Col ballotage delle elezioni presidenziali odierne la Francia esce dal paradosso di un presidente col nome di un altro Paese, François Hollande, per imboccarne uno nuovo e inedito. Quello che ha già visto, nella prima fase elettorale, lo spostamento della “N” - simbolo identitario della grandeur napoleonica - dalla forza individuale della radice, scivolare a desinenza comune per tutti i cinque competitori in corsa per l’Eliseo.
Fillon, Mélenchon, Macron, Le Pen e Hamon sono stati la testimonianza di questo inesorabile slittamento, che accompagna sulla spianata del Louvre alla Pyramide di fronte all’Arc de Triomphe l’outsider Emmamuel Macron, il cui acronimo racchiuso nel suo stesso prénom: EMMA, dà la stoccata finale a un affondo portato a segno in poche mosse: rapide, spariglianti e decisamente incisive.
E proprio un’infanzia in chiave M, passata a leggere Molière e Mauriàc, con una nonna insegnante dal piglio didattico paziente e stimolante, è stata più che sufficiente alla stesura di un programma politico, che vale un manifesto “rivoluzionario”: l’istruzione come chiave di libertà e di riscatto, per un Paese in cerca di nuovi e smarriti orizzonti.
E’ la Rivoluzione dell’ottimismo che Macron ripropone alla Francia e ai suoi concittadini “per indurli a impegnarsi a loro volta”, declinando lo Yes, we can di Obama e indicando l’apertura come fedeltà allo spirito della nazione, contro “una Francia che insulta ed esclude”, in netta antitesi col suo avversario: Marine Le Pen.
Un avversario spigoloso, che per tanti francesi - pur non rappresentando la soluzione - avrebbe potuto incarnare la consolazione. E che Emmanuel Macron ha travolto, politicamente, con un’apertura dell’Eliseo alla Francia liberale, europeista e ottimista. Anche per riaffermare che la soluzione all’antipolitica non è affatto l’abbandono della politica, ma il rinnovamento profondo delle forme, degli strumenti e della stessa comunicazione politica.
La Francia si appresta, quindi, a vivere una nuova sfida tra scetticismo e rassegnazione, tanto è diffusa la sensazione che questo presidente sia, in definitiva, il “meno peggio” (bassa l'affluenza a questo secondo turno di ballottaggio). Frédéric Mitterrand, regista, scrittore e già Ministro della Cultura, che lo ha votato al ballottaggio, dopo aver votato Fillon al primo turno, lo definisce: “Un tipo che vince senza dire nulla, ma capace di capovolgere molte opinioni diffuse”.
“Perché - aggiunge Mitterrand - dalla morte della V Repubblica alla crisi irreversibile dell’Europa, dalla politica terreno di chi grida più forte, fino alla Brexit e a Donald Trump, Macron rappresenta il contrario di tutto questo. Per cui, con sorpresa, alla fine scopriamo che la maggioranza - chi l’avrebbe mai detto - la pensa come lui”.
“En Marche!” è stato lo slogan vincente, diretto, moderno, dinamico e coinvolgente, contrapposto a quello nostalgico e obsoleto di Marine Le Pen “Au nom du peuple”, che nonostante volesse essere una linea di condotta e una sorta di professione di fede, per la candidata frontista, non ha ‘bucato il video’ dell’elettorato francese. E mentre l’invettiva lepeniana esortava al ritorno al franco e alla chiusura delle frontiere, Macron parlava di speranza e di sogni, con concreto richiamo subliminale alle note suggestive della Marsigliese.
Ma la vera sfida politica e l’aspetto decisivamente più interessante del tentativo di Emmanuel Macron sarà il superamento della divisione tra destra e sinistra. Ovvero, lo sforzo di andare oltre la vecchia politica, in pratica la novità a cui guardano con segreta speranza molti leader anche fuori dalla Francia.
Mario Monti conosce il neo-presidente da quando nel 2007 faceva già parte della Commissione Attali - voluta da Sarkozy - per la liberazione della crescita in Francia. Ancora un idillio trans-generazionale, dopo quello con Brigitte, tra il 29enne Macron e il 64enne Monti, che da allora ne ha sempre avuto stima e ammirazione professionale.
Un susseguirsi di convergenze di vedute, che porta l’ex Presidente del Consiglio italiano a ricordarle nell’augurio per l’arrivo all’Eliseo: “Convergenze sul modello di economia necessario all’Europa, per vincere la sfida della globalizzazione. Ovvero la convinzione che i paesi avanzati, ma con rilevanti problemi economici come sono appunto la Francia e l’Italia, debbono puntare su riforme strutturali e sullo stimolo della concorrenza, e non sperare che i disavanzi pubblici generino crescita”.
“Né io né Macron - aggiunge e sottolinea Monti - siamo a favore della ‘sovranità’ dei mercati. Siamo a favore, invece, di regole chiare, fatte rispettare rigorosamente da poteri pubblici imparziali, anche di fronte a poteri economici e finanziari che tendono a prevaricare. Emmanuel Macron è un uomo competente, che apprezza la competenza. E’ veloce nel decidere, ma non mette l’azione prima della riflessione. Sa unire, sa ascoltare e ascolta prima di parlare. Tutto questo sarà fondamentale, per l’auspicio beneaugurante per l’Europa, con questa elezione, di una sorta di passaggio epocale: dal danno cessante al lucro emergente”.
L’augurio è per il presidente Macron, l’implicita bacchettata è sulle dita di casa nostra!
(gelormini@affaritaliani.it)