa.
Se vincessero i sì all’abrogazione, si porterebbe a compimento il processo accusatorio di cui all’art. 111 della Costituzione, modificato nel 1999. L’ultimo requisito ammesso, forse quello “politicamente” più importante, riguarda l’abrogazione delle norme che non consentono ai magistrati togati di candidarsi al Csm sganciati dalle liste. Se l’esito del referendum fosse abrogativo, i giudici togati potranno candidarsi al Csm senza la necessita di appartenere a liste “politiche”, limitando così le correnti all’interno dell’organo di autogoverno della magistratura.
Su quest’ultimo quesito il governo ha cercato di giocare d’anticipo ed ha presentato pochi giorni fa un emendamento (sotto forma di disegno di legge) al progetto di legge che pende in Parlamento sulla riforma complessiva del Csm, ivi compreso il suo sistema di elezione. Se la riforma fosse approvata dalle Camere in via definitiva prima della data del referendum (da tenersi in una data compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno 2022), il quesito non sarebbe più evidentemente oggetto di voto popolare per cessazione dell’oggetto referendario.
Il punto politico è chiaro. La Corte costituzionale ha palesemente sconfessato il governo ritenendo valido il quesito sul sistema di elezione del Csm, disinteressandosi del tentativo di Draghi di boicottare il referendum per indebolire Salvini. Il Ministro Cartabia, esempio di garantismo processuale, non ha però proposto l’adozione di un decreto-legge, limitandosi a presentare un disegno di legge che - fino al termine dell’iter parlamentare – è solo aria fritta.
Probabilmente anche per il Ministro una riforma organica della magistratura non può non passare dal referendum abrogativo, per la cui presentazione sono state raccolte oltre un milione di firme popolari. Ora non può che essere il popolo a decidere e il Parlamento a rispettare la volontà popolare. Draghi ne prenda atto ed eviti di giocare sporco per fregare Salvini, il vero vincitore di questo primo tempo della partita.