Politica

Renzi sotto di 10 voti al Senato. Governo 157, opposizioni 167



Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)


Le parole di Pierluigi Bersani ("non c'è disciplina di partito sulle riforme costituzionali") pesano come un macigno sul governo guidato da Matteo Renzi. Ed ecco perché sono ore di trattaive febbrili nel Partito Democratico. Oggi, martedì 8 settembre, riprende in Commissione Affari costituzionali del Senato l'esame della tanto discussra riforma di Palazzo Madama. Sul tavolo la tenuta stessa dell'esecutivo e le sorti della legislatura, come ha spiegato qualche giorno fa ad Affaritaliani.it il presidente del Pd Matteo Orfini (clicca qui per leggere l'intervista). La partita entrerà nel vivo la settimana prossima, ma intanto è iniziata la conta.
 
Il nodo principale è l'articolo 2 del ddl Boschi: i senatori non saranno eletti direttamente dai cittadini, ma saranno scelti nei consigli regionali. Punto sul quale è in atto sia uno scontro tutto intestino al Pd, con la minoranza che chiede di lasciare intatta l'eleggibilità dei senatori, sia una guerra dei numeri che coinvolge anche un'opposizione compatta. Dunque è inevitabile che la questione politica del Pd abbia ripercussioni sugli aspetti tecnici, anzi, in questo caso puramente numerici.

I senatori sono 321 (315 eletti e sei senatori a vita: due presidenti emeriti, Napolitano e Ciampi, e quattro senatori nominati per meriti: Piano, Rubbia, Cattaneo, Monti). La maggioranza assoluta dell'assemblea è fissata a 161 voti. La maggioranza ha sulla carta circa 182 voti: 112 senatori del Pd (113 con il presidente Grasso che, però, per prassi, non vota mai), 35 senatori di Ap (Ncd-Udc), 19 del gruppo Psi-Autonomie (dove siedono tutti 5 senatori a vita, tranne Monti, che sta nel Gruppo Misto), 10 del neonato gruppo Ala (i verdiniani), cinque senatori su 30 del gruppo Misto che votano di prassi con il governo; almeno due senatori del gruppo Gal che in genere sostiene la maggioranza.

In questa votazione dalla maggioranza vanno sottratti 25 senatori "ribelli" del Pd (in realtà i firmatari degli emendamenti sul Senato elettivo sono 28, ma la minoranza conta su un numero più basso di voti): quindi si arriva a quota 157. La conta delle opposizioni, invece, arriva a quota 167: e cioè 45 di Forza Italia, 12 della Lega, 10 dei fittiani, 25 del gruppo misto, 9 di Gal e 1 (D'Anna).

L'ultima proposta di mediazione è stata partorita dall'ex ministro Quagliariello (Nuovo Centrodestra), recepita dalla presidente della commissione Finocchiaro e adottata dai tecnici del ministro alle Riforme Boschi e di Palazzo Chigi. Si tratta di un'elezione "semidiretta" dei senatori e cioè di "contaminare" il nuovo Senato con il voto popolare. L'ipotesi del 'listino' prevede un elenco di consiglieri regionali 'speciali' che, una volta eletti e 'se' eletti, vanno a comporre di diritto il nuovo Senato che resterebbe ancorato a una forma di elettività di secondo grado. I partiti, ovviamente, sceglierebbero i nomi del listino e cioè dei senatori che ognuno manderebbe a Roma, sempre 'se' eletti all'interno del consiglio regionale.

Se va in porto la riforma di Renzi e della Boschi (la cui approvazione definitiva è prevista non prima del mese di marzo 2016) a Palazzo Madama siederanno in 100 invece dei 315 di oggi, così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica. Saranno i Consigli regionali a scegliere i senatori, con metodo proporzionale, fra i propri componenti. Inoltre le regioni eleggeranno ciascuna un altro senatore scegliendolo tra i sindaci dei rispettivi territori, per un totale, quindi, di 21 primi cittadini che arriveranno a Palazzo Madama. La ripartizione dei seggi tra le varie Regioni avverrà "in proporzione alla loro popolazione" ma nessuna Regione potrà avere meno di due senatori. La durata del mandato di questi ultimi sarà di sette anni e non sarà ripetibile.

E' chiaro che se la mediazione dovesse fallire e se venisse reintrodotto il Senato elettivo - come confermano ad Affaritaliani.it fonti renziane ai massimi livelli - ci sarebbero le dimissioni immediate del presidente del Consiglio con la richiesta di elezioni politiche anticipate, probabilmente a febbraio del prossimo anno.