di Nicola Pice
Difficile, data l'evidente differenza di taglia e misura, ma se fossi nei panni del sindaco di Bitonto, Michele Abbaticchio, ignorando i fatui piagnistei e gli inutili patetismi, ma soddisfatto di un notevole punto d'arrivo, farei subito un gemellaggio con Parma.
E non senza ragione. Il tentativo di riforma del melodramma italiano venne effettuato a Parma dal 1759 al 1761 su impulso del ministro francese Guillaume du Tillot. I protagonisti di quella esperienza furono il bitontino Tommaso Traetta, il poeta di corte Carlo Innocenzo Frugoni ed il nobile letterato parmense Jacopo Antonio Sanvitale, incaricati di realizzare una commistione con la tradizione operistica francese, la cui vocalità italiana si coniugasse con l'uso dei cori e della danza degli spettacoli d'oltr'alpe.
Tommaso Traetta mise in scena alcune delle opere sue più note (Ippolito e Aricia; I Tindaridi, Le feste d'Imeneo, Enea e Lavinia). Du Tillot diede al giovane Traetta l’occasione di allontanarsi dalla obbedienza al melodramma metastasiano e di sperimentare idee riformatrici, musicando i racconti mitici “nello stile francese”.
Quella esperienza gli ispirò pregevoli pagine solistico-corali, ma soprattutto lo stimolò a nuove prospettive drammatiche sulla scia di quei riformisti dell’epoca che miravano ad una maggiore espressività del testo.
"Penso all’inizio della sinfonia dell’Ippolito e Aricia e mi ricorda quella del Flauto magico: ma quest’ultimo non è stato scritto dopo? Dove è il confine? Mozart è un genio sicuramente, però ha indubbiamente attinto molto da Traetta", sostiene il maestro Angelo Manzotti.
E alle novità di Parma seguirono i grandi esperimenti di Mannheim, di Vienna, di San Pietroburgo, in cui ancor più si dette tinta unitaria allo sviluppo dell’azione e maggior spazio alla felicità della vena melodica e alla grazia della strumentazione.
Allora, a gemellaggio fatto, una bella idea sarebbe quella che Bitonto e Parma realizzassero per il 2020 la messa in scena di un'opera traettiana (un melodramma, non lo Stabat o il Miserere, e senza esterofilia): non siamo la capitale della cultura, ma abbiamo un capitale della cultura di cui poter sempre andare orgogliosi.