Politica
Separazione delle carriere, Palamara: "Così è garantito il diritto di difesa"
L'ex presidente dell'Anm ha con il tempo cambiato opinione sul dl approvato oggi: "Carriere già separate, si volevano preservare i privilegi". L'intervista
Separazione delle carriere, Palamara: "Così è garantito il diritto di difesa"
Dopo il Quirinale, arriva il via libera anche dal tavolo del Consiglio dei ministri del discusso “Ddl Nordio”, il decreto di legge promosso dal centro-destra che punta a riformare il sistema della magistratura italiana eliminando il rischio delle correnti interne.Tre i punti principali: separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici; riformare la composizione e l’elezione del Consiglio superiore della magistratura; ed eliminare la sezione disciplinare del Csm per individuare un’Alta corte cui spetterà il giudizio sugli illeciti di tutti i magistrati.
Affaritaliani.it ha interpellato sul tema Luca Palamara, ex magistrato ed ex membro del Csm, nonché ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Al centro come noto di un procedimento giudiziario che lo ha portato a patteggiare un anno di condanna per traffico d’influenze illecite, Palamara ha dichiarato di «essersi liberato dal peso dei processi senza ammettere alcuna responsabilità». L’ex magistrato si è sempre dichiarato contrario alla riforma di Nordio, ma oggi le cose sono cambiate. Palamara, oggi capolista di Alternativa popolare nella circoscrizione centro Italia alle prossime elezioni europee, è infatti del tutto favorevole alla separazione delle carriere. "Avere un giudice terzo garantisce il diritto di difesa. Nei fatti le carriere sono già separate. La levata di scudi del Csm? Non rinunceranno mai a quei principi che rendono la magistratura incontrollabile. Ma l'Italia di oggi non è quella del 1948". L'intervista.
Palamara, vuole ripercorrere per noi più nel dettaglio i motivi che l’hanno portata a cambiare idea?
Principalmente il fatto che all'interno della magistratura oramai, di fatto, le carriere sono già separate. Dopo il concorso, tendenzialmente, il trend è quello di fare carriere, di specializzarsi da un lato nella carriera del giudice, dall'altro nella carriera del pm, anche perché oggi determinate tipologie di reati impongono una specializzazione anche per le funzioni. C'è poi un secondo aspetto, che è la cosiddetta cultura della giurisdizione, un “mantra” che abbiamo noi, una sorta di parola magica, Poi in realtà nell'applicazione pratica non è così: nelle inchieste e nei casi più importanti, l'accusa rimane tale dall'inizio fino alla fine. Raramente un elemento favorevole all'imputato viene valorizzato per cambiare idea nell'ottica accusatoria.
Il suo coinvolgimento in vicende giudiziarie ha influito su questa decisione?
Sì, io per venticinque anni della mia vita ho fatto il pubblico ministero, ho anche avuto la fortuna di poter fare il giudice nella disciplinare. Quindi, ho conosciuto i vari ruoli dei processi penali. Dico che comunque per chi si trova coinvolto, avere un giudice terzo garantisce il diritto di difesa e attua maggiormente il disposto dell'articolo 111 della Costituzione.
Se è vero che il passaggio di carriera a dati tra il 2011 e il 2016 riguardava lo 0,21% dei giudici requirenti e lo 0,83% di quelli giudicanti, perché si fa tanto rumore su una questione tutto sommato marginale?
È esattamente questo uno dei motivi per cui ho cambiato idea. Vuol dire che di base, c'è la volontà, più che di aggirare il ballon d’essai del controllo politico, di non rinunciare a dei privilegi. Questa è la risposta, perché i numeri parlano chiaro. Nei fatti le carriere sono già separate.
E perché dunque il tema ha questa rilevanza politica?
Perché è uno dei principi cardine del fatto che nessuno può essere “controllato”. Ed è uno dei principi cardine dai quali si crea in qualche modo, avvicinando il pm al giudice, quello che io ho definito come “il sistema”, nel senso che avere un giudice all'interno della stessa carriera del pm può spesso facilitare determinate inchieste.
Che ruolo ha la premier Meloni in questa riforma?
Ovvio che trattandosi di riforme costituzionali contano i numeri. L'input è sicuramente importante, bisogna vedere poi l'attuazione pratica, quanta volontà c'è di tradurre in campo quello che diventerebbe un primo passo importante per rimettere mano più radicalmente a tutto ciò che non ha funzionato nel mondo della giustizia.
È l’inizio di una riforma complessiva della magistratura?
Sicuramente è una delle riforme più importanti, se non la più importante.
Cosa ne pensa della “levata di scudi” del Csm? E' ancora una volta sintomo di una politicizzazione dell'organismo?
La magistratura associata e il Consiglio superiore non rinunceranno mai a quelli che in qualche modo costituiscono dei principi cardine per rendere la magistratura “incontrollabile”. Non ci dobbiamo mai aspettare un loro lascia passare, ognuno fa il suo ruolo. E quindi il loro ruolo, lo dico per esperienza vissuta, è quella di non fare mai un'apertura sul piano delle riforme.
Riforma che punta al rinnovo o all’attacco della magistratura?
Il messaggio fondamentale che deve arrivare ai cittadini è che non deve essere percepita come una riforma contro la magistratura, perché se così fosse sarebbe sbagliato il punto di partenza. Bisogna entrare nell'ottica che ad un certo punto c'è bisogno di un'azione riformatrice del Paese. L'Italia di oggi non è l'Italia del 1948. Dal 1948 ad oggi sul tema giustizia tante situazioni sono avvenute, soprattutto dal 1992 in poi. Avere il coraggio di affrontarle è cavalcare il cambiamento. Su questo io rinnovo il mio impegno.