Politica

Renzi troppo normale per fondare un suo partito. Di Ernesto Vergani

Se Renzi, politico legato forse troppo sentimentalmente ai simboli, non vuole fondare un “suo” nuovo partito, almeno risolva il problema dell'unità del Pd

In un’ intervista a Maria Teresa Meli del Corriere della Sera, il presidente del Consiglio Matteo Renzi appare come un leader normale. L’intervista a tutto campo nasce probabilmente dalla volontà di reagire a una normalità, al fatto che il premier è stato fischiato all’assemblea annuale di Confcommercio.

Se il combinato disposto, nuova legge elettorale e riforma costituzionale, al cui referendum confermativo di quest’ultima di ottobre Renzi fa dipendere  il suo destino politico, renderanno la capacità legislativa e i costi della politica al passo coi tempi, solo se non ci saranno problemi di consenso, il fatto che l’assemblea di Confcommercio non segua il vento  ma fischi, è la prova che non c’è assoluto consenso di potere.

Renzi sembra normale anche quando mostra nervosismo nei confronti della minoranza interna (ciò al di là del  “lanciafiamme”,  parola scelta  secondo dettami della comunicazione manageriale a cui non dare troppa importanza).  Ha ragione Renzi quando dice che “un gruppo dirigente tira e altri tutti i  giorni lavorano per dividere”. Come crea confusione il fatto che l’ex segretario Pier Luigi Bersani chieda che i banchetti per il Sì al referendum di ottobre siano esclusi dalle feste dell’Unità.

I risultati della prima tornata delle elezioni amministrative nelle principali città che Renzi continua a giustificare (“Le elezioni amministrative sono un passaggio locale. Stiamo parlando di episodi territoriali, non di un voto nazionale”), chissà che non siano dovuti alla mancanza di unità nel Partito democratico, viste la frammentazione del centrodestra e l’unica vera novità elettorale ossia i “jolly” al femminile del Movimento Cinque Stelle: Virginia Raggi, in testa alla carica di sindaco a  Roma sul Pd Roberto Giachetti, e Chiara Appendino, seconda a Torino dietro Piero Fassino. Va da sé che ci sia democrazia interna a un partito, ma Renzi, politico legato forse troppo sentimentalmente ai simboli, se non vuole fondarne uno “suo” nuovo, perlomeno trovi il modo di risolvere il problema della unità politica sostanziale del Pd.