Politica
Quella di Tsipras non è una vittoria anti-Troika
Di Carlo Patrignani
Che si brindi pure come hanno fatto le borse alla vittoria di Alexis Tsipras in una Grecia martoriata e prigioniera, come il Bel Paese, del dogma neoliberista dominante in Europa, ma, per favore, non si dica: è una vittoria, prevista se non progettata a tavolino, anti-Troika, può avviare una stagione di cambiamento nel segno di un rinnovato socialismo o riformismo, più o meno di sinistra.
Se si riavvolge il film degli eventi greci più recenti emergono alcuni significativi incontestabili dati: nella trattativa con "i creditori criminali", come li ha definiti Yaris Varoufakis, e con l'accoppiata tedesca Merkel-Schaeuble a capitolare non sono stati affatto questi due ultimi ma la barcollante Acropoli; nell'accettazione obtorto collo del memorandum imposto dalla Troika ad Atene c'è il non rispetto di un referendum popolare che ha con la vittoria dei 'No' respinto la filosofia che sottostà, e non da oggi, ai dicktat della Troika.
A Tsipras il referendum popolare è stato permesso: nel 2011 invece fu negato a George Papandreou che, al solo nomare la parola referendum, venne sostituito in meno di 24 ore da Lucas Papademos. E, in quel frangente, venne sostituito non grazie all'opposizione anche l'inquilino di Palazzo Chigi: lo scettro di comando passò da Silvio Berlusconi al freschissimo senatore a vita, l'economista Mario Monti mentre la guida la Bce veniva affidata ad un altro economista, Mario Draghi.
Le tre nomine quasi contemporanee portarono Le Monde a chiedersi: "Cosa hanno in comune Mario Draghi, Mario Monti e Lucas Papademos? Il nuovo presidente della Banca Centrale europea, il presidente del Consiglio designato e il nuovo primo ministro greco appartengono a vari livelli 'au gouvernement Sachs' [al governo Sachs] europeo. La banca d'affari americana ha infatti intessuto in Europa una rete di influenza unica sedimentata da molto tempo, grazie a una stretta rete".
Syrizia, dunque, ha vinto, anzi rivinto: è legittimo che chi vuole, la borsa e eminenti politici come Enrico Letta, brindi ma non si carichi questa vittoria di significati debordanti che non ha, come l'avvio di una possibile stagione di cambiamento dai connotati socialisti o riformisti, più o meno di sinistra.
Tsipras ri-farà un governo di alleanza con Anel, il partito dei conservatori, e avrà, questo sì, le mani più libere essendosene andato Varoufakis e si vedrà se la ribellione elettorale anti-austerity e anti-lobby o èlite sarà stata illusoria o se avrà gettato il seme kalispera.
I più loquaci pensatori di una inconcludente sinistra parolaia guardano a Tspiras come a un Profeta e lo mettono insieme ai leader del Labour, Jeremy Corbyn e di Podemos, Pablo Iglesias, perfino al Sinn Fein dell'Irlanda, prefigurando un fantasmagorico fronte unico in grado di progettare una alternativa credibile, affidabile, praticabile <em>au gouvernement Sachs</em>.
Ciò serve solo per la propaganda spicciola al fine di consolidare la posizione o racimolare qualche voto ma nulla di più. E per due piccoli, semplici motivi: il primo, trattasi di partiti e di movimenti politici eterogenei e difficilmente assimilabili per storia e cultura e senza una cultura di governo alle spalle; il secondo è che qualora fosse reale, ma non lo è, il primo, in Italia non esiste un partito, un movimento e un leader di livello che si possano non assemblare ma accostare ai suindicati.
Fuori dalla mischia è il Pd, che, piaccia o no, è il maggior partito, per effetto di elezioni europee e non di elezioni politiche, di matrice catto-comunista chiamato a far parte del polo progressita europeo, il Pse, e come tale custode del dogma neoliberista dominante e rottamatore della distinzione destra e sinistra. E di certo Matteo Renzi non ci pensa neanche a far fronte comune con Corbyn o Iglesias nè con il Sinn Fein, magari è più facile che lo faccia a breve con Tsipras.
Siccome non si può restare imprigionati nell'ideologia neoliberista che tanti cuori ha conquistato, subito dopo il crollo e il fallimento del comunismo, anche a sinistra, occorre lavorare per una via d'uscita. E una possibile via d'uscita, servendosi dell'originale socialismo e riformismo di sinistra degli anni '70, è definire un nuovo umanesimo laico non per trasformare il mondo, come credeva erroneamente Carlo Marx, ma per trasformare gli esseri umani accettando il principio indiscutibile, inderogabile, fallito dal comunismo, dell'uguaglianza assoluta tra tutti gli esseri umani per la nascita.
Nascita che essendo la stessa per tutti, a prescindere dal colore della pelle, fa gli esseri umani tutti uguali che poi con il tempo diventano diversi. E' su tali basi che si può quindi progettare un modello di società più ricca perché diversamente ricca capace di soddisfare tassativamente i bisogni essenziali per la sopravvivenza ma contestualmente in grado di far realizzare le esigenze di ciascuno indispensabili alla vita.