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Politica
Referendum, si lavora al 'dopo-Renzi'. Delrio o Parisi premier


Perché Silvio Berlusconi (e Stefano Parisi) si sono schierati apertamente per il no al referendum? E il Patto del Nazareno? E il 'Partito di Mediaset'? In realtà - secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it - l'ex Cavaliere non ha alcun interesse a salvare il presidente del Consiglio dato che, come dicono a microfono spento sia in casa Pd sia in Forza Italia, "Renzi è bollito e ormai appartiene alla storia". E soprattutto Berlusconi, con la vittoria del sì al referendum, non potrebbe tornare in gioco.

Al contrario, il leader azzurro proprio punta sulla sconfitta del premier (sempre più probabile vista la posizione della minoranza dem con Bersani pronto ad annunciare il suo no) per poi sedersi al tavolo con i "resti" del renzismo per dar vita ad un nuovo esecutivo di larghe intese. Il ragionamento che viene fatto negli ambienti politici di maggioranza e di opposizione è che dopo la vittoria del no, a seconda dei rapporti di forza, nascerà un governissimo a guida o Graziano Delrio o Stefano Parisi (l'altro sarebbe comunque vicepremier) con l'avallo e la regia di Sergio Mattarella.

Una riedizione delle larghe intese tra i post-renziani del Pd (Delrio è un uomo del segretario ma mantiene la sua autonomia e non fa parte del cosiddetto 'giglio magico') e il nuovo delfino di Berlusconi. Anche lo smarcamento di Alfano e di Franceschini da Renzi sono segnali inequivocabili del probabile imminente terremoto politico del prossimo autunno. L'obiettivo delle rinate larghe intese, oltre a rassicurare l'Unione europea sui conti pubblici, sarebbe quello di riformare la legge elettorale.

Addio all'Italicum e ritorno al sistema proporzionale anche perché - spiegano fonti qualificate - il premier di maggioranza verrà bocciato dalla Corte Costituzionale (e in particolare da Giuliano Amato che avrebbe il 'dente avvelenato' perché ambiva al Quirinale ma Renzi non ha voluto proporlo e farlo votare come Capo dello Stato). Elezioni politiche quindi nel 2018 con Lega, Fratelli d'Italia, Sinistra Italiana e ovviamente 5 Stelle all'opposizione del nuovo governissimo.

Tra due anni poi il Centrodestra tornerà compatto e a quel punto Matteo Salvini potrebbe lanciare la candidatura a Palazzo Chigi o di Roberto Maroni (ipotesi preferita da Berlusconi) o di Luca Zaia (le quotazioni del Governatore del Veneto sono in forte ascesa non solo nel Carroccio). Salvini dal canto suo avrebbe confidato ai suoi collaboratori di non ambire al ruolo di premier in quanto come segretario del partito di maggioranza in un ipotetico governo di Centrodestra potrebbe "dare le carte" e "indirizzare le scelte politiche", senza "sporcarsi le mani direttamente". Evitando quindi l'errore commesso da Renzi.
 

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