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Da Rummenigge a Kahn: il Bayern Monaco è un club modello, contro la Superlega

Lorenzo Zacchetti

Come costruire la squadra più forte del mondo senza cedere alla logica del calcio-business? Il punto di vista dell'ad del Bayern che ha vinto tutto

Big affermati e giovani talenti

Spendere, sì, ma con giudizio: la regola societaria prevede che ogni anno si acquisti un campionissimo già affermato, ma anche un giovane di belle speranze: nell’ultima finestra estiva sono arrivati il celebratissimo Sanè, preso dal Manchester City per 45 milioni di euro, ma anche Kouassi, strappato al PSG a costo zero. A proposito dei parigini, che invece hanno le mani bucate, nella finale di Champions League del 2020 è stato davvero beffardo che a segnare il gol decisivo sia stato Coman: un prodotto del vivaio parigino, poi passato anche dalla Juventus, ha beffato avversari pagati a peso d’oro come Neymar e Di Maria! In questa edizione il PSG si è vendicato, eliminando i tedeschi nei quarti di finale, ma alla fine sono le coppe che contano. E lo sceicco Nasser Al-Khelaifi non può che guardare con invidia i sei trofei “con le grandi orecchie” esposti nella bacheca del Bayern. 

Una scuola per manager di successo

I soldi servono, ma ci vuole anche la competenza. Quella che, ad esempio, può vantare il bosniaco Hasan Salihamidzic: l’ex centrocampista del Bayern, passato anch’egli dalla Juventus, è oggi il direttore sportivo del club bavarese. E con lui lavorano tanti altri giocatori che hanno saputo cambiare mestiere con eccellenti risultati: Miroslav Klose (ex Lazio) è il vice del tecnico Hans-Dieter Flick, mentre i due presidenti onorari sono Franz Beckenbauer, detto “il Kaiser” e Dieter Hoeness. Quest’ultimo è il fratello di Uli Hoeness, la cui esperienza manageriale è stata invece funestata nel 2014 dalla condanna per evasione fiscale, per la quale è finito in carcere per 18 mesi: in Germania con queste cose non si scherza. 

Tra rinnovamento e tradizione

Squadra che vince… si cambia. Nonostante la conquista del nono titolo consecutivo della Bundesliga (come la Juve, in questo sì), il rinnovamento del Bayern non si limita al passaggio di consegne tra Rummenigge e Kahn. Già nel 2019 Herbert Hainer era subentrato a Dieter Hoeness nel ruolo di presidente, mentre Flick al termine degli Europei andrà ad allenare la nazionale tedesca: il suo posto in panchina è già stato assegnato al 33enne Julian Nagelsmann, considerato l’astro nascente tra gli allenatori dopo le meraviglie fatte vedere col Lipsia. Una società, quest’ultima, che ha persino cambiato nome per compiacere il suo sponsor (la Red Bull), anche “dribblando” le rigide regole della Uefa. Il Bayern, al contrario, è una multinazionale che si mantiene con i piedi saldamente per terra e che pretende da ogni suo giocatore, compresi i più pagati, la disponibilità per trascorrere almeno tre serate all’anno in compagnia dei club dei tifosi, dando sostanza al motto “Mia san mia” (“noi siamo noi”, in bavarese). Allo stesso modo, in occasione di ogni Oktoberfest la squadra sfila tra i tavoli imbanditi indossando i tradizionali lederhosen, ribadendo un radicamento che è lo stesso espresso da Rummenigge: “Non siamo nella Superlega perché non vogliamo farne parte. Siamo contenti di giocare in Bundesliga, un business 'pane e burro', come dicono gli inglesi. Siamo contenti di fare la Champions e non dimentichiamo la responsabilità verso i nostri tifosi, che sono generalmente contro una riforma del genere. E sentiamo anche la responsabilità verso il calcio in generale. Una Champions senza Juve, Real e Barcellona? Sinceramente spero di no, fatico ad immaginarlo. È un danno, su questo non si discute: senza dodici grandi squadre la competizione è danneggiata”.