Quattro oracoli di fronte al mare e una vestale della tradizione vitivinicola in notte piena di stelle a Trani, presso “Il vecchio e il mare“, per recuperare e ridiscutere storia e ragioni dell’eterno rapporto fra Uomo e Mare. Un rapporto fatto di imprese, coraggio, sacrificio ma anche di rispetto per la natura e di conoscenza delle ricchezze enormi del mare e dei suoi prodotti nell’arco delle quattro stagioni.
Un progetto curato da Francesca de Leonardis, consulente ed organizzatrice di cibo e vino, in collaborazione con i ragazzi de “ Il Vecchio e il mare”, e Antonio V. Gelormini, giornalista e scrittore, il cui intervento: 'L'arca che aveva una vigna per vela' è stato letto con intensità espressiva da Serenella Penza (giornalista RAI); Salvatore Brunetti, gia Capitano di motopescherecci d’alto mare che, oltre a raccontare la sua esperienza di trentacinque anni di navigazione, ha tunoto una piccola lezione sui fondali marini, sul pesce di stagione e sulle reti da pesca; Peppino Palumbo, Presidente dell’azienda vitivinicola Tormaresca, che, alla luce della sua prestigiosa esperienza nel settore, ha delineato le ragioni del rapporto ideale fra alcuni dei vini prodotti da Tormaresca ed i piatti a base di pesce; Corrado Capece Minutolo, espressione dell’ultima generazione dell’azienda Villa Schinosa di Trani ed inarrestabile velista, che ha raccontato i suoi vini con la passione dell'uomo di mare.
Una serata segnata dal percorso a tappe tra i punti di assaggio a base di pesce e di vino, per rimarcare anche quanto sia sempre saldo in Puglia il binomio pesce-vino, come espressione del più ampio rapporto prodotti del mare-prodotti della terra.
A Nino Ditrento, chef de “ Il vecchio e il mare “, l'onere e l'onore di preparare alcuni antipasti a base di pescato del giorno, mini hamburger con pesce azzurro ed un 'tubetto' con la triglia ; il tutto innaffiato dai vini:
“ Pietrabianca” Chardonnay e “Fichimori” Negroamaro dell’azienda Tormaresca;
“Garbino“ Moscato secco, “Fiano” e, dulcis in fundo, il Passito di Trani, dell’azienda Villa Schinosa.
Una rete di proposte e idee innovative che ha catturato gli entusiasmi e gli apprezzamenti dei convenuti, che già chiedono con insistenza: "A quando le repliche?"
L'arca che aveva una vigna per vela
L’acqua è vita, ma di eccesso di vita o di acqua si può anche morire. Diluvio ieri, alluvioni o uragani oggi, ce lo continuano a ricordare drammaticamente. Il senso del limite è l’unico monito-antidoto alla tentazione dell’eccesso e al rischio della vergogna.
Sopravvissuto al diluvio universale, che aveva accomunato umanità e natura nella devastazione, Noè per prima cosa dà vita a un gesto di grande speranza, e ncontrae un matrimonio con la terra: se già il piantare un albero, infatti, è compiere un gesto di grande speranza, decidere di piantare una vigna lo è ancora di più, perché occorrono anni e anni per goderne il frutto, occorre essere fiduciosi di fare alleanza con quella terra, di fermarsi là, e di lavorarla a lungo in pura perdita.
Noè decide di farlo, con caparbietà pianta e coltiva una vigna, e possiamo immaginarne lo stupore, quando si ritrova finalmente tra le mani quei grappoli a lungo attesi, lo possiamo quasi vedere affascinato e sedotto da un fatto misterioso: avendo spremuto quei grappoli vendemmiati, per berne il succo, si accorge che questo fermenta, diventa mosto, ribolle, si solleva, come il ventre di una donna incinta, come le maree all’orizzonte, come l’impasto di acqua e farina di cereali.
Noè beve quel succo, in cui scorge una vitalità inattesa, ne prova allegria, si sente consolato e si lascia “prendere la mano”. Possiamo forse accusarlo per aver bevuto troppo, per aver cercato oblio e consolazione nel frutto del lavoro delle proprie mani? Possiamo rimproverarlo per l’ebbrezza di chi non conosceva la misura?
“Noè avendo bevuto il vino, si ubriacò - si racconta in Genesi - e giacque scoperto all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide suo padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Jafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre nudo”. Quella derisione e mancanza di rispetto al padre varrà a Cam e ai Cananei una sorta di lunga maledizione.
Generazioni successive, fu proprio a Cana - dopo una formazione adolescenziale in Egitto e una sorta di specializzazione precoce tra i Rabbini del Tempio - che un giovane Rabbi, nato in una grotta a Betlemme durante il regno di Erode, darà il primo segno di una nuova alleanza, questa volta tra il popolo eletto e Dio stesso, attraverso il tragico passaggio del sacrificio supremo sulla Croce.
E’ qui, che nel bel mezzo di una festa nuziale (quale più alta testimonianza di una sacra alleanza), finisce il vino, senza il quale non ci sarebbe più festa. Cedendo alle suppliche accorate di una Madre amorevole, il giovane Gesù dispone che venga versata “acqua” nelle giare del vino “finito”.
Una metafora per ridare vita, in pratica, al sedimento della tradizione - ovvero della Legge (nell’antica usanza ebraica), e restituirgli, nuova forza, sapore, vigore, sostanza e “anima” nel Vangelo: il primo passo ‘concreto’ di un lungo gioco di sponda tra Antico e Nuovo Testamento, il cui incessante sciabordio sarà destinato ad animare i sentimenti dei fedeli nei secoli dei secoli.
L’avvio di una rivoluzione, dalle radici antiche, che un Buon Pastore compirà per rinnovare la consolidata tradizione “pastorizia” delle 12 Tribù d’Israele, puntando sulla “reti” in senso lato di 12 uomini - non tutti di mare - ma egualmente segnati dal sole e dal sale, per farne degli autentici “pescatori di anime”!
Una storia senza fine, tramandata con devozione e declinazioni rituali, che rivive nel racconto di parabole come quella della ‘Moltiplicazione dei pani e dei pesci’, nella liturgia della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo, ma anche nell’esaltazione simbiotica tra uomo e Natura, che “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway ha saputo cantare in forma e toni ineguagliabili. Prosit!
(gelormini@gmail.com)